Carlo Romano
stronzi
Aaron James: STRONZI. Un saggio filosofico. Rizzoli,
Milano 2013
Luciano
Sada, “El Pinza”, gestore di un’osteria dei Navigli, stravolse (ma i più snob
direbbero, con un improbabile francesismo, “deturnò”) il testo di A Montecarlo, una canzone di Leo
Chiosso, paroliere di Fred Buscaglione, resa celebre da Johnny Dorelli. La
nuova versione in milanese, proposta da Nanni Svampa e dai Gufi, un gruppo
musicale e cabarettistico che i più vecchi ricorderanno per l’umorismo nero, e
non solo per quello, recitava: “L’era mai success / Hoo nanca trovaa on cess /
Me son cagaa adòss / a Montecarlo … Merda in di calzett / Merda in del culett /
L’era pien de merda / Montecarlo… In sintesi si diceva che sulla “promenade”
c’erano solo “stronzi” e non sarebbe valsa la pena di tornarci. La stessa
esperienza l’han fatta tanti bambini al mare credendo che le loro deiezioni
affondassero per ritrovarsene invece circondati. Quello della “deiezione” è
anche un concetto usato in filosofia da Martin Heidegger per dire che l’uomo è
“gettato” nel mondo. Ma sullo stronzo non si è fatta mai una vera chiarezza. A
tutti capita di comportarsi da stronzi, o di dire stronzate, ciò non è tuttavia
sufficiente a fare di ognuno di noi la persona odiosa e infestante indicata col
linguaggio escrementizio. A cercare di mettere ordine fra i miasmi di questa
materia ha provveduto, da Harvard, il Doctor of Philosophy (PhD) Aaron James in un libro che
inequivocabilmente si intitola Stronzi (assholes)
e che in Italia pubblica tempestivamente Rizzoli . A tutta prima l’impresa
sembrerebbe somigliare a quel genere di filosofia domestica cui ci ha abituato
una certa editoria, specialmente americana, i cui titoli rimandano a
circostanze tipo “perché il capufficio ci comanda e perché non potremmo
comandare noi?” - testi che si è soliti indicare, pur leggendoli, come
“stronzate”. Questo libro è diverso. Si tratta infatti di un serissimo
esercizio di filosofia accademica, benché sia difficile immaginare l’autore
come un assorto e impassibile parruccone. Il teorema di base, sostiene Aaron
James, è piuttosto semplice: “un dato individuo può essere definito stronzo se
e solo se, nell’ambito delle relazioni impersonali, si arroga in modo
sistematico privilegi che non gli competono, sulla base di un senso di
superiorità che lo rende immune dalle recriminazioni di altri soggetti” –
definizione che è in perfetto accordo col proverbio italiano che recita: quando
la cacca sale uno scalino, puzza”. L’autore non è avaro di esempi e passa in
rassegna diverse possibili categorie di stronzi, ma si chiede anche come e
perché essi siano distribuiti in modo disomogeneo passando quindi a
interrogarsi sulla categoria gemella delle “stronze” – nonché degli stronzi di
ultima generazione - e sulla natura e il genere delle competenti
responsabilità. Il campione che più gli sembra paradigmatico – allorché
affronta i problemi della politica e dell’economia – è decisamente, sul piano
del genere femminile, quello di Ann Coulter, gran bella donna e opinionista
conservatrice (da noi fu tradotto anni fa da Rizzoli Tradimento, un saggio assai eloquente, fin dal titolo, sulla
sinistra americana) la quale, a detta di James, “non ha mai dato segni di
miglioramento”. Di particolare insensibilità – e di compiaciuta maleducazione -
è quello che l’autore chiama “lo stronzo bifolco”, ma precisa anche che “una
persona può essere incapace di far bella figura in società ma essere al tempo
stesso amichevole”, cosa che non riesce a chi ignora di proposito le più comuni
regole del reciproco rispetto e anzi “va
orgoglioso del proprio comportamento” annunciato dallo spudorato senso di
superiorità, per quanto certi personaggi, come il documentarista Michael Moore,
si fermino un passo prima della vera e propria stronzaggine accontentandosi di
ammantare il loro “approccio approssimativo e superficiale ai fatti con un’aura
di moralità superiore”. Discorrendo di società, politica e cultura, l’autore si
avvale di apporti disparati che provengono da Descartes, Hobbes, Rousseau,
Kant, Hegel, Marx, Durkheim, Hayek, Goffman, Nozick, Sartre e altri,
consapevole che “il problema della stronzaggine, preso alla radice, altro non è
che il problema della condizione sociale dell’essere umano”. Stupefacente è per chi scrive che in tanto
sapere ben allineato non abbia trovato posto quel John Gregory Bourke, capitano
dell’esercito degli Stati Uniti d’America che, preso contatto con le
popolazioni indigene, si appassionò all’espressione delle culture finendo
pioniere degli studi etnologici col suo capolavoro del 1891 (in Italia, col
titolo Escrementi e civlità, lo propose l’editore Guaraldi ottant’anni
dopo) Scatologíc Rites of all Nations.
“Fogli di Via,
novembre
2013