le voci che corrono
Elémire Zolla (1926 – 2002)
Zolla, un dinamitardo fra i
miti dell´Occidente
Quando scomparve la scrittrice Cristina Campo, cui fu legato da un lungo
sodalizio di affetto e di studi, scrisse di lei: "La morte la colse di
sorpresa. Non vi era preparata. Nessuno pensa mai alla propria morte". Era
un tema che Elémire Zolla non aveva mai evitato, su cui si era interrogato a
lungo con la levità di un saggio taoista, negli ultimi anni in cui una serie di
malattie lo avevano costretto a non muoversi più dalla sua bella casa di
Montepulciano accanto alla moglie, l´estetologa Grazia Marchianò. Ieri se n´è
andato anche lui. Ha trovato l´ultima e definitiva delle Uscite dal mondo cui
aveva dedicato un bellissimo libro per Adelphi. Era nato a Torino nel `26, da
una famiglia cosmopolita, fatta di un padre italo-francese (il pittore Venanzio
Zolla) e da una madre inglese. Non amava particolarmente la città, che però
fece nascere in lui un certo gusto per l´occulto; ci era tornato ragazzo dopo
aver abitato felicemente all´estero. Per lungo tempo anche la cultura italiana
gli fu estranea, come lo sarebbero sempre stati i "padri" del nostro
Novecento, da Croce a Gramsci. La sua formazione era britannica, e divenne
quasi automaticamente anglista alla scuola di Mario Praz, di cui ereditò la
cattedra alla Sapienza di Roma: alle lezioni andava il giovane Roberto Calasso,
che infatti poi pubblicò o ripubblicò gran parte delle sue opere per l´Adelphi, da Lo stupore infantile alle
Uscite dal mondo alla Storia
dell´alchimia. Fu per un breve periodo romanziere di successo, quasi un
enfant gâté della Roma anni `50, dove sposò la poetessa Maria Luisa Spaziani,
un attimo prima che nella sua vita facesse irruzione Cristina Campo; introdusse
in Italia la scuola filosofica di Francoforte; ma la vera vocazione, il cuore
del suo lavoro, fu esplorare religioni e miti (non solo nei libri, anche nella
realtà del viaggio di scoperta). Da studioso anticonformista delle culture
tradizionali e naturalmente da intellettuale scomodo fu però ben presto messo
ai margini dal mondo intellettuale italiano - la cosa non durò in eterno, ma
quanto bastava - con l´accusa di essere un intellettuale di destra. Lui che
aveva scritto, con grosso successo, L´eclissi
dell´intellettuale alla fine degli anni 50 (e vinto anche un premio Strega
con un romanzo dal titolo Minuetto
all´inferno) non era per nulla diventato "reazionario"
all´improvviso: aveva semplicemente preso atto della fine delle stagioni
dell´impegno, spiazzando i suoi amici che in quel momento nell´impegno si
tuffavano. Di lì in poi il suo lavoro venne guardato con diffidenza. Le
incursioni nella mistica ebraica o musulmana, l´attenzione per i maestri del
sufismo ma anche per i filosofi zen giapponesi ne fecero un personaggio
sospetto, uno che parlava bene di Tolkien e che non era in sintonia con
nessuno. Troppo aristocratico, troppo ironico. Ennio Flaiano gli dedicò un
epigramma simpatico: "Elemire Zolla / preferisco la folla", lui vide
nel `68 una cospirazione demoniaca e nel `71 pubblicò un libro che fece molto
scandalo, dal titolo Che cos´è la
tradizione. Era un´accusa radicale alle ideologie totalitarie, soprattutto
quelle di stampo "progressista", in cui vedeva una sorta di deriva
"satanista" dell´Illuminismo. Zolla non era affatto un reazionario,
semmai un liberale, e soprattutto un uomo mite. Nel `69 aveva avviato per la
Nuova Italia una rivista importante e "strana", “Conoscenza religiosa”, destinata a durare fino all`83, accogliendo
saggi di Borges e Quinzio, e naturalmente di Cristina Campo. Studiava i mistici
(importante l´antologia ora ripubblicata da Adelphi sui Mistici dell'Occidente) ma si teneva lontano dal misticismo. Lui
non era un mistico. Semmai si sentiva un monaco che non aveva mai fatto i tre
voti canonici di povertà, obbedienza, castità. Era uno spirito libero molto
critico nei confronti dell´Occidente ma anche attentissimo al nuovo mondo delle
realtà virtuali. Ha scritto moltissimo (oltre che per Adelphi per Marsilio,
Mondadori, Red, senza contare le meravigliose edizioni di singoli saggi che si
faceva stampare da un grande tipografo come Tallone)*. Non si è mai lasciato
incasellare. Pochi anni fa, alla mia ennesima domanda sulle sue posizioni
politiche rispose forse per l'ennesima volta che la distinzione tra destra e
sinistra, per quanto lo riguardava, non serviva a molto, "se non alla
contesa politica più bassa". "E´ una deformazione che nasce dal
parlamentarismo francese: il partito dominante denomina destra il male e
sinistra il bene. Poi di volta in volta qualcuno capovolge i termini. Ma non si
possono suddividere gli scrittori tra destra e sinistra".
Mario Baudino, “La Stampa”, Torino 31/5/2002
*ci sembra
doveroso ricordare che il suo editore degli inizi, e per lunghi anni e numerosi
libri – i più importanti – fu Bompiani.
§
Elèmire Zolla, viandante nel
segno di Dioniso
Con un paradosso che a Elémire Zolla sarebbe forse piaciuto, si
potrebbe dire che con la sua scomparsa si sia estinta una razza di scrittore
che da noi non è neanche esistita, se si eccettua Giuseppe Tucci il grande
tibetologo. Di che razza si tratta? In genere, per cavarsela alla svelta si
invocano quelle sintetiche gabbie culturali simili a protesi, dalle quali
Zolla e i suoi radi ma sicuri compagni di strada rifuggirebbero come da una
malattia dello spirito. Inutile
elencarle, qualsiasi categoria vi viene in mente. La qualità di un artista come Zolla è la sua
imprendibilità, la capacita dì essere sempre virtuale in ogni passaggio
decisivo della vita, lasciare che ogni esperienza magari drogata, sublime o
Dionisiaca si manifestasse non da sola ma come la parte di un fitto enigma in
cui ci si doveva perdere. Perdersi non è
facile, soprattutto in una società intellettuale dove tutti, con molta
indulgenza, riescono a ritrovarsi e senza essersi mai perduti. Io non so se,
una volta entrato nell'enigma della sua mente, Zolla abbia mai voluto
uscirne. Aveva capito che il viaggio non
concedeva soste né riposo e soprattutto non c'erano fermate intermedie. Mi spiego meglio: Qualcuno che avesse seguito
puntigliosamente la carriera di questo artista della mente quale era Zolla, e
ne avesse letto puntigliosamente tutta l'opera si troverebbe a mal partito se
volesse riassumerla, in qualche modo stringerla in una sintesi, indicare un
punto stabile o più alto o acuto, come si sceglie una poesia o un romanzo
dall'opera di un autore amato. La singolarità dell'opera di Elémire Zolla è che
non si può scegliere perché si dovrebbe rinunciare a qualcosa di più decisivo
che sta proprio lì accanto, nella pagina successiva o in quella precedente.
…
Ugo Leonzio, “L’Unità”, 31 maggio 2002