BlAcK_lOtUS's Fanfiction

Space-Dye Vest Part II:
Scenes from a Family


Act I: Hall (Regression)

Vicina a lui, la nuova studentessa, arrivata da poco. Vicina a lui, straniera, dolcemente silenziosa, come in attesa, mentre studia volti a lui noti, troppo noti, per lei assolutamente anonimi, per ora. Vicina a lui, di banco, dolcemente seduta, in attesa dell'arrivo di qualcuno, anche se i suoi compagni erano troppo storditi dalla sua bellezza per poter fare qualcosa di diverso da fissarla. Anche lui, del resto. Voltò la sua testolina per guardarlo. Lui si voltò rapidamente, per poterle ammirare il volto, prima solo di profilo. Lei se ne accorse e arrossì, come rossi erano i suoi capelli, lunghi e liscissimi. Temerariamente, spinto da un flusso di ormoni che mai prima aveva circolato dentro di lui, si alzò, percorrendo quei pochi passi che li separavano come in un sogno, con la testa leggera, priva di qualsiasi pensiero.

"...C...ciao...sei la nuova compagna, quella proveniente dalla Germania, giusto...?"
"...Si..."
"...P...piacere, Shinji Ikari..."
"...Piacere, Asuka Soryu Langley..."

La guardò di nuovo, bellissima, negli occhi, azzurri, la pelle chiara leggermente arrossita, il sorriso contento e imbarazzato, le strinse le mani e la baciò. Poi lei disse dolcemente:

"Sei un perdente, Shinji Ikari."

Act II: Bedroom (Strange Dejà vu)

La sua voce lo svegliò dal torpore. Era svenuto, del resto era la prima volta. Anche per lei, ma non era lei a subire. Sempre lui, il servo, lo schiavo, sempre lei, la padrona. Provò a muoversi, ricordandosi che era legato al letto, e avvertendo un dolore diffuso per tutto il corpo. E ritornò bruscamente alla realtà. Aveva deciso di andare avanti, di essere davvero la sua padrona, e lui aveva acconsentito. Del resto era già la padrona della sua anima, quindi già virtualmente ne possedeva anche il corpo. Aveva deciso di legarlo, con lacci da scarpe intrecciati a formare una sola corda, una per ogni arto, e poi aveva fatto partire il primo colpo con non so cosa, qualche surrogato di un frustino, fatto con quello che aveva la casa e la sua perversa fantasia. Tutto un sogno, la fragile speranza di essere giovani, di essere normali, di poter vivere come tutti gli altri, di non dover continuare, soli, a venir bruciati dal proprio destino. Non riuscendoci, trascinati dal vortice del loro dovere, della loro condizione, dei loro problemi, erano cresciuti troppo in fretta, adulti, e avevano trovato disponibile l'unico gioco concesso agli adulti. Un gioco a cui inconsciamente giocavano da tanto, tortura mentale, come quella del giorno in cui aveva dormito da Rei. Ripensava spesso a quel giorno, un giorno che sembrava lontano, e che era lontanissimo. Da allora la padrona era divenuta più dura, l'amante più dolce. Per coprire il rumore, lo stereo sparava i Morbid Angel nell'etere. Non che a Misato importasse molto. Giaceva in posizione fetale nel suo letto, con gli occhi spalancati, ripetendo ossessivamente il nome di Kaji, quando non beveva ovviamente. Sembrava aver perso ogni barlume di sanità mentale, ma ovviamente non potevano mandarla via, anche se pazza. Esempio lampante di un Dio infame che punisce chi partecipa alla sua deposizione, alla perdita della sua unicità. Lei si accese una sigaretta, il fumo si sparse nella sua camera. Gli soffiò il fumo in faccia, ordinandogli di respirare, e lui respirò avidamente, tossendo schifato subito dopo. Continuò a girargli intorno, sentiva però solo il rumore dei suoi passi, i tacchi alti che stranamente risuonavano nel suo capo, nonostante la musica. Forse si era abituato al death. Poi la musica tacque.

"LURIDO PORCO, MI FAI SCHIFO! NEPPURE GODERE MI FAI, SEI PROPRIO UN VERME! Non mi dà soddisfazione neppure frustarti, mi hai fatto passare la voglia..."
"...Mi dispiace, padrona..."
"Guardami Shinji! Mi vedi? Chi sono io?"
"...Asuka..."
"SBAGLIATO!" Frustata. "La tua PADRONA! P-A-D-R-O-N-A! Chi sono io?"
"... La mia padrona..."
"Esatto! Tu sei inutile, non mi aiuti mai, non servi mai, mi hai fatto passare le pene dell'inferno, tu, il Third Children, il più bravo! Tutti ti guardavano, tutti ti coccolavano, e IO pagavo! IO subivo! Qui non c'è nessuno a coccolarti, il tuo Eva non è qui, e eccoti qui, Third Children. Ecco come sei in realtà! Uno schiavo! Il MIO SCHIAVO!"
"...Si, sono il tuo schiavo..."

Il suo sguardo si addolcì, effetto delle sue parole. Dopo averlo accarezzato sulla testa lo slegò dal letto e l'abbracciò.

"Spero di non averti fatto male, credevo che facendo più forte ti saresti dimostrato meno passivo..."
"...Sarà per la prossima volta Asuka..."
"Baciami ora..."
"..."

Act III: Kitchen (Beyond This Life)

Birra. Tanta birra. Il frigo pieno. Il suo delicato ronzare, impercettibile se non nel silenzio di una notte. Asuka dorme, tranquilla, si è addormentata serenamente fra le sue braccia, non più padrona, ma solo ragazza bisognosa d'affetto, come la ragazza del suo sogno. Prese una birra dal frigo, era minorenne solo nel corpo, o così si sentiva allora. Ancora una prova della sua crescita: la aprì, e il rumore rimbalzò da una parete all'altra, come le onde del mare. Una candela sul tavolo illuminava la stanza, il suo odore faceva girare leggermente il capo, riempiendo la stanza col suo fumo. La bevve tutta, e restò lì in piedi per un po', non sapeva quanto, annebbiato dall'alcol che per la prima volta entrava nel suo corpo e il fumo della candela. Dopo un po' si guardò le mani, e gli parve che anche dalle punte delle sue dita uscisse fumo. Barcollando, decise di andare in camera sua, aprì la porta, ma si rese conto di aver sbagliato stanza, era in quella di Misato. Si avvicinò al letto, lei era sveglia, gli occhi aperti come sempre, le sue labbra mormoravano parole che solo lei capiva e sentiva. Appena si avvicinò a lei, però, riuscì a sentire qualche cosa.

"...Misato... cosa ci fai qui... restare a casa?...
...La mamma...sicuro...ho deciso...retta..."

Poi, sentì inequivocabilmente che il suo corpo stava per punirlo della sua pretesa di sentirsi adulto. D'altronde, il tempo è una dimensione dell'anima. Cercò di andare in bagno, ma non ci arrivò mai, e una gran pozza di vomito si formò sul pavimento. Sentì il rumore di passi sul pavimento, e vide la sua tutrice uscire dalla stanza, prendere un cencio e iniziare a pulire in terra, sempre con sguardo assente. Poi, si chinò, gli pulì la bocca con un fazzoletto, mormorandogli:

"Misato, quante volte ti ho detto che sei troppo piccola per queste cose?"

Gettò il fazzoletto in un cestino e si distese di nuovo sul letto.
Si lavò i denti in bagno, cercando di mandare via il sapore schifoso che aveva, perché sapeva che Asuka lo avrebbe punito se lo avesse sentito mentre lo baciava. Anche lui poi si distese sul suo letto, cercando disperatamente di dormire, senza riuscirci, però. Non sapeva perché, eppure era tardi. Poi, si alzò. Andò di nuovo in camera della sua tutrice, si avvicinò di nuovo a lei, sempre perfettamente sveglia, e la baciò. Sentiva che lei rispondeva, come disperata, come se fosse un qualcosa a cui ambiva da tempo. Tornò al suo letto, addormentandosi. Sognò di un altro bacio fra loro due, in un'occasione diversa, anche se aveva la sensazione di averla già vissuta, davanti a un ascensore, tutti in pericolo, lei ferita, lui privo di voglia di vivere. Fu svegliato da Misato, perfettamente lucida, perfettamente sveglia, in divisa. Li convocò entrambi in cucina. Il frigo era aperto, desolatamente vuoto. Il cestino di riciclaggio dell'alluminio era pieno e le lattine vuote impedivano di chiuderlo, il lavandino puzzava di birra.

"Allora? Cosa vuoi?"
"Voglio dirvi che starò via qualche giorno, Asuka. Ho pensato che sarebbe meglio che io andassi a stare da Ritsuko per qualche giorno..."
"..."
"Già, considerando che hai passato TUTTO IL TEMPO IN CAMERA..."
"ASUKA!"
"Lasciala fare, Shinji. Proprio per questo vado via. Perché ho lasciato che i miei problemi m’impedissero di farvi e farci vivere una vita almeno apparentemente normale, senza sfruttamenti" e guardò Shinji " e senza prepotenze." guardando Asuka.
"Perfetto, non abbiamo bisogno di nessun altro se non di noi stessi! TU NON AIUTI MAI, NON LAVORI MAI! VATTENE!"
"..."
"...A...appunto. O...ra è meglio che vada..."

Detto questo, aprì la porta e fuggì via, soffocando a stento i suoi singhiozzi, mentre l'acqua gocciolava mollemente dal rubinetto del lavandino...

Act IV: Bathroom (The Dance of Eternity)

Sentiva l'oppressione della giornata appena iniziata, iniziata con la dipartita di Misato. Sapeva di dover fare qualcosa, sennò sarebbe impazzito. Accese il computer, unica soluzione apparente, unico modo per rilassare la mente. Connessione, niente giochi, solo voglia di immergersi nel mondo alternativo creato dai media. Ricrearsi, pur essendo sempre se stessi, ogni volta che si connetteva, e questa era la prima volta dopo mesi, il pregio maggiore di questa finzione. Monotematica. Incappò infatti casualmente nel sito porno di turno, meta inevitabile di una parola sbagliata o troppo ambigua su un motore di ricerca. Posò lo sguardo sulle centinaia di banner e pop-up che si aprivano davanti ai suoi occhi, chiudendoli sistematicamente uno dopo l'altro. Poi vide se stesso riflesso sullo schermo, in un'immagine. Schiavo e padrona. Latex e frustino, manette e borchie. Mai avevano indossato abiti simili, né lui né lei, ma era così che dovevano andare le cose, se fosse continuato. Meno fantasia, più crudeltà, più servitù. Lì non c'erano corde di chitarra intrecciate a mo di frusta, mi cantini atti al dolore...

"Basta!"
"Hai paura Shinji Ikari? Paura di vedere la tua sporcizia? Saresti molto carino vestito così..."
"Asuka...tu..."
"IO vedo che a quanto pare non ti soddisfo abbastanza." L'espressione ironica mutò in durezza. Fredda come il ghiaccio, dura come il marmo, altrettanto pallida. Una vera e propria lapide.
"NEANCHE TU MI SODDISFI STRONZO SEGAIOLO! E NON HAI NEMMENO IL CORAGGIO DI SCUSARTI! La pagherai per questo lurido stronzo, ti frusterò così tanto da farti sanguinare la schiena! Ho fatto alcuni nodi alle tue care corde, vediamo se stavolta mi farai divertire di più!"
"Asuka...io...si, padrona."
"Stavolta voglio sentirti urlare, niente musica, solo grida."
"Si, padrona."

Un colpo dopo l'altro. Gridava, sentiva davvero il sangue scorrere sulla schiena, il tempo in questi casi perde ogni significato, assume solo un valore indefinito, una nebbia trasparente. Non è vero quello che dicono. Al trentesimo colpo senti lo stesso dolore del primo. Solo l'animo ci fa l'abitudine, ma ciò non t’impedisce di gridare e soffrire. Ma la sua padrona voleva così, e così doveva essere. Non ci si ribella alla tua padrona, oppure lei ti farà passare la voglia di ribellarti. Sentiva il muro caldo. Era abbastanza che lo frustava, gli ultimi colpi erano più deboli, come se fosse stanca, annoiata. La serranda abbassata, unica luce la lampadina.

"Ti è piaciuto, Shin-chan?"
"Si, Asu-chan"
"Ti amo."
"Anch'io."
"..."

Si staccò con gentilezza da lei, per andare in camera sua. Il suo piccolo regno, a sua immagine e somiglianza. Aveva bisogno di musica, di suonarla. All'inizio suonava il violoncello, poi aveva sentito Aoba suonare "Money" e allora aveva cambiato rapidamente strumento. Accese l'ampli, attaccò la chitarra, un’Ibanez, sette corde, alla pedaliera e questa all'amplificatore. Provò alcune cose, tanto per sentire se era accordata o meno. La finestra era aperta, e una tenue luce rossa entrava, mentre le sue dita viaggiavano tranquillamente sui tasti, diffondendo tutta la dolce malinconia che l'assolo di "Confortably Numb" potesse sprigionare nel cuore del chitarrista e dell'ascoltatore, troppo breve per soddisfarlo, troppo lento da suonare, troppo triste per un animo insultato e sottomesso fino a cinque minuti prima. Ma non importava. Era "Confortably Numb"! Sentiva il bisogno di suonare qualcosa, sentiva il bisogno di piangere, e con quella canzone di solito ci riusciva abbastanza. Gli uccellini cinguettavano fuori, sugli alberi vicini, si tornava a casa da una giornata di lavoro, anche loro schiavi. Serviva qualcosa di più impegnativo. "Take the Time". Aveva impiegato non so quanto tempo per impararla, e ora ci riusciva bene, e partì, veloce, a tempo, quasi impeccabile, sperando di sciogliersi nel rosso sempre più blu della città in tramonto. Occhi azzurri. Accese lo stereo, per sovrimporre la sua chitarra a quella di Petrucci. Capelli rossi. "Metropolis part II: Scenes from a Memory", "The Spirit Carries On". La voce triste di Le Brie, poi triste s’inserì lui, lento, acuto, triste, su parole di morte, in attesa del suo momento. Pelle bianca. Lacrime, finalmente. Finalmente l'assolo, finalmente la sua bravura veniva associata alla malinconia, dita abituate a viaggiare viaggiavano, poi di nuovo la voce e il coro femminile sovrastarono la sua chitarra, come doveva essere...

--If I die tomorrow, I'd be all right because I believe, that after we're gone, the spirit carries on...--

Asuka era li, in quella stanza illuminata ormai dalla luce della luna, mentre lui, chitarra ancora in mano, piangeva a dirotto sulle note finali della canzone, fuori gli uccellini cantavano ancora, ignari di tutto, i giovani e meno giovani camminavano in giro per le strade, alla ricerca di un ristorante, di un pub, di una discoteca, di un locale, di una prostituta, di una vita, di se stessi...

Act V: Door (A change of Seasons)

I. The Crimson Sunrise


...Di se stessi, di una vita, di una prostituta, di un locale, di una discoteca di un pub alla ricerca di un ristoranteigiovaniemenogiovanicamminavanoingiroperlestradeignaridituttofuorigliuccellinicantavanoancora...

Ancora un risveglio, l'oblio lo aveva di nuovo abbandonato. Sudato fradicio, ancora un incubo? No, lo sapeva. Ritornare in fretta, per il giovane, ritornare ancora, in un luogo di pace. Svanito. Il profumo era svanito. Unico ricordo di allora? Rosso, intorno a se il rosso, di sangue sulle lenzuola, come sempre, di sangue nei suoi occhi, come sempre. Un fiore appassito nel becker, come era vivo un tempo! Come poteva produrre un corpo così freddo tanto calore? Se lo domandava da tanto, lui. Ogni volta che tornava lì, e bastava che bussasse perché lei lo consolasse, con uno sguardo, col suo corpo. Fra le sue braccia, niente di più. Non sapeva se lei volesse spingersi più in là. Non sapeva se lui volesse spingersi più in là. Fatto sta che la sua unica casa era fra le sue braccia, in quel letto di sangue, sotto lo sguardo di sangue di lei, senza dire una sola parola. Lei captava le emozioni, le riceveva, le capiva, capiva un linguaggio superiore alla parola. Le emozioni non mentono. Le emozioni non sono false. Le emozioni non ti puniscono. Ma le emozioni ti rendono schiavo. Schiavo di due ragazzine, costantemente in bilico sul baratro della sanità mentale, fra due opposti in costante odio fra loro ma necessari l'uno all'altro. L'opposto concorde e dai discordi bellissima armonia. Tum. Il proprio cuore che va avanti imperterrito a battere. Tum Tum. Anche il suo. Tum Tum Tum. Anche quello della sua padrona. Tum Tum Tum Tum. Anche quello di Misato? Accarezzò dolcemente i capelli azzurrini di lei, poi strinse il suo capo al petto e chiuse gli occhi. Lei dolce e fredda. Tornare all'oblio, di nuovo all'oblio, basta pensare, basta riflettere, basta tutto, ancora per un'ultima volta...

Fragile il respiro, come polvere.
Sulle ossa, sulla pelle, sulla mente.
Annebbiato dalla rabbia silenziosa del suo vuoto fermentato.
-Segatura, segatura...-
Rimbomba il verso, l'espressione, il silenzio, la pace.
Vive tranquilla, ignara di tutto, ostenta se stessa, a se stessa.
Povera bambolina da plasmare, da sporcare, da distruggere.
Perché devi.
Prenderla, violentemente, controvoglia, sempre. Vedere la paura, il marcio, la soddisfazione nei suoi occhi marroni.
Luce e ombra, insieme.
Niente segni visibili.
Solo un leggero flusso di sangue, dalla ferita di una donna.
Una ferita da aprire, da incancrenire, simbolo del male e del bene, peccato e purezza, concentrato in un unico buco.
I corpi sudati, lei per lo sforzo di ribellarsi, lui per la fatica di penetrarla controvoglia, gemiti di orrore e piacere mescolati in una cacofonia di orrore e amore.
L'eccitazione del proibito, di un orgasmo strappato, riempirla di se stesso fra le sue grida di dolore, il massimo per lui.
Per punirla. Per vendicarsi.
"Puttana! Puttana!"
-Segatura, segatura...-

Scosse il capo. Fantasie inutili. Ritorno alla realtà. Tutto passato? Annaspò di nuovo, di nuovo sveglio. Ora sveglio, non più dormiente.

II. The Darkest of Winters

L'aveva lasciata lì. Di nuovo. Da sola. Ancora. Come l'altra volta. Da lei. Stringe i pugni. Stringi i pugni. Lotta. Sai cosa fare. Tornerà. Lo fa sempre. Perché è debole. Perché la ama. Perché mi ama. E lei ama lui. Ed io amo lui. La offende. La umilia. Non reagisce. Scappa. Deve punirlo per questo. Perché non cresce. Perché non la affronta. Perché non mi affronta. Freddo. L'armadio è buio. L'armadio è scomodo. Vuole uscire dal guscio. Non ci riesce. Perché non c'è nessuno.

"...Shinji... torna presto... Voglio sentirmi viva... Senza di te non posso vivere... vivere col passato che mi si para davanti... Chiudere gli occhi... Farfalle azzurre da schiacciare, rose rosse da salvare..."

Porta. Aperta. Passi. Sicurezza. Guscio. Rotto. Uscita. Vita. Vita nuova. Il sangue circola di nuovo nelle vene. Ti ha disubbidito.

Deve essere punito.

Act Six: Window (The Spirit Carries On)

Where did we come from?
Why are we here?
Where do we go when we die?
What lies beyond
And what lay before?
Is anything certain in life?


Televisione accesa, ora avevano cambiato stanza. Di solito lo facevano sempre in camera sua. Era stato duro farla entrare senza che Asuka se ne accorgesse, ma era necessario. Tutto era necessario. Ma soprattutto lei. Motivo semplice. Unica sua forza, unica sua sopravvivenza. Unico sfogo? Unica e sola salvezza? Risveglio. Solo risveglio, per ora... Ricorda il sogno, ricorda l'incubo, artista girovago, pittore di Montparnasse, girare di bar in bar, di modella in modella, vita semplice, vita vuota, niente umiliazioni, soddisfazione personale? C'è qualcosa di certo nella vita?

They say, "Life is too short,"
"The here and the now"
And "You're only given one shot"
But could there be more,
Have I lived before,
Or could this be all that we've got?


Il canale non lo sapeva, era uno a caso, probabilmente una televisione musicale. Anche stavolta non lo aveva voluto legare, voleva vedere le mie contorsioni, oppure semplicemente non sapeva come e dove appendere le pseudo corde che mi aveva creato, svago di un bellissimo pomeriggio di merda. Guarda la stanza, e propende più per la seconda opzione. Lui non saprebbe proprio dove legarsi. Oh, lei un posto lo avrebbe trovato di sicuro, anche al frigo, ma era lei quella che si divertiva di più. Finora. Grazie a lei. Occhi rossi. La "frusta" di nuovo sulla schiena. Ancora. Ancora. Ancora. Offese, la sua padrona voleva smuoverlo. Lei anche. Lui pure. Tutto ciò che ha ricevuto in questi giorni è questo. Sperava ben altro. Sperava di uscire, di respirare aria nuova, non il fumo imperante della sigaretta della padroncina, congelato in attesa di qualcosa, forse. Perché era vissuto prima, meglio di così. Perché lo schiavo gli stava stretto. Capelli azzurri.

If I die tomorrow
I'd be all right
Because I believe
That after we're gone
The spirit carries on


Il cantante, un tipo dai capelli lunghi, cantava qualcosa con voce dolce, ben impostata. Gli sembrava di riconoscerlo, ma non aveva tempo di concentrarsi con la mente, quando il corpo letteralmente urlava che lo strazio finisse. Sarebbe finito presto, lo sapeva. Lo voleva. Lo aveva capito, grazie a Lei. Pelle pallida. Credere in se stesso, per invertire i ruoli. Era vissuto prima senza di lei, ora non poteva più vivere però, senza la sua presenza. Pazienza. Almeno per un po' voleva andare avanti, invertire i ruoli, ricordarle che l'evoluzione è la chiave. Ingoia. La rabbia. La frustrazione. Presto finiranno, per lui.

I used to be frightened of dying
I used to think death was the end
But that was before
I'm not scared anymore
I know that my soul will transcend

I may never find all the answers
I may never understand why
I may never prove
What I know to be true
But I know that I still have to try

If I die tomorrow
I'd be all right
Because I believe
That after we're gone
The spirit carries on


La batteria e la chitarra elettrica si aggiunsero alla voce, leggeri, e malinconici. Come il crescere. Come le parole. Come lui, che prima aveva paura di cambiare, paura della punizione, paura di ciò che avrebbe provato se i loro rapporti fossero cambiati. Come una marionetta senza guida, che si accascia mollemente a terra, priva del burattinaio. Ma questo era prima. Il gioco vale sempre la candela, basta avere le palle per farlo. Lui le aveva? Se lo stava chiedendo da molto. Non aveva mai trovato la risposta a quella domanda. Né quando giocava a salvare un mondo che non voleva essere salvato, né quando scappava di casa per quelle poche ore di candore fra le braccia di colei che giaceva nella stanza accanto. Suo conforto e sollievo. Sua delizia e salvezza. Le suadenti carezze dell'amante sulla schiena, le frustate della padrona. Nessuna reazione. Non bastavano più.

"Move on, be brave
Don't weep at my grave
Because I am no longer here
But please never let
Your memory of me disappear"


Assolo di chitarra. Una scarica di colpi, rabbia, lacrime. Poi si accasciò a terra, piangendo, frustrata. Era l'ora. Si girò di scatto, le tolse le corde intrecciate dalla mano e con un gesto violento la sbatté sul tavolo.

"ORA BASTA PUTTANA! Prima di essere padroni veri bisogna aver saggiato la schiavitù!"

Si sedette sul tavolo e, dopo averle tirato su il capo prendendola per i capelli, avvicinò la sua scarpa al viso di lei.

"Leccami le suole, lurida troietta!"
"...si padrone..."

Pazzo. Rosso in volto, assolutamente fuori di se. L'immagine del sogno riattraversò la sua mente. L'odore di paura, era anche lì, fra di loro. Si sentì potente. Si sentì potente. Si sentì POTENTE! Mollò la presa dei suoi capelli, la testa cadde mollemente sul tavolo.

"Ti piaceva frustarmi, vero zoccola? Lo facevi tanto volentieri! Vediamo se ti piace anche provarla!"
"...Ti prego, padrone... la frusta no..."
"E invece SI!"

Risata. Poi, cominciò. Colpire colpire colpire sempre più forte, godere delle sue urla di dolore, aumentare il ritmo, sangue alla testa, la ragazza accanto, fonte di tutto, si tappò le orecchie, quasi piangendo, per poi infine prenderla, da dietro. Come un cane. Come un lurido amabile cane.

Safe in the light that surrounds me
Free of the fear and the pain
My questioning mind
Has helped me to find
The meaning in my life again
Victoria's real
I finally feel
At peace with the girl in my dreams
And now that I'm here
It's perfectly clear
I found out what all of this means

If I die tomorrow
I'd be all right
Because I believe
That after we're gone
The spirit carries on


Fine dell'assolo, ultima parte cantata e poi la fine. Come del suo sogno. Come del suo incubo. Urlava rabbioso mentre se la fotteva, non pensava, non si rendeva conto di niente. La stanza girava vorticosa intorno a lui, travolto dalla libertà assoluta provata, e presto destinata a finire. Perché si era ribellato. Perciò deve essere punito. Più tardi. Non gliene importava niente, però. Ora lui conduceva i giochi, ora lui era il padrone, ora lei urlava di dolore e di umiliazione, e lei sorrideva, sorrideva, mentre nell'altra stanza la ragazza dai capelli azzurrini piangeva ogni urlo, ogni offesa, ogni colpo, sentiva tutto, e piangeva perché non era quello lo Shinji a cui voleva bene ma lui non lo sapeva si sentiva libero la testa chiara capiva cosa provava la sua padrona e si sentiva rappacificato con la ragazza dei suoi sogni...*

"Che cartone da dementi!" disse Nicholas, spengendo la televisione.

CLICK.

[Note dell'autore]

Innanzi tutto ringrazio Caska Soryu Langley per... tutto. Per sorbirsi i miei deliri a ogni mail ma soprattutto per rispondere in maniera sensata, cercando sempre di farmi migliorare o di farmi ricordare che riesco a scrivere qualcosa di decente... Poi ringrazio i Dream Theather per le loro canzoni, perle musicali che mi hanno ispirato e aiutato a scrivere ogni parola, e che ringrazio chiamando ogni capitolo col nome di una loro canzone. Considero questa fanfiction un po' come un CD, un concept album dedicato al rapporto fisico e mentale fra Shinji e Asuka, meno onirico della fanfiction precedente, ma anche più completo. Non mi sento di dire altro se non che mi sono lasciato portare dalle note della chitarra. Le spiegazioni sarebbero troppo lunghe. Se le volete, mandatemi una mail, e io sarò lieto di spiegarvi le mie scelte coscienti. Alcuni punti, non so nemmeno perché siano venuti così...