Jean Montalbano

Far west delle signore

Dorothy Marie Johnson L’uomo che uccise Liberty Valance (Mattioli 1885, 2024) | Alberto Crespi Cinema Western (Treccani, 2024)

Sono passati più di cinquant’anni dacché l’editore Longanesi raccolse in Tomahawk, nella traduzione di Orsola Nemi, diversi racconti della scrittrice americana (1905-1984), segnatamente alcuni tra i più cari all’immaginario cinematografico per i capolavori che ne trassero John Ford e Delmer Daves: L’uomo che uccise Liberty Valance e L’albero degli impiccati. Pochi essenziali racconti vengono ora riproposti in nuove traduzioni di N. Manuppelli che per lo stesso editore ha curato anche testi di A. B. Guthrie: grazie al partecipativo punto di vista della sua scrittura con essi Dorothy Johnson rendeva il western un “posto per signore”, affermando che “l’uomo, nella sconfitta come nella vittoria, può essere all’altezza del suo destino” (così Jack Schaefer, l’autore di Shane). Detto che tra i rimpianti del regista Bertrand Tavernier (che ammirava il tono duro e le improvvise accensioni di violenza nell’economia verbale di quei racconti) ci fu il mancato adattamento di Una sorella scomparsa per quello che sarebbe stato il suo primo western, a sigillare la grandezza della signora Johnson, fatta membro onorario della tribu dei Piedi Neri nel 1959, basterebbe quella sola parola PAID [PAGATO] voluta sulla propria lastra tombale.

Anche nella concentrata formula concessa al suo denso volumetto Cinema western, il fordista Alberto Crespi ha modo di soffermarsi sul film di Ford del 1962. Quel lungo flashback, volto a rimpolpare con digressioni politiche le sedici pagine del racconto originale, pur ammirato da tanti, non piaceva granché alla signora Johnson, che gli preferiva La collina degli impiccati (1959) ultimo western per Daves e Gary Cooper, anche perché fu occasione di un invito al ristorante da parte dell’attore protagonista, gentleman del Montana e dunque più consonante con le storie e ambientazioni da lei privilegiate.