LA MIA TERRA LONTANA

(LA PREGHIERA DEL TRAMONTO)

 

di Nicola Costantino

 

Seduto con la testa tra le mani

bevo il mio calice con profonde ferite

nell’antico portico arcuato sotto il cielo

grigio di pallidi veli ammuffiti.

 

Mille sono i segni di quest’età lacerata

che mi rimanda alla natura in fiore

nell’aspro disegno dei desideri rivisti

sullo schermo cupo delle ombre fitte.

 

Mi rigiro lento e rivedo nitido

quel fanciullo al Monte dei Saraceni, e il boscaiolo

che a colpi d’ascia fendeva il tronco brulicante

e schiacciava le ciglia inondate di sudore.

 

Un’ombra più nera s’avvicina e cerca

nel profondo i teneri pensieri di quella pubertà

dorata quando violento il mare avanzava

sulle rocce di Patti e faceva svaporare lo sgomento.

 

 

Sui piedi ardenti dei Nebrodi cessava la cicala

di frinire mentre luccicava l’uva nei vigneti

inebriati dal sole stagnante dell’estate incandescente

che non aveva confini nelle visioni ascetiche.

 

 

Scotendo la testa chiudo le persiane

ormai al tramonto.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

In questa lirica si parte da una particolare condizione esistenziale per disegnare un quadro in cui vengono rievocate le ansie e le attese  adolescenziali, quando la stagione estiva appariva infinita e non compromessa dall’autunno o dall’inverno.

 Rivedo così quell’antica età con un sentimento di immedesimazione che mi permette di attraversare l’inverno in una situazione psicologicamente favorevole.

I riferimenti geografici della poesia sono tratti dai luoghi della mia infanzia durante la quale ho potuto compiere le vaste e profonde ricognizioni che rimangono impresse nella memoria per sempre.

Patti, che ho abbandonato nella giovinezza, rivive nei miei ricordi con  un sapore di nostalgia e di significativo confronto con la realtà attuale. La lontananza di tempo e di luogo non mi impedisce di riassaporare i profumi di quell’età.