di Alessia
quando
Aria, trafelata e col cuore in gola arrivò. Aveva sempre odiato essere in
anticipo e così anche quel pomeriggio aveva aspettato l’ultimo minuto per
prepararsi in fretta e furia e partire.
Era
da molto tempo ormai che sognava quel giorno, programmato e vissuto nella sua
mente mille volte, in mille modi possibili, diversi, valutando ogni possibile
reazione, ogni imprevisto, ogni parola. Si sentì euforica, irrequieta e
soprattutto molto fortunata quando vide che il treno, tanto atteso, col suo
ritardo l’aveva aspettata. Aveva ancora il fiato corto quando giunta al
binario si accese una sigaretta, come faceva sempre per ingannare l’attesa:
non c’era nessuno che lei conoscesse e anche se le piaceva stare con gli altri
pensò che da sola si sarebbe concentrata meglio e si sarebbe fatta forza per
quell’incontro, non facile dopo tutto il tempo passato.
Il
caldo sole di maggio, il cielo azzurro, i fiori rosa degli alberi di pesco,
davano ad Aria una sensazione di serenità primordiale, di benessere, quasi si
trovasse tra le braccia della natura, fuori dal tempo, in armonia col tutto.
Un
brivido la percorse, paralizzandola dolcemente, quando si rese conto di provare
quella piacevole sensazione che non ricordava più e d’un tratto la mente andò
nei dedali della sua memoria riportando in superficie fugaci immagini, fuggevoli
scene di qualche mese prima, di lei che rideva e correva leggera. Ma quella
serenità che si era dissolta, frantumandosi in tristezza, solitudine e odio,
finalmente era tornata.
Lo
scompartimento per fumatori in cui si era seduta era affollato di gente che,
fastidiosamente silenziosa, leggeva, dormiva o scrutava i nuovi viaggiatori che
cercavano con occhi vigili un posto a sedere. Amava sedersi vicino al finestrino
, per poter vedere quel paesaggio che ormai conosceva bene ma in cui scopriva
sempre qualcosa di nuovo.
Davanti
a lei stava una coppia di anziani signori: lei, ancora di bell’aspetto,
nonostante l’età, sfogliava un album di fotografie, soffermandosi su ognuna
per molto tempo, quasi volesse rivivere l’istante passato reso eterno dallo
scatto , lui le teneva la mano, sfiorandole il palmo, sonnecchiando dopo aver
letto un libro che teneva ancora aperto sul petto. Era soddisfatta del suo
posto, dove poteva ammirare quell’immagine così dolce dei due attempati
innamorati. Le sembrava quasi impossibile immaginare se stessa in un futuro così
lontano, in cui probabilmente avrebbe vissuto felice, o almeno più serena,
forse addirittura soddisfatta dei suoi giorni, dei suoi gesti, dei suoi
sentimenti, e in cui viveva senza più concedere un solo istante a tutta
l’insicurezza, l’angoscia che l’attanagliavano ora che era così giovane.
Non
faceva nulla e soprattutto non viaggiava mai senza una musica di sottofondo che
le tenesse compagnia: così anche se si era preparata in gran fretta non
dimenticò i suoi dischi. Il treno era appena partito e lei stava già
ascoltando la voce di Jeff che a
volume altissimo la isolava dal resto e faceva fluire lentamente i suoi
pensieri.
Si
sentiva tremendamente eccitata, desiderosa di rivedere quel ragazzo speciale con
cui aveva vissuto momenti di amore profondo, di intensa felicità, di armonica
sintonia; lo sentiva ancora estremamente vivo in lei, vicino come forse mai
prima d’allora. Sapeva bene che era stata lei a decidere che la soluzione
migliore era non parlarsi e non vedersi per un po’, sentiva di non avere più
niente da dargli e non capiva come lui facesse a stare ancora con lei, così
cambiata che lei stessa stentava a riconoscersi. Era certa però che lui non
l’aveva dimenticata…come avrebbe potuto, nonostante il dolore per le dure
parole che si erano detti, cancellarla dalla sua vita, lei, la sua Aria,
un’anima sensibile divenuta per lui necessaria, la sua metà perfetta.
Entrambi sapevano che il legame che li univa era qualcosa di indissolubile, di
inspiegabile a parole, qualcosa di raro, l’amore, quello vero, che tutto rende
possibile, anche vivere in un mondo malato.
Mentre
Aria, cullata dalla musica, cercava di rilassarsi, come saette che si stagliano
nel cielo, le sensazioni, le parole dei momenti più dolorosi che aveva vissuto
dopo quel tremendo addio, ritornavano a galla ed era come morire dentro per
l’ennesima volta. Ma ora Aria era più forte, sentiva di essere speciale
almeno per lui, e questo le bastava per non sprofondare nel buio, soffocata da
dubbi, paure, pensieri di tenebra. Non voleva più piangere e nascondersi per
non affrontare la sua vita e il mondo che la guardava e cercava un contatto con
lei. Non si sentiva diversa da com’era, ma ora riusciva ad accettare tutto di
sé, riusciva a riconoscere e a dar valore ai suoi pregi e riusciva a convivere
coi suoi difetti, coi suoi limiti; non pensava più alla persona che non era e
che desiderava essere, come fonte di sofferenza e di odio verso sé
stessa…semplicemente si amava per come qualcuno lassù aveva deciso di
crearla, tutto doveva avere un senso, anche quel periodo in cui si era sentita
sola, inutile, senza futuro, era destinato a cambiare la sua vita, forse a
migliorarla. Aveva passato tre mesi rinchiusa dentro le quattro mura della sua
stanza ergendo un muro invalicabile tra lei e sé stessa, lasciando il mondo, la
sua famiglia, i suoi amici e il suo amore fuori, lontani.
Il
suo deciso rifiuto per la vita, il suo rifiuto sofferto di amare sé stessa e il
disperato desiderio di essere qualcosa di diverso, ersero una barriera che
niente e nessuno sembrava riuscire ad abbattere: in quel suo mondo artificiale
sopravviveva sola con i suoi più neri pensieri che accumulandosi uno dopo
l’altro, come una valanga la travolgevano, lasciandola atterrita e ferita al
suolo, priva di forze, nel silenzio.
E
pensare che un tempo Aria si sentiva speciale, almeno un po’, dotata di qualità
che facevano di lei una cosa unica. Le dava soddisfazione riuscire bene in
qualcosa . Ma con gli anni si accorse di essere un punto minuscolo in un mondo
di dimensioni esageratamente enormi, in cui moltissime altre persone facevano
quello che lei sapeva fare in modo mille volte migliore. Cominciò pian piano a
ridimensionare la considerazione che aveva verso se stessa, quasi
inconsapevolmente, non dava più alcun valore alla sua dote. Si sentiva
bloccata, non riusciva più ad esprimersi bene quanto avrebbe voluto, non era più
soddisfatta di nulla di ciò che creava.
Cominciò
a dedicarsi ad altro, scoprì nuove
situazioni, nuove emozioni, che le fecero conoscere altri aspetti di sé; ma, il
confronto con gli altri, che prima le dava gioia, si tramutò in qualcosa di
doloroso, che le trasmetteva disagio e ansia. La sua incapacità ad affrontarlo
la faceva soffrire e la stima verso di sé diminuì: iniziò a dare una
considerazione esagerata ai suoi difetti, arrivò ad odiare persino il suo viso
e arrivò a diciassette anni quasi disprezzandosi. Solo l’affetto che gli
altri le davano la sollevava dalla sua tristezza.
Quando
conobbe Oceano se ne innamorò subito e quasi stupita di essere amata da lui
ritrovò la gioia per la vita e il rispetto per sé stessa. Ma il suo senso di
inadeguatezza, di inutilità, quello stato di tensione per la mancanza di
qualcosa che non si ha e che si desidera avere, solo inabissato dentro di lei,
non ci mise molto a riemergere con una forza ancora più travolgente di prima. A
nulla serviva l’amore che da lui riceveva che ormai non riusciva più ad
assaporare e a ricambiare presa com’era dal suo malessere. L’ultima cosa che
voleva era far soffrire qualcun altro per quella condizione in cui si sentiva
destinata a soccombere, senza possibilità di rimedio e così prese la tremenda
decisione di interrompere ogni contatto con ciò che più amava al mondo, Oceano
e tutto il resto, soffrendo in silenzio e pregando dio di farla morire, ogni
notte; trascorse così quei tre mesi, non più emozioni, non più interesse per
qualsiasi cosa; non riusciva nemmeno a guardarsi allo specchio tanto si odiava e
tanto meno riusciva a guardare negli occhi la sua famiglia, disperata e
impotente di fronte a quella figlia che si era chiusa in sé stessa ed era così
diversa: Aria non dava più agli altri il suo amore, il suo conforto, ma
scaricava su di sé e sui componenti delle sua famiglia solo la sua profonda
rabbia e l’odio. Non parlò più, non vide più nessuno. Ma Oceano sempre più
spesso dominava i suoi pensieri. Nei momenti in cui la sua mente vagava
liberamente, i pensieri si soffermavano per ore intere su ci lui; i ricordi
delle intense emozioni passate durante i pochi viaggi fatti insieme, le
domeniche in cui avevano guardato i film distesi insieme sul divano di casa sua,
le risate nei locali, di sera, bevendo una birra, le sue mani, i suoi baci dolci
e infuocati, la sua musica, la sua timidezza.
Aria
viveva di quei ricordi e provava un odio distruttivo e cruento per come si era
ridotta, per la sua incapacità a riemergere dal buio, dal deserto che si era
creata attorno. Ma, quasi senza accorgersene, il desiderio sempre più grande
ogni giorno, di riabbracciare Oceano, l’amore e il suo motivo di vita, pian
piano le fecero rivedere la luce.
Il
treno era quasi arrivato a destinazione quando Aria riaprì gli occhi. Si era
addormentata ascoltando la musica; l’anziana coppia non c’era più, era
scesa senza dal treno senza che lei se ne accorgesse. Davanti a lei ora c’era
una giovane donna con un bimbo di qualche mese in braccio, che la guardava
incuriosito: nulla al mondo era più bello ed emozionante degli occhi allegri e
puri di quel bambino, del suo viso soddisfatto, delle sue manine ansiose di
sperimentare ogni cosa.
Chissà
quando anche lei si sarebbe sentita in grado di crescere un figlio, di
insegnargli tutto, come riuscire a vivere, come cogliere la bellezza e la
felicità della vita, come amare… e lei il suo amore l’aveva trovato e non
voleva più lasciarlo andare.
Il
cuore cominciò a batterle all’impazzata quando il treno si fermò a Firenze:
Aria salutò il piccolo con la mano e scese di corsa. Sapeva bene quale autobus
doveva prendere per raggiungere Oceano a casa sua, dove era stata tante volte.
Era certa di trovarlo a casa a quell’ora di sera e dentro di lei era sicura
che, cogliendolo di sorpresa l’avrebbe reso estremamente felice. L’autobus
arrivò.
Stava
per suonare il campanello della palazzina in cui Oceano viveva quando sentì di
non riuscire a reggere tanta emozione; il cuore batteva sempre più forte, le
gambe barcollavano ma suonò lo stesso… una, due tre volte. No, non c’era
nessuno, ma aspettò lì: si fece aprire il portone di ingresso con una scusa e
si sedette davanti alla sua porta.
Forse
lui aveva cambiato le sue abitudini, o aveva avuto un impegno, o semplicemente
era uscito a correre. Rimase ad aspettare per ore e a notte fonda lui tornò, ma
non era solo: abbracciata a lui c’era una ragazza. Si tenevano stretti e
ridevano.
Quando
vide Aria rimase impietrito e non riuscì a fermarla quando scappò via,
piangendo.
Si
sentiva tremendamente vuota, sola, dentro le era rimasto solo un oceano di
lacrime, non vedeva più nessuna luce nella sua vita dopo che anche l’ultima
si era spenta, così all’improvviso, inaspettatamente. Camminò senza sapere
cosa fare: ora quella stessa città che tanto amava le metteva paura, voleva
solo andarsene via. Si accasciò su una panchina in un piccolo parco e pianse,
pianse tutta la notte. Non riusciva a pensare, sentiva il nulla, voleva
il nulla.
Aria
non vide l’alba dopo le tenebre, non vide più nessun fiore rosa di nessun
albero di pesco, non sentì più dolci abbracci, non udì più parole, forse
solo la sua musica.