COME...FRASTUONI LONTANI

 

di Marcello Qualsiasi

 

…la vittoria di chi non ha creduto ai

 miei “Ricordi di un futuro anteriore”…

I miei versi

non producono

immagine alcuna.

Difetto, assenza

di talento, d’idee,

innaturale catarsi.

 

I miei versi

non rispettano

metrica alcuna,

imperdonabile mancanza

di tecnica e abilità,

maldestro fallimento.

 

I miei versi

non trasmettono

sentimento alcuno.

Fredde costruzioni,

false verità, calcolate,

statiche geometrie.

 

I miei versi

non possiedono

valore alcuno.

Prevedibile prodotto,

di un poetastro

della domenica mattina.

 

 

 

Come guardare dentro

un amore andato via,

il ricordo d’oro

di un passato che non torna.

Di donne ne ho amate,

senza alcuno scopo,

solo per un po’ di compagnia

in un eterno vagare solitario.

 

Come sentire da dietro

una porta mezz’aperta

la metà della verità

e l’altra perderla nel silenzio.

Di giorni ne ho passati,

io fantasma, brutta copia di me,

senza fine se non un’altra notte

da passare e lasciare dov’è.

 

Come ascoltare in controluce

una voce che ancora non c’è

una musica che, forzata, tace

e si chiede in silenzio il perché.

Di sogni ne ho calpestati,

ho distrutto le più piccole illusioni

e adesso vivo da solo, silente

il susseguirsi stanco delle stagioni.

 

 

 

Fraternizzo col nemico,

io avanguardia e retroguardia

della mia vita,

conosco gente che uguale a me

si schiera contro,

contro chi?

Contro sé. Il tratto distintivo

è soltanto la divisa,

il fango sul volto

lo abbiamo entrambi,

i morsi degli spari

dissanguano tutti e due,

tutti e due sotto metri di sabbia,

ma non ancora sotto terra.

Sono pochi i metri di distanza,

ti sento respirare,

ti sento pregare,

ti sento bestemmiare.

Siamo entrambi il bene

e l’un per l’altro il male.

 

 

 

Lo specchio,

fiancheggiante realtà,

rimanda una trasparente

caricatura di me.

Inchioda la luce

stridente di un est mattutino

brillando veloce,

bloccando la mente.

 

Lo specchio,

piatta esistenza

senza indipendenza

diviene vivo.

Inchioda la reale

immagine di me.

Il contrario prende forma,

rendendomi dipendente da sé.

  

 

 

Una ruga in più,

un solco lungo la fronte,

non ricordo di averla vissuta,

è comparsa durante la notte.

Una lacrima in più,

una scia lungo le guance,

senza soffrire nel vederla cadere,

e mischiarsi a mille altre gocce.

Una carezza in più,

sopra la pelle di gote arrossate,

senza vedere la mano silente

che lascia il dolce sopra ogni niente

Una mattina in più,

un ricordo che scompare nel vento,

senza capire che cosa fosse,

magari il sogno di un caro momento.

 

 

 

Hanno ammazzato il mio nemico

sotto il fuoco di preparazione,

l’ hanno ucciso con viltà,

senza alcuna spiegazione.

Mille denti di metallo

lo hanno preso dritto al cuore,

il risveglio del mattino

è rosso vivo, disarmante.

 

Hanno ammazzato il mio nemico

e una parte anche di me,

delle notti a farsi quasi compagnia

in mezzo al freddo ed alla pioggia.

Era bello il mio nemico,

occhi azzurri di gioventù

persi in guerra per sparare,

senza sapere contro chi.

 

Hanno ammazzato il mio nemico

o lo avrei ammazzato io,

mentre il biondo dei capelli

si coagula di marcio.

Era corretto il mio nemico,

il primo sparo sempre in aria

dava il tempo di svegliarsi,

poi sparava nella sabbia.

 

Hanno ammazzato il mio nemico

mentre come ogni mattina

sparando ci salvava…

…gli hanno sparato senza salvarlo

 

 

 

E sei tu,

qui solo,

un punto,

infinitesimale volontà.

Loro scompaiono,

ibridi esseri

brutti di bellezza,

rullanti di ozio…

il vero è unico acuto,

ottuso motivo di vita.

 

 

 

Non soltanto ammetto

la mia trasparente follia,

in più ancora, ebbene,

di ciò io mi compiaccio.

Sono diverso, non dagli altri,

sono diverso da me,

non ho termine di paragone alcuno,

tranne ciò che mi vive dentro.

 

Sono schizofrenico

e vivo una vita

ed un'altra ancora,

sono entità sovraumana

e ricordo del passato.

Esisto laddove voi non esistete,

sono l’aldilà delimitato

dai vostri ingombranti canoni.

 

Non soltanto ammetto

la mia lucida pazzia,

ma confermo la vostra inutile,

piatta normalità.

Vivo dove voi non vi addentrate,

emarginato dalle uova d’oro,

resto in silenzio tra le altrui parole,

profano di voce il vostro sacro silenzio.

 

 

 

Perdonami o Signore

perché vincendo ho perso l’anima,

perché per pulire il futuro

ho insanguinato il mio passato,

perché per salvare moglie e figli

ho ucciso padri e nonni,

perché per aggrapparmi alla vita

ho calpestato mille morti,

perché ho fatto una gran guerra

per un’effimera pace,

perché mi sono fatto comandare

da quei diavoli in persona,

perché per liberarmi dalla prigionia

mi sono intrappolato nel rimorso.

Perdonami Signore

o, se vuoi, dannami pure,

non si può costruire una vita

sulla morte della ragione.

 

 

 

Le vie arrotondate di pietra,

inondate da un pallido sole,

una piazza, poche persone,

tante spalle sorridenti, sudate.

Una grande porta scricchiolante,

un’ immensa luce di vetrate,

un po’ d’acqua sulla fronte,

cori di voci bianche sull’altare.

 

 

 

Ritornerò, lo so,

il cuore cederà

alla tua assenza,

le tende si riempiranno

del tuo profumo

rendendole più tue.

Ritornerò, lo so,

rallentando la mia corsa,

cambiando il viaggio

da un addio ad un ritorno,

senza più aria

per sostenere il ricordo.

Ritornerò, lo so,

mi spezzerò da solo le ali,

sullo sfuggente di questo amore,

in uno struggente compromesso.

Ritornerò, lo so,

rinunciando per sempre a me stesso.

 

 

 

Cosa vuoi che sappia io?

Io ho amato la guerra

odiandola a morte

ed ho ucciso con la rabbia

di un ottuso giovincello.

Cosa vuoi che sappia io?

Io sparavo solamente,

“niente domande soldato!”

 

Cosa vuoi che ti dica adesso?

Vorresti indietro i tuoi cadaveri?

Vorresti tornare indietro nel tempo?

Ti piacerebbe tornarmi davanti

e non titubare più!
la guerra, si sa, è una gara,

è velocità d’azione,

ci hanno insegnato a non pensare.

 

‘Che se mi fossi fermato a pensare

mi avresti ammazzato,

se mi fossi fermato a riflettere

chissà dove sarei finito.

Invece sono intrappolato

in questa macabra vittoria,

dovrò ballare sulla tua tomba,

calpestandola con segreto rispetto.

 

 

 

Stanco

o solo nebbia,

non fumo

o foschia!

 

Solo maledetta nebbia,

trauma, droga,

adrenalina mancata,

non verso acido lattico.

Cose inspiegabili si susseguono

e senza seguito scorrono.

 

 

  

Giammai accetterei

di tornare nel passato

eppure d’errori ne ho fatti,

pur sempre avendo vissuto.

Di giorni ne ho visti passare,

ho visto le notti colare

sul cielo di piombo d’inverno,

sulle vie odorose di fango.

 

Giammai accetterei

di risvegliare i miei sensi,

adesso che sembrano essersi spenti

assecondando la mia pigrizia.

Di amori ne ho visti svanire

sulla mia pelle, sopra il mio cuore

e tutti gli squarci si sono sanati

lasciando cicatrici e nessun dolore.

 

Giammai accetterei

di cancellare anche un solo rimpianto,

adesso che, solo, ho imparato

a conviverci bene accanto.

Di errori ne ho visti scorrere,

pagandoli tutti con il mio dolore,

di rimpianti ne ho tanti sopra le spalle,

che battono assieme, al tempo del cuore.

 

 

 

Combatto da una vita

e neppure lo sapevo,

mi spaventava tanto

una possibile pace.

Sono in guerra da una vita

e non me ne sono accorto,

sono nato in mezzo a un campo

tra i cadaveri e gli spari.

 

Sparo colpi da una vita,

e per me era normale,

per me, nato in un conflitto,

con in spalla già un fucile.

Sono in guerra da una vita

e mi sento respirare,

per me è pace questo frastuono,

non ho mai sentito il silenzio.

 

Io uccido da una vita

e non c’è niente di speciale,

ho sempre fatto la mia vita

guardandomi le spalle.

Sono in guerra da una vita

e non me ne sono accorto,

venuto al mondo tra gli spari:

io non conosco altre realtà.

 

 

 

L’estate snocciola lenta

i suoi giorni sofferenti,

il cielo scolorito trasuda

indisponente umidità.

Passano indifferenti

le note della noia,

osservano i soffi del vento

e vanno via senza voltarsi.

 

L’estate rivela impetuosa

la potenza del temporale,

un freddo scorrere di catene

che stemperano il cuore.

Tuonano rimbombando

i vuoti della mente,

in un pianto rotto del cielo

che vola verso l’orizzonte.

 

L’estate sussurra dolce

la fresca brezza di mare

che suona come vecchio canto,

come una serena attesa.

Rischiarano già i monti

e le nubi adesso sono chiare,

pronte per planare dolci

e arrossarsi all’imbrunire.

 

 

 

Il rosa diviene violento,

un’esplosione di nubi,

l’orizzonte s’infuoca

lasciando il nero dietro.

S’accendono luci,

stelle, finestre, lampioni,

milioni di punti

costellano la completa visuale.

Una foglia in silenzio

cade piano sulla via,

giovane settembre, porta lontano,

quest’estate foriera di nostalgia.

 

 

 

Sono qui, immobile.

La corrente mi porterà

verso il mare, verso la fine

ed io tornerò acqua e sabbia.

 

L’unico segno che lascio di me

è questo sangue,

diluito con acqua di fiume,

un rosso che presto scomparirà.

 

Questo rimane di me e mille morti,

solo una macchia,

solo un male necessario

per portare altrove la nostra libertà.

 

Sono qui, galleggio ancora,

la corrente mi cullerà,

marcirò perché è giusto così,

simbolo dell’umana bestialità.

 

 

 

Gli scacchi sono fermi,

la polvere degli anni

li ricopre avvolgendoli

assieme ai ricordi.

E’ rimasta incompiuta

questa partita,

divenuti troppo stretti

il bianco ed il nero.

Ho giocato senza capirlo,

ho perso e vinto

grandi battaglie

senza sapere di combattere.

Se l’avessi saputo

te l’avrei data vinta,

io re nero, tu regina bianca,

la nostra storia la partita.

 

 

 

M’illudo di apparire

cavallo bianco, purosangue

nascosto dietro lo steccato.

Mi vanto della linea,

delle mie zampe veloci,

senza mai uscire dal mio recinto.

Mi guardo attorno

suscitando stupore,

attonito scalpore.

Mi guardano bene,

oltre il chiuso di stecche,

sorprendendomi misera zebra.

 

 

 

Come puoi volere la pace

tu che porti qui la guerra?

Come puoi esportare democrazia

tu che invadi la mia terra?

Cercavi un uomo solo

e l’hai trovato,

ma continui ad ammazzare,

la mia gente adesso è stanca

e vorrebbe riposare.

 

Come puoi volere il mio bene

se mi spari a bruciapelo?

Come puoi cercare il giusto

bombardandoci dal cielo?

Cercavi solo la tua pace

ed è rimasto il nostro silenzio,

le città sono deserte

e le macerie incatenano il vento.

 

Cercavi solo la verità,

e la mia gente adesso tace,

hai distrutto vite e città,

con questa guerra, per la tua pace.

 

 

 

Non siamo noi

o forse lo siamo,

intonati al silenzio

assoluto dell’esistenza.

 

Esisto?

 

Terribile dilemma

e fine ultimo

dell’intelletto,

inutile domanda:

odio cerebrale.

 

 

 

L’ultimo io,

unico finale,

causa ed effetto,

intonazione

dello stato d’animo

onirico.

 

Dovevi vivere,

esistere in sogno,

la vita, il sonno

indica la strada,

ruotando, lento

il significato,

ovunque esso esista.

 

 

 

T’ ho aspettato ogni mattina,

mentre andavo a lavandare,

t’ ho cercato in ogni foto,

in ogni lettera senza autore.

T’ ho inseguito con la mente,

tra i giornali, nella radio,

ti ho seguito passo passo,

pur lontana chilometri.

 

T’ ho aspettato ogni notte,

mentre nostro figlio si svegliava,

t’ ho cercato in ogni decisione,

in ogni visita alla tua famiglia.

T’ ho inseguito col pensiero,

pregando ogni domenica per te,

ti ho seguito rispettando la guerra

che ti separava da me.

 

T’ ho aspettato ogni pomeriggio,

nella sonnolenta estate,

t’ ho cercato in ogni stagione

frugando le singole giornate.

T’ ho aspettato amore, e sono morta

che tuo figlio è partito per la guerra,

hai aspettato che la fine ci riunisse tutti,

sotto una pietra e metri di terra.

 

 

 

Sono proiettato

in un mare

grasso di significato.

Non sono solo

in un significante,

fisso oltre, oltre

i tuoi vincoli

cerebrali, canoni

anomali d’esistenza:

troppo dolore

oltre nessun motivo.

 

 

 

Domani ti sveglierai,

la mente aprirà le finestre

blu dei tuoi occhi.

Ripenserai ai tempi andati,

ricorderai di me ripensando.

Capirai di aver perso degli anni

ad immaginare un’intera vita

senza la parola addio.

 

Suonerà come un’immensa esplosione

il silenzio della mia assenza,

le schegge colpiranno trafiggendoli

i tuoi occhi lineati di rosso.

Il letto su cui ti desterai

sarà la tomba del nostro amore,

sarà il tagliente ricordo

del presente divenuto passato.

 

Ti apparirà scuro il giorno che verrà,

il sole offenderà il tuo stato d’animo,

i colori saranno soltanto

il bordo sporco della tua esistenza.

Imprecherai contro di me,

contro il mio destino da nomade,

piangerai sulla mia ultima partenza,

consapevole dell’eternità della tua attesa.

 

Smetterai d’aspettarmi, lo so,

il ricordo si farà sempre più sbiadito,

resterà solo un sorriso, una cornice ed un rosario.

Sentirai di avere tanto amore da dare

e la sensazione di non averne

mai dato abbastanza,

il dolore per il mio lutto

e il bisogno di rinascere dalla mia morte.

 

 

 

Come l’inverno distrugge

i piccoli nidi delle rondini,

così la guerra scoperchiò

la nostra normalità e noi

scappammo, croci d’autunno

per sfuggire al primo freddo.

 

Come la tigre azzanna affamata

la sua debole preda con un solo balzo,

così la guerra morsicò

il nostro piccolo popolo

ed annegammo nel sangue

del nostro rosso, innocente sangue.

 

Come il fischiare del vento

leviga e arrotonda i sassi,

così il tempo ci sanò

le ferite di un’altra guerra,

la pace ci assalì improvvisamente

scoprendo mille e più morti per terra.

 

 

 

Solamente questa

fine potrà

in-soddisfare il dolore,

niente d’altro meritano

i drammi della vita,

trasformati in grottesche,

oleose figure subumane.

 

 

 

Gusto a fondo la tristezza,

m’è dolce il suo sapore,

ne apprezzo la profondità,

dimenticando ciò che è altro.

Mi confido con me stesso

e mento spudoratamente,

ometto importanti particolari

per apparirmi uomo perfetto.

 

Gusto a fondo i miei ricordi,

prevalgono il giallo ed il blu,

suona come freddo invernale

il rumore del passato.

Mi ritrovo dentro me

e discuto ciò che è stato,

ciò che avrei potuto fare,

ciò che invece non ho fatto.

 

Gusto a fondo i miei secondi,

dietro un muro d’apatia,

dentro un groviglio d’amori,

senza tradire emozione alcuna.

Fuggo via, via da me stesso

pur trovandomi sempre in me,

in un eterno inseguimento,

finché la morte mi riporterà da te..

 

 

   

Vedo che ti sei destata,

hai già aperto le finestre

e la città ti appare

soltanto per quella che è…

 

Gli uccelli in cielo risplendono

di un inquietante metallico,

il cinguettio del pettirosso

è un severo rombo di morte.

Non portano più gli ulivi

tra le zampe, in segno di pace,

covano sotto l’ali grigie

uova d’esplosivo, preludi di morte.

 

La fresca brezza mediterranea

adesso è arsura di deserto,

il vento che prima era limpido,

adesso porta cenere con sé.

I bambini che cantavano felici

ora gridano per non far sfuggire la vita,

l’acqua che zampillava, come ricchezza,

adesso è petrolio, volontà di potere.

 

Vedo che ti sei addormentata

e con la forza di un dito

hai spento in un colpo

la tua rettangolare realtà.

Tu dormi beatamente,

oltre la stanza la quiete…

…si potessero spegnere così

anche questi frastuoni lontani…