ARIA

di Alessia

La stazione era gremita di persone. Il treno diretto a Firenze era in ritardo di quindici minuti

quando Aria, trafelata e col cuore in gola arrivò. Aveva sempre odiato essere in anticipo e così anche quel pomeriggio aveva aspettato l’ultimo minuto per prepararsi in fretta e furia e partire.

Era da molto tempo ormai che sognava quel giorno, programmato e vissuto nella sua mente mille volte, in mille modi possibili, diversi, valutando ogni possibile reazione, ogni imprevisto, ogni parola. Si sentì euforica, irrequieta e soprattutto molto fortunata quando vide che il treno, tanto atteso, col suo ritardo l’aveva aspettata. Aveva ancora il fiato corto quando giunta al binario si accese una sigaretta, come faceva sempre per ingannare l’attesa: non c’era nessuno che lei conoscesse e anche se le piaceva stare con gli altri pensò che da sola si sarebbe concentrata meglio e si sarebbe fatta forza per quell’incontro, non facile dopo tutto il tempo passato.

Il caldo sole di maggio, il cielo azzurro, i fiori rosa degli alberi di pesco, davano ad Aria una sensazione di serenità primordiale, di benessere, quasi si trovasse tra le braccia della natura, fuori dal tempo, in armonia col tutto.

Un brivido la percorse, paralizzandola dolcemente, quando si rese conto di provare quella piacevole sensazione che non ricordava più e d’un tratto la mente andò nei dedali della sua memoria riportando in superficie fugaci immagini, fuggevoli scene di qualche mese prima, di lei che rideva e correva leggera. Ma quella serenità che si era dissolta, frantumandosi in tristezza, solitudine e odio, finalmente era tornata.

Lo scompartimento per fumatori in cui si era seduta era affollato di gente che, fastidiosamente silenziosa, leggeva, dormiva o scrutava i nuovi viaggiatori che cercavano con occhi vigili un posto a sedere. Amava sedersi vicino al finestrino , per poter vedere quel paesaggio che ormai conosceva bene ma in cui scopriva sempre qualcosa di nuovo.

Davanti a lei stava una coppia di anziani signori: lei, ancora di bell’aspetto, nonostante l’età, sfogliava un album di fotografie, soffermandosi su ognuna per molto tempo, quasi volesse rivivere l’istante passato reso eterno dallo scatto , lui le teneva la mano, sfiorandole il palmo, sonnecchiando dopo aver letto un libro che teneva ancora aperto sul petto. Era soddisfatta del suo posto, dove poteva ammirare quell’immagine così dolce dei due attempati innamorati. Le sembrava quasi impossibile immaginare se stessa in un futuro così lontano, in cui probabilmente avrebbe vissuto felice, o almeno più serena, forse addirittura soddisfatta dei suoi giorni, dei suoi gesti, dei suoi sentimenti, e in cui viveva senza più concedere un solo istante a tutta l’insicurezza, l’angoscia che l’attanagliavano ora che era così giovane.

Non faceva nulla e soprattutto non viaggiava mai senza una musica di sottofondo che le tenesse compagnia: così anche se si era preparata in gran fretta non dimenticò i suoi dischi. Il treno era appena partito e lei stava già ascoltando la voce di Jeff  che a volume altissimo la isolava dal resto e faceva fluire lentamente i suoi pensieri.

Si sentiva tremendamente eccitata, desiderosa di rivedere quel ragazzo speciale con cui aveva vissuto momenti di amore profondo, di intensa felicità, di armonica sintonia; lo sentiva ancora estremamente vivo in lei, vicino come forse mai prima d’allora. Sapeva bene che era stata lei a decidere che la soluzione migliore era non parlarsi e non vedersi per un po’, sentiva di non avere più niente da dargli e non capiva come lui facesse a stare ancora con lei, così cambiata che lei stessa stentava a riconoscersi. Era certa però che lui non l’aveva dimenticata…come avrebbe potuto, nonostante il dolore per le dure parole che si erano detti, cancellarla dalla sua vita, lei, la sua Aria, un’anima sensibile divenuta per lui necessaria, la sua metà perfetta. Entrambi sapevano che il legame che li univa era qualcosa di indissolubile, di inspiegabile a parole, qualcosa di raro, l’amore, quello vero, che tutto rende possibile, anche vivere in un mondo malato.

Mentre Aria, cullata dalla musica, cercava di rilassarsi, come saette che si stagliano nel cielo, le sensazioni, le parole dei momenti più dolorosi che aveva vissuto dopo quel tremendo addio, ritornavano a galla ed era come morire dentro per l’ennesima volta. Ma ora Aria era più forte, sentiva di essere speciale almeno per lui, e questo le bastava per non sprofondare nel buio, soffocata da dubbi, paure, pensieri di tenebra. Non voleva più piangere e nascondersi per non affrontare la sua vita e il mondo che la guardava e cercava un contatto con lei. Non si sentiva diversa da com’era, ma ora riusciva ad accettare tutto di sé, riusciva a riconoscere e a dar valore ai suoi pregi e riusciva a convivere coi suoi difetti, coi suoi limiti; non pensava più alla persona che non era e che desiderava essere, come fonte di sofferenza e di odio verso sé stessa…semplicemente si amava per come qualcuno lassù aveva deciso di crearla, tutto doveva avere un senso, anche quel periodo in cui si era sentita sola, inutile, senza futuro, era destinato a cambiare la sua vita, forse a migliorarla. Aveva passato tre mesi rinchiusa dentro le quattro mura della sua stanza ergendo un muro invalicabile tra lei e sé stessa, lasciando il mondo, la sua famiglia, i suoi amici e il suo amore fuori, lontani.

Il suo deciso rifiuto per la vita, il suo rifiuto sofferto di amare sé stessa e il disperato desiderio di essere qualcosa di diverso, ersero una barriera che niente e nessuno sembrava riuscire ad abbattere: in quel suo mondo artificiale sopravviveva sola con i suoi più neri pensieri che accumulandosi uno dopo l’altro, come una valanga la travolgevano, lasciandola atterrita e ferita al suolo, priva di forze, nel silenzio.

E pensare che un tempo Aria si sentiva speciale, almeno un po’, dotata di qualità che facevano di lei una cosa unica. Le dava soddisfazione riuscire bene in qualcosa . Ma con gli anni si accorse di essere un punto minuscolo in un mondo di dimensioni esageratamente enormi, in cui moltissime altre persone facevano quello che lei sapeva fare in modo mille volte migliore. Cominciò pian piano a  ridimensionare la considerazione che aveva verso se stessa, quasi inconsapevolmente, non dava più alcun valore alla sua dote. Si sentiva bloccata, non riusciva più ad esprimersi bene quanto avrebbe voluto, non era più soddisfatta di nulla di ciò che creava.

Cominciò a dedicarsi ad  altro, scoprì nuove situazioni, nuove emozioni, che le fecero conoscere altri aspetti di sé; ma, il confronto con gli altri, che prima le dava gioia, si tramutò in qualcosa di doloroso, che le trasmetteva disagio e ansia. La sua incapacità ad affrontarlo la faceva soffrire e la stima verso di sé diminuì: iniziò a dare una considerazione esagerata ai suoi difetti, arrivò ad odiare persino il suo viso e arrivò a diciassette anni quasi disprezzandosi. Solo l’affetto che gli altri le davano la sollevava dalla sua tristezza.

Quando conobbe Oceano se ne innamorò subito e quasi stupita di essere amata da lui ritrovò la gioia per la vita e il rispetto per sé stessa. Ma il suo senso di inadeguatezza, di inutilità, quello stato di tensione per la mancanza di qualcosa che non si ha e che si desidera avere, solo inabissato dentro di lei, non ci mise molto a riemergere con una forza ancora più travolgente di prima. A nulla serviva l’amore che da lui riceveva che ormai non riusciva più ad assaporare e a ricambiare presa com’era dal suo malessere. L’ultima cosa che voleva era far soffrire qualcun altro per quella condizione in cui si sentiva destinata a soccombere, senza possibilità di rimedio e così prese la tremenda decisione di interrompere ogni contatto con ciò che più amava al mondo, Oceano e tutto il resto, soffrendo in silenzio e pregando dio di farla morire, ogni notte; trascorse così quei tre mesi, non più emozioni, non più interesse per qualsiasi cosa; non riusciva nemmeno a guardarsi allo specchio tanto si odiava e tanto meno riusciva a guardare negli occhi la sua famiglia, disperata e impotente di fronte a quella figlia che si era chiusa in sé stessa ed era così diversa: Aria non dava più agli altri il suo amore, il suo conforto, ma scaricava su di sé e sui componenti delle sua famiglia solo la sua profonda rabbia e l’odio. Non parlò più, non vide più nessuno. Ma Oceano sempre più spesso dominava i suoi pensieri. Nei momenti in cui la sua mente vagava liberamente, i pensieri si soffermavano per ore intere su ci lui; i ricordi delle intense emozioni passate durante i pochi viaggi fatti insieme, le domeniche in cui avevano guardato i film distesi insieme sul divano di casa sua, le risate nei locali, di sera, bevendo una birra, le sue mani, i suoi baci dolci e infuocati, la sua musica, la sua timidezza.

Aria viveva di quei ricordi e provava un odio distruttivo e cruento per come si era ridotta, per la sua incapacità a riemergere dal buio, dal deserto che si era creata attorno. Ma, quasi senza accorgersene, il desiderio sempre più grande ogni giorno, di riabbracciare Oceano, l’amore e il suo motivo di vita, pian piano le fecero rivedere la luce.

Il treno era quasi arrivato a destinazione quando Aria riaprì gli occhi. Si era addormentata ascoltando la musica; l’anziana coppia non c’era più, era scesa senza dal treno senza che lei se ne accorgesse. Davanti a lei ora c’era una giovane donna con un bimbo di qualche mese in braccio, che la guardava incuriosito: nulla al mondo era più bello ed emozionante degli occhi allegri e puri di quel bambino, del suo viso soddisfatto, delle sue manine ansiose di sperimentare ogni cosa.

Chissà quando anche lei si sarebbe sentita in grado di crescere un figlio, di insegnargli tutto, come riuscire a vivere, come cogliere la bellezza e la felicità della vita, come amare… e lei il suo amore l’aveva trovato e non voleva più lasciarlo andare.

Il cuore cominciò a batterle all’impazzata quando il treno si fermò a Firenze: Aria salutò il piccolo con la mano e scese di corsa. Sapeva bene quale autobus doveva prendere per raggiungere Oceano a casa sua, dove era stata tante volte. Era certa di trovarlo a casa a quell’ora di sera e dentro di lei era sicura che, cogliendolo di sorpresa l’avrebbe reso estremamente felice. L’autobus arrivò.

Stava per suonare il campanello della palazzina in cui Oceano viveva quando sentì di non riuscire a reggere tanta emozione; il cuore batteva sempre più forte, le gambe barcollavano ma suonò lo stesso… una, due tre volte. No, non c’era nessuno, ma aspettò lì: si fece aprire il portone di ingresso con una scusa e si sedette davanti alla sua porta.

Forse lui aveva cambiato le sue abitudini, o aveva avuto un impegno, o semplicemente era uscito a correre. Rimase ad aspettare per ore e a notte fonda lui tornò, ma non era solo: abbracciata a lui c’era una ragazza. Si tenevano stretti e ridevano.

Quando vide Aria rimase impietrito e non riuscì a fermarla quando scappò via, piangendo.

Si sentiva tremendamente vuota, sola, dentro le era rimasto solo un oceano di lacrime, non vedeva più nessuna luce nella sua vita dopo che anche l’ultima si era spenta, così all’improvviso, inaspettatamente. Camminò senza sapere cosa fare: ora quella stessa città che tanto amava le metteva paura, voleva solo andarsene via. Si accasciò su una panchina in un piccolo parco e pianse,  pianse tutta la notte. Non riusciva a pensare, sentiva il nulla, voleva il nulla.

Aria non vide l’alba dopo le tenebre, non vide più nessun fiore rosa di nessun albero di pesco, non sentì più dolci abbracci, non udì più parole, forse solo la sua musica.