IL
MAGO DI GOXIAN
di
Fabrizio Ulivieri
Un
giorno ho conosciuto un grande mago. Un mago bambino. Paolo Nha.
Oggi
i maghi non vivono più nei castelli o nelle foreste. Ma qui tra noi. Magari a
prima vista gente comune. Ma a parlarci, a conoscerli, ti aprono a grandi
segreti.
Paolo
Nha ne ha fatta tanta di strada per arrivare qui per insegnarmi i suoi segreti.
Paolo
ha tanti anni. Ma fuori è rimasto bambino e questo è il suo segreto. Lui viene
dalla Korea. Da Seoul.
Prima
ha vissuto sulle montagne. Lì ha imparato i segreti per rimanere giovane. Ma io
pensavo da sempre di parlare con un bambino. E invece lui aveva tanti anni.
Lui
mi ha sempre taciuto di essere cosi vecchio. Finalmente quando l' ho capito, io
gli ho chiesto come avesse fatto.
Lui
mi ha risposto con tante parabole.
Parabola
Prima
Una
grossa tigre bianca preannuncia la nascita di Paolo Nha.
Se
la nascita di Buddha fu preannunciata dal sogno di un elefantino bianco che
indolore penetrò nel corpo di sua madre, la regina Mahamaya, così una notte la
madre della tigre di Goxian (il nostro Paolo) sognò di scendere da un' alta
montagna.
A
un certo punto si volse e vide che un' enorme tigre bianca la seguiva dappresso.
Ma
come la madre di Buddha non ebbe né pena né paura. Si trovò in mano un
bastone. E con quello cominciò a colpirla sulla testa.
Ma
la tigre, come avesse le zampe legate, non reagì; ma come quando un gattone
riceve delle pacche sulla testa, si limitava ad abbassare la testa e a chiudere
gli occhi.
La
tigre, nel sogno, seguì la donna fin sulla soglia di casa. E nonostante la
donna continuasse a colpirla perché non entrasse, la tigre voleva entrare.
In
quel momento comparve la zia (grande maestro di casa e di vita) che gridò:
"Perché non vuoi farla entrare?"
Così
nacque la tigre bianca di Goxian, che mai si ribellò alla madre sua, che sempre
seguì docile il suo volere come avesse le mani legate per non graffiare.
Privilegio
dei predestinati è fin da piccoli manifestare segni prodigiosi che ci
invitano a gioire, perché un grande destino li accompagnerà.
Si
narra che Kala Devala fosse il primo a vedere il giovane Buddha. E quando vide
il piccolo Siddharta prima rise e poi pianse.
“Perché
piangete? Mio figlio sarà forse colpito da gravi sventure?” gli chiese
allarmato il re Suddhodana, padre del bimbo.
“No”
rispose Kala Devala “Ho sorriso perché ho avuto il privilegio di vedere un
essere che, come ho percepito da segni particolari del suo corpo, è destinato a
divenire un Illuminato, un Buddha. Ma se guardo al mio futuro. scopro amaramente
che non vivrò abbastanza per sentire i suoi insegnamenti. Ecco perché ho
pianto. Gioisci o re poiché tuo figlio diventerà il re più grande del
mondo!”
Anche
Paolo quando aveva un anno manifestò i segni di un grande avvenire. Ebbe
uno sfogo di febbre ombelicale sulla testa. Lui dice forse a causa delle
bastonate che sua madre aveva dato alla tigre.
E
per il gran prurito continuamente si grattava la testa.
Perciò
sua madre gli legò le mani con una corda. Lui era solo nella sua camera.
Cominciò a cantare una
specie
di ninna nanna e le croste magicamente scomparivano. In quel mentre ritornò la
zia, e lo trovò avvolto in questo incantesimo. Lo prese fra le braccia e lo
sollevò alto in cielo mentre versava copiose lacrime e un sorriso di gioia le
illuminò il volto.
Parabola
Seconda
La
scuola e la montagna
Il
mistero più grande e incomprensibile per tutti quelli che conoscevano
Paolo Nha era il suo bighellonare per la montagna. Paolo si alzava la
mattina faceva colazione e poi tranne qualche ora a scuola la mattina non
rientrava a casa fino all’ora di cena.
Che
faceva fino all’ora di cena ? Che faceva tutto il giorno?
Bighellonava
sulla montagna di Goxian .
Che
ci facesse nessuno lo sapeva. Chi diceva che parlasse ai serpenti. Chi diceva
che ammaliasse gli uccelli. Qualcuno narra di averlo visto volare su di un
grosso uccello, che aveva il suo stesso volto.
A
me personalmente ha confidato di essersi ispirato al Vangelo, alla figura di
Giovanni il Battezzatore: perché si deve sapere che Paolo non era buddista come
la maggioranza dei koreani , ma cattolico grazie a un’amica di famiglia di 40
anni, di cui, lui, - 6 anni – si era innamorato e seguiva dappertutto.
Dappertutto … beh! la seguiva a tutte le funzioni religiose a cui lei
partecipava. La tallonava continuamente, peregrinava come lei di chiesa in
chiesa, di funzione in funzione.
In
quel modo, così, divenne cattolico.
Comunque,
dicevo, aveva letto nel Vangelo di Giovanni il Battezzatore, che viveva nel
deserto e si vestiva di pelli di cammello, e mangiava locuste e miele selvatico.
In
tutta amicizia credo di essere stato uno dei pochi a cui Paolo ha confessato di
aver, anche lui,
mangiato
locuste, vive per di più! e miele selvatico.
Andava
per i campi a smuovere i favi. Ne carpiva il miele e poi fuggiva inseguito da
uno sciame di api. E più volte fu punto.
La
cosa straordinaria però fu che una volta fu punto così tante volte alla testa
, che questa gli si gonfiò all’inverosimile, e per tre notti non poté
dormire dal fuoco che aveva nella testa.
Ma
lui che aveva sofferto sempre di emicrania da quel giorno non ne ha più avuto
il minimo sentore ( a bassa voce mi confessò inoltre che questo incidente,
secondo lui, gli avrebbe anche aumentato il suo IQ , di cui parleremo più
avanti ).
Come
ho prima detto mangiava locuste. Errava per la campagna. Ispirato da Giovanni il
Battezzatore.
Ma
perché?
Con
gli occhi bassi quasi inchinandosi in quel modo sottomesso e dolce che solo il
mite popolo koreano sa fare ha osato dire : “ Per svuotarmi “
Per
svuotarsi ? gli ho chiesto. Ma lui come sempre non mi ha risposto direttamente
ma ha continuato con un racconto.
“
Quando mio padre, il prode Han Hi Son si trasferì da Goxian a Seoul, anch’ io
dovetti cambiare scuola . Mi presentai alla nuova maestra. Quella con modi
bruschi e altèri, dopo aver letta la mia pagella, mi squadrò e urlò : non
voglio nella mia classe uno con un livello così basso come questo pavimento! E
se ne andò.”
Il
giorno dopo Paolo si presentò a scuola. Con la cartella in spalla si piazzò
davanti alla porta d’ingresso dell’aula, con il sacchetto dei sandali ( in
Korea, infatti, non si può entrare in classe con i sandali e tutti i bambini li
mettono dentro un sacchetto che appendono al loro banco) .
L’
insegnante non arrivava e Paolo era dritto davanti alla porta.
Gli
altri bambini vedendolo lì fermo come un palo cavarono i sandali dal sacchetto
e cominciarono e tirarglieli in testa. Il povero Paolo dové fuggire e ripararsi
dietro una vetrata.
Ma
indomito, cessata la grandinata, si ripiazzò davanti alla porta. E via
un’altra fuga!
Alla
fine quando vide arrivare la maestra Paolo uscì dal suo riparo, le si parò
innanzi a testa bassa ( che come dice Paolo è il modo, in Korea, per dire
“Ciao”). La maestra lo oltrepassò senza neppure guardarlo. Chiuse la porta
dell’aula e iniziò la lezione.
Paolo
rimase così in quella posizione per 50 minuti ( in Korea nelle scuole
elementari ogni cinquanta minuti c’è una pausa di 10 ). La maestra uscita per
la prima pausa gli passò davanti e non lo degnò neppure questa volta del
minimo sguardo (povero Paolo!). Poi sparì nella sala professori. A quel punto
Paolo beneficiò di un’altra amorevole grandinata di sandali da parte dei
nuovi compagni.
Ogni
ora la maestra usciva e rientrava e Paolo lì, stoicamente impalato a
testa bassa a sopportare l’ira della maestra e il benvenuto dei compagni.
Alla
terza ora quando finalmente la maestra uscì per il terzo intervallo si fermò
davanti a Paolo e gli disse :
“
Ah ! Tu sei il nuovo studente. Vieni dentro. ”
Lo
presentò ai nuovi compagni, di cui finora ne aveva apprezzato i soli sandali e
da ultimo ne poté conoscere anche i volti. “ Quello è il tuo
banco. “ gli disse “ e lui è il tuo nuovo compagno: Li Nang Yun .”
Paolo lo guardò e vide una luna piena sorridergli. Era così grasso, quasi come
la luna piena.
Il
giorno dopo, quando ritornò a scuola invece dei sandali gli toccarono le
frustate. Li Hang Yun (il demonio appare sotto molte forme) aveva infatti legato
insieme alcuni cordini dei sacchetti dove si tenevano i sandali e con quelli gli
diede delle belle sferzate.
Ma
chi ha un grande futuro, si sa, è capace di sopportare anche le offese più
grandi e di vincere.
Paolo
quel pomeriggio, dopo la scuola, sparì sulla montagna dietro l’edificio
scolastico. Scavalcò il filo spinato di recinzione che i contadini avevano
messo a protezione del raccolto dei loro campi, e si inoltrò nel bosco. Di lì
non ne uscì che la mattina,
Che
vi avesse fatto non è dato saperlo. Quel che si sa è solo che per tutta la
notte in montagna si vide un gran chiarore filtrare fra gli alberi.
Quella
stessa mattina a scuola c’erano le prove di disegno e di canto. La maestra
aveva dato da copiare una foto che ritraeva il mare. Paolo la fissò per 10
minuti senza batter ciglio.
Poi
la dipinse: uguale!
Tutti
erano meravigliati: “Impossibile! Ma come hai fatto Paolo? ”
La
maestra lo fece sedere vicino a sé. E Li Hang Yun, lo guardava rodendosi
d’invidia.
Vennero
poi le prove di canto. Quando toccò a Paolo e aprì bocca, un suono
celeste ne uscì. E incantò tutti. Paolo da quel giorno divenne un eroe della
scuola.
Il
suo segreto?
Ancora
una volta la montagna.
Ma
qual era il lato magico di questo luogo?
Come
influiva su Paolo?
Non
so esattamente.Tutto quello che ho potuto capire è che lui in montagna si
focalizzava su ciascuno dei suoi pensieri e ad uno ad uno li estirpava dalla sua
mente, sgombrandola, svuotandola !
Si
svuotava così di ogni cura e affanno e assorbiva tutta l’energia positiva
coperta dai peccati e dalle energie negative della gloria del mondo (secondo
Paolo, se ho ben capito, per esaltare la sua gloria il mondo ci ruba tanta
energia positiva, ce la nasconde per dominarci). Riacquistava così tutta la sua
energia, si rafforzavano e raddoppiavano, triplicavano le sue capacità:
penetrava quel 90% della nostra coscienza che Freud dice – così si esprime
Paolo- non siamo normalmente in grado di usare.
Più
volte mi sono domandato e gli ho domandato se avesse avuto un Maestro. Su questo
per molto tempo ha taciuto.
Parabola
terza
Paolo
e il serpente
I
maghi, è noto a tutti, hanno spesso rapporti privilegiati con animali
particolari come gufi, aquile, pipistrelli, serpenti, topi.
Paolo
Nha aveva predilezione (oltre che per le locuste, come abbiamo già raccontato)
per i serpenti.
Quando
aveva cinque anni correva già per i campi e i prati della montagna di Goxian
alla ricerca di quel potere istintivo che lo avrebbe invaso per il resto dei
suoi giorni.
Un
giorno spinto dalla sete si avvicinò ad un ruscello per bere. Si inginocchiò
ai bordi del fiumiciattolo, e cominciò a bere. D’un tratto si sentì
osservato. Volse la testa alla sua destra e vide due occhietti vispi sgusciare
fuori da una testolina appuntita: un serpente !
Quello,
a quanto mi è dato sapere, fu la sua prima prova.
Guardò
il serpente negli occhi. Qualcosa di prodigioso sentì salirsi su dal centro del
cuore e uscirgli dagli occhi: come una potenza di luce.
Il
serpente rimase immobile, ammaliato. Lo prese con una mano. Cominciò a gridare
come impazzito roteando il serpente in aria. E corse a spaventare i suoi amici
che giocavano davanti all’aia di casa. Vi fu un fuggi fuggi generale. Alla
fine rimase solo. Con il serpente che penzolava a testa in giù, come
morto, dalle sue mani.
Finalmente
andò in cima alla collina che sovrastava la pianura, e sull’albero, una
querce plurisecolare, appese ad un ramo l’atarassico serpente, legandolo
ad un filo di refe.
Come
sempre giunse tardi a casa. Dove la mamma e le sorelle lo aspettavano con il
rosario in mano per l’orazione vespertina. Al solito gli toccò un bello
scapaccione da parte della zia, perché Paolo non voleva pregare.
Durante
la cena Paolo raccontò del serpente alla mamma.
La
mamma fu molto sorpresa.
“Perché
non l’hai ucciso ?”gli chiese “Forse questa notte il serpente verrà a
cercarti e finirà nel vaso di soia.”
Paolo
dice che lui è un numero Uno. Lui vive secondo la teoria dell’ enneagramma,
secondo la quale nel mondo ci sono nove tipi di personalità classificate dal
numero 1 al numero 9. Il numero 1 è un perfezionista ( io invece sono un numero
4, un creativo ).
E
poiché lui è un numero 1 non poteva dormire (perché un numero 1 deve sempre
finire ciò che ha principiato).
Così
da solo a cinque anni è sgattaiolato via di casa, è uscito ed è andato
sulla collina. Lì era tutto buio. Andava a tastoni, toccando tutti gli alberi
per cercare il serpente. Gli alberi erano umidi per la notte e sembravano
viscidi serpenti. Per la paura e la tensione nervosa era tutto sudato.
Finalmente
ha trovato il filo ma senza serpente.
“
Subito ho pensato che il serpente stesse già andando verso il vaso di soia,
sperando di mordermi.” mi ha raccontato Paolo “ Sono corso verso casa mia,
zigzagando per paura che il serpente corresse dietro a morsicarmi.
Arrivato a casa ho cercato in ogni vaso di soia il serpente. Ma non l’ho
trovato. Dopo ho preso un bastone per cercarlo, perché forse ancora non era
entrato nel vaso della soia.
La
luna era piena.
Mi
sentivo molto stanco.
Così
sono di nuovo andato a letto.
Di
giorno, quando mi sono alzato ho aperto di nuovo il tappo del vaso per cercare
il serpente. Ma ora no ! ora non lo faccio più !
Perché
ora so che il serpente non va nel vaso di soia. Anche dopo ho
cercato il serpente, non nel vaso di soia ma nel mio cuore. Ho eliminato tutto
dal mio cuore e dal mio corpo; e dopo sono stato fortunato, finalmente il
serpente è stato eliminato dalla mia anima”.
Parabola
Quarta
La
parabola della luce e degli scheletri
Un
giorno Paolo Nah si recò di nuovo sulla montagna per pregare e per cinque ore
restò immobile. Per cinque ore aspettò la luce. Finalmente alla quinta ora fu
avvolto da una nube di luce. Lì rimase al centro di questa nube che lo coprì
agli occhi del mondo. Il suo corpo si fece di luce e si svuotò della carne: la
sua pelle, le sue ossa, il suo sangue scomparvero, e fu solo sagoma di luce.
Mentre
era in preghiera e fattosi luce, decine di scheletri, venuti da chissà dove,
cominciarono ad avanzarsi verso di lui. Questi scheletri parevano avere
emozioni. Parevano provare piacere per quella luce.
Allora
Paolo aprì gli occhi e li puntò verso una determinata regione del cielo. In
quella regione si formò come una strada di luce che portava verso quel punto
dove Paolo aveva diretto il suo sguardo.
Gli
scheletri in quello stesso attimo si diressero verso quella scia di luce e
rapiti dalla luce medesima fuggirono rapidi lungo quella striscia, sù, verso
quel punto.
D’improvviso
gli scheletri si moltiplicarono e furono migliaia e migliaia cosicché quella
strada non bastava più per trasportarli tutti. Allora Paolo puntò gli occhi
verso un’altra direzione celeste e si aprì una strada nuova e subito gli
scheletri in fila puntarono su quella, ma di nuovo, d’improvviso come prima,
si moltiplicarono a migliaia. Così Paolo misericordioso gli aprì un’altra
fuga verso il cielo. Ma ogni volta che ne apriva una subito non bastava, perché
gli scheletri si moltiplicavano all’infinito. E Paolo guardò in tutte le
direzioni della volta celeste e a tutti cominciò a regalare luce, a tutti
quelli che si avvicinavano a lui.
Gli
scheletri tendevano le mani e, ricevuta la luce da Paolo, sparivano nello stesso
modo in cui erano comparsi.
Con
un sorriso pieno d’amore e misericordia per tre giorni e tre notti Paolo
rimase in quella nube avvolto.
All’alba
del quarto giorno la nube scomparve e Paolo riprese il suo corpo di carne.
Cominciò a scendere la montagna. Era freddissimo e dovunque era gelato, e
tremava e batteva i denti, ed era anche debolissimo per la fame.
Ma
come diceva sempre Paolo il regno di Dio qui in terra è una condizione del
cuore. Così pensò che non era poi freddo come sembrava. E a poco a poco il suo
corpo si fece di nuovo di luce e un calore grande lo colse durante tutta
la discesa della montagna.
Paolo
mi ha anche raccontato che dal cielo piovve improvvisamente acqua di mare, lungo
il cammino. E bagnava continuamente il suo corpo, di nuovo fattosi di luce.
Quando
mi raccontato questo fatto giuro di essere rimasto, direi, più che perplesso.
Paolo
però con grande semplicità mi ha detto: “Perché non mi credi? Già Samyong
De Sa, un monaco buddista vissuto 500 anni fa, ha avuto la stessa esperienza.
Samyong organizzava la resistenza contro le incursioni giapponesi. E addestrava
i monaci alle arti marziali. Quando fu catturato dai giapponesi, fu chiuso,
vivo, in un forno. Si accese il fuoco. Si aspettò. Alla fine, si aprì di nuovo
il forno, per prenderne i resti carbonizzati. Ma quando si aprì il forno si
trovò Samyong De Sa completamente congelato. E ai suoi carnefici, aprendo gli
occhi, disse: “Perché in questo luogo è così freddo?”
“Vedi”
mi disse Paolo raccontandomi questo aneddoto “il regno di Dio è soprattutto
una condizione del cuore , in vita.
Una
volta fu trovato uno morto congelato in una cella frigorifera. Ma perché era
morto congelato? Per una condizione del cuore.
Si
scoprì infatti che la spina della cella era staccata, e dentro la cella
c’erano sì e no 16 gradi. Ma lui si era convinto di dover morire, perché uno
che rimane chiuso in una cella frigorifera non può che morire congelato.”
Io
punirò ogni tre o quattro generazioni
Spesso
Paolo a Seoul si recava nelle case dei fedeli per officiare la messa.
Una
volta era in una casa e davanti a lui era riunita tutta la famiglia.
Paolo
notò che non c’erano i bambini.
“La
messa è la presenza del cuore puro di Gesù. Perché qui non ci sono
bambini?”
“Loro
sono molto rumorosi” gli fu risposto.
“Loro
hanno il cuore più puro degli adulti”, continuò Paolo. “Gesù celebra la
messa tramite il corpo del sacerdote verso Dio padre. Chiamateli dunque!”
Furono
fatti entrare: Ma quelli erano due piccoli demòni, che correvano a destra e a
sinistra e facevano un grande casino.
Allora
Paolo mandò la luce, la luce dell’anima, su uno di loro e quello subito si
addormentò. Mandò poi la luce sull’altro. Ma quando la luce lo raggiunse,
Paolo vide lo scheletro del bambino. Questi subito si fermò, e poi vòlto ai
genitori cominciò a urlare: “Ho sangue, ho sangue all’alluce!”
Ma
non era vero.
I
genitori gli guardarono il piede e non c’era sangue per niente. Ma il bimbo
insisteva a dire che aveva il sangue. Così alla fine, come nella storia del
piccolo pastore che gridava sempre “Al lupo! Al lupo!”, nessuno gli badò più
e il bambino imbronciato se ne andò fuori, di nuovo a giocare.
“Perché”
gli chiesi “secondo te se n’è andato? C’era forse in lui un demonio, che
quando hai mandato la luce il bambino ha cominciato a dire la bugia del sangue
perché non voleva essere cacciato da quel corpo, a causa della tua luce?”
“No!”
mi ha risposto “ In lui c’era il germe di una malattia. Dio nell’ Esodo
dice ‘ Punirò ogni tre o quattro generazioni ’”.
“Come
tu credi che Dio possa punire così, con una malattia, un bambino!” gli ho
risposto quasi disperato.
“No!
L’ uomo non è uguale al diavolo! Quello che è scritto nell’Esodo, vuol
dire che una malattia si genera in una stirpe ogni tre o quattro generazioni:
E’ una forma mentale che si tramanda di generazione in generazione e che alla
fine mutatasi in malattia colpirà un membro di quella stirpe.
Se
in una famiglia la madre è malinconica, ad esempio, anche il figlio sarà
malinconico. E così il figlio del figlio, e così il figlio del figlio del
figlio... finché la malinconia da forma mentale non si trasformerà in
una malattia polmonare in uno dei discendenti.
Se
nella famiglia si soffre di arrabbiature continue un figlio sicuramente soffrirà
di fegato.”
Io
ho guardato Paolo. La certezza del volto con cui mi ha spiegato tutto ciò. In
un mondo in cui di certo non rimane più che la fede.
Parabola
Quinta
Paolo
diventa mago
Gli
ho chiesto: “Come sei diventato mago?” .
Ha
alzato gli occhi. Ha vòlto la sua testa verso di me. Ha corrucciato le
sopracciglia. Ha abbassato gli occhi.
Fin
da piccolo voleva diventare mago. Ma sua madre non l’ha mai voluto. E lui, la
tigre bianca di Goxian, con le mani legate al volere di sua madre non si è mai
ribellato.
Ma
passava lunghissime ore in chiesa a pregare Gesù, che sua madre gli permettesse
di diventare mago. Finita la scuola correva in chiesa e per sette ore vi
rimaneva in preghiera.
E
così passarono anni.
Un
giorno era nella sua camera e pregava il cuore di Gesù che avvolge il mondo.
Aveva gli occhi umidi di lacrime. Disperato chiuse gli occhi e ricordò le
parole di sua madre: “Ti lascerò diventare mago quando dal cielo pioveranno
soldi!”
(
E qui devo aprire una parentesi: in Korea il figlio maggiore maschio deve
provvedere al sostentamento e all’accudimento dei genitori. In Korea il
sistema pensionistico non esiste, come qui da noi. E gli anziani non hanno altro
sostentamento che i figli. Certamente se Paolo fosse diventato mago, se ne
sarebbe dovuto andare lontano. E chi avrebbe provveduto a lei, alla madre? )
Con
gli occhi chiusi rimuginava sulle parole della madre quando un calore improvviso
lo invase. E aperti gli occhi vide un fulmine nella stanza. Stordito dal lampo
cadde riverso sul letto.
Forse
dormì, forse no. Quello che si ricorda è che riaperti gli occhi la stanza era
chiazzata d’acqua. E per terra erano tutte le carte, volate lì chissà come,
delle sue decisioni scritte che lui aveva sottoposte al giudizio del cuore di
Gesù.
Fra
le carte notò un libro. La Bibbia. Si avvicinò e lo raccolse. Dalle pagine
spuntava una banconota di grosso taglio, che stava lì come fosse un segnalibro.
Aprì la Bibbia nel punto segnato dalla banconota e lesse Samuele 1, 3 – 10:
“ Il giovane Samuele continuava a servire Iahvé sotto la guida di Eli. Ma la
parola di Iahvé era rara in quei giorni, le visioni non erano più frequenti.
In questo tempo Eli stava riposando nel suo reparto, perché i suoi occhi
incominciavano a indebolirsi e non riusciva più a vedere. La lampada di Dio non
era ancora spenta, mentre Samuele era coricato nel tempio di Iahvé, dove si
trovava l’arca di Dio. Allora Iahvé chiamò ‘Samuele!’ e quello rispose
‘Eccomi’, poi corse da Eli e gli disse ‘Eccomi, perché mi hai
chiamato’. Eli rispose ‘Non ti ho chiamato, torna a dormire!’. Tornò e si
mise a dormire. Ma Iahvé di nuovo chiamò ‘Samuele!’ e Samuele di nuovo si
alzò e corse da Eli dicendo ‘Eccomi, perché mi hai chiamato’. Ma quegli
rispose di nuovo ‘Non ti ho chiamato, figlio mio, torna e dormi!’. In realtà
Samuele fino allora non aveva ancora conosciuto Iahvé, né gli era stata ancora
rivelata la parola di Iahvé. Iahvé tornò dunque a chiamare ‘Samuele!’ per
la terza volta, ed egli parimenti si alzò e corse da Eli dicendo ‘Eccomi,
perché mi hai chiamato. Allora comprese Eli che era Iahvé a chiamare il
giovanetto. Disse pertanto Eli a Samuele ‘Va’ pure a dormire, ma fa’
attenzione: se ti chiamerà ancora dirai ‘Parla Iahvé, perché il tuo servo
ti ascolta’. Samuele si ritirò e riprese a dormire al suo posto. Venne
allora Iahvé, ristette accanto a lui e lo chiamò ancora come le altre volte
‘Samuele, Samuele!’ Samuele rispose subito ‘Parla, perché il tuo servo ti
ascolta’.
Così
Paolo decise di salire di nuovo alla montagna.
Salì
dunque sulla solita montagna e si mise in preghiera. Nella preghiera cercava
come sempre il cuore di Gesù. Ma quella volta non era lì (Paolo dice sempre
che il cuore di Gesù è dappertutto. Basta fissare un punto qualunque dello
spazio, e ci trovi il cuore di Gesù). Cercava disperatamente in tutti punti
dello spazio il cuore di nostro Signore. Niente. Da nessuna parte era presente.
Così
si decise a cambiare montagna, e si spostò in quella dirimpetto. Niente. Anche
lì il cuore del Salvatore se ne era fuggito. Così cambiò ancora montagna.
Niente!
Paolo
mi ha raccontato che passò una settimana a inseguire il cuore di Gesù.
Alla
fine si perse.
Si
trovò in una valle che non conosceva. Cominciò a salire la montagna fino a che
non giunse a un villaggio. Ne lesse il nome: He bu ri . Mai sentito!
Si
inoltrò nel villaggio. Gli abitanti erano strani. Erano koreani. Ma erano alti.
I loro volti lunghi e magri. E soprattutto avevano gli occhi blu e i capelli
biondi. Lui piccolino, si sentiva sperso fra quei biondi giganti.
Dice
che a quel punto sentì che dovunque batteva il cuore di Gesù. Dice che incontrò
un vecchio.
Dice
che il vecchio gli raccontò la storia del villaggio. Dice che 2000 anni fa in
quella valle, regnante l’Imperatore Sam do chu, era arrivato un giovine
biondo seguito da 13 altri giovani. Non si sapeva da dove venissero. Ma erano
venuti in quella valle scortati dai soldati dell’Imperatore e furono da quelli
accompagnati in un tempio buddista che allora si trovava dove ora si trova il
villaggio. Qui rimasero per dieci anni. Per dieci anni gli abitanti del luogo
videro un via vai di maestri di corte e dei più famosi monaci buddisti del
tempo. Tutti questi dottori, si racconta, andavano al tempio a istruire questi
giovani maghi. I soldati impedivano a chiunque di avvicinarsi, a chiunque
non avesse l’autorizzazione scritta dell’Imperatore.
(Si
vocifera però che i soldati non fossero così rigidi con certe signorine locali
che andavano a far visita nottetempo ai giovini maghi stranieri. Erano maghi, è
vero, ma pur sempre giovani!)
Secondo
una leggenda l’Imperatore non voleva far partire più il giovane mago biondo,
perché si dice che una volta ritornato nella sua lontana patria un destino di
morte l’avrebbe preso in consegna. E l’Imperatore amava quel giovane come
suo figlio ( un’altra leggenda , ma non è molto attendibile, dice che il
giovine mago avesse usato la sua magia per resuscitare il primogenito dell’
Imperatore, morto per una caduta da cavallo ) e avrebbe dato tutto per salvarlo
dal suo destino di morte. Ma nulla riuscì a trattenere il giovane! “Io non
sono di questa terra. Il padre mio mi aspetta. Un giorno io devo ritornare a
lui.” Ripeteva il giovane mago, ad ogni supplica dell’Imperatore.
Finalmente
partirono.
E
quel giorno è rimasto nella memoria collettiva del popolo della valle.
Pare
che un grosso pallone che volava alto nel cielo fu mandato dall’Imperatore. Su
quello salirono i maghi stranieri e con quello fuggirono via nel celeste cielo
della Korea.
Nel
frattempo erano cominciati a nascere tanti piccoli koreani biondi e con gli
occhi blu… “E’ per questo” disse il vecchio “che oggi noi della valle
siamo così: è un regalo del giovane mago, che ha fatto agli abitanti della
valle, prima di andarsene.Ma se vuoi pregare” gli disse ancora il
vecchio “vai lassù sulla collina. Là troverai una piccola pagoda. Là si
racconta pregasse sempre il giovane per diventare un grande mago. Si dice anche
che lì da qualche parte è scritto il suo nome”.
Paolo
vi salì. Si mise in preghiera. Sentì che dappertutto batteva un grande cuore.
Dappertutto era il fuoco di quel cuore: era un fuoco che entrava dentro
l’anima che bruciava tutte le incrostazioni dei peccati e liberava la luce
dell’anima, quella luce che ci è stata data quando siamo venuti al mondo e
che il mondo ci sottrae lentamente giorno dopo giorno.
Lì
Paolo ebbe la luce. La luce della giovinezza eterna.
“E
hai trovato il nome del mago, da qualche parte scritto?” gli ho chiesto
curioso.
“Sì”
mi ha risposto.
Non
ho avuto la forza di chiedergli quale fosse.
Conclusione
Un
giorno Paolo se n’è andato. In silenzio così com’era arrivato.
E
mi ha lasciato solo e sveglio, me che amavo solo dormire. Perché pensavo, come
dice Eraclito che solo nel sogno ognuno trovi il proprio mondo. Io che fino a
quarant’anni avevo fermamente creduto che uomini e donne fossero, sesso
a parte, completamente uguali. Io che per disperazione avevo preso la patente a
quarantadueanni e che prima avevo vissuto perso fra ottativi, accusativi,
aoristi, scolastici, platonici, neoplatonici, res extensa e Dasein…
Ma
poi il sogno finì. E caddi, sempre come dice Eraclito, in quel mondo che è
comune a tutti, di gente che di sogni ne hanno uno solo e si chiama denaro.
Ma
un umanista fra il denaro è come pesce fuor d’acqua.
E
così sono rimasto. Piegato come tutti ai debiti e alla ricerca disperata di
questo elemento vitale.
Ma
mi ricordo ancora bene come conobbi Paolo.
Un
giorno, mentre bevevo un caffè alla stazione, un piccoletto asiatico mi
importunò.
Era
un piccoletto dall’aria goffa che con un italiano misero osò disturbarmi.
Io
inacidito cercai di liberarmi di quella presenza importuna e sgraziata, di quel
cinese.
Ma
il mondo è maya dicevano le Upanishad. Il mondo fa presumere ciò che in realtà
non è, il mondo copre la realtà.
E
così il piccoletto non era cinese ma koreano. Non era goffo. Ma era la certezza
assoluta. Non era sgraziato. Ma un bellissimo mago. E quel mago mi ha rivelato
tanti segreti. Mi ha fatto rivedere la luce. Mi ha parlato di cose che nel
“mondo degli svegli” tutti hanno dimenticato. Per un anno il mago ha ridato
un senso alla mia vita, di uomo profondamente persosi.
Ma
ora Paolo non si è fatto più vivo.
Non
c’è più niente da spiegare, ma solo ascoltare la voce di questo mago che in
preghiera trascorre i suoi giorni e con la preghiera cambia il mondo e aiuta il
mondo.
Ma
il mondo lentamente si riprende tutto quello che tu hai cercato di rubargli se
una grande forza non gli si oppone, e come un fiume ritorna nel suo letto e
riprende a scorrere.
Potrei
dire, come Paolo diceva, “Guarda la Croce, se cerchi quella forza!”.
Essa
è il simbolo della nostra vita.
In
essa c’è un livello verticale e uno orizzontale. Quest’ultimo è il mondo,
limitato. E indica la relazione fra uomini, il vivere insieme degli uomini,
tutto ciò che copre la luce della verità.
L’altro
è il livello dell’illimitato, dove tutto è possibile. E’ rivolto, non più
al rapporto uomo-uomo, ma uomo-Dio: uomo-luce.
Nel
mondo viene sempre l’ora in cui s’incontra il punto d’intersezione di
questi due livelli.
Ecco,
Paolo ha parlato di questo, ha insegnato a cercarlo, vederlo, individuarlo, e a
scegliere quale livello sia da seguire nella nostra vita. C’è sempre, come
diceva lui e il di lui Maestro, un momento in cui si deve dire sì o no, a
questo mondo.
E’
un momento che si rivela solo a chi lo cerca, solo a chi cerca di togliere le
macchie che avvolgono la luce, quella luce increata che ci portiamo dentro fin
dalla nascita.
Quando
tagli un albero, nel tronco si palesano tanti anelli concentrici. Ogni anello è
una macula che ha avvolto, nascondendola, la luce. Così è l’uomo, se
cerca la luce, che deve eliminare, buttare via tutte quelle macule che
dall’atto di nascita l’ hanno coperta. Fino a raggiungerne il centro.