C'è chi dice no. Il tormentone delle elezioni americane ha fatto arrabbiare molte persone: in America e all'estero. Ma c'è anche qualcuno che ha trovato il modo di vedervi un buon segno del fatto che i tempi cambiano, come si dice. Forse la vicenda che ha visto l'un contro l'altro armati George Bush e Al Gore è una sorta di rasoio di Occam sul cui filo si gioca il destino della nazione americana? E' questa la chiave di lettura adottata da tanti indipendentisti del Sud, che hanno voluto leggervi una virtuale orazione funebre per gli Stati Uniti d'America, dalle cui ceneri rinascerà la vecchia Confederazione. Michael Hill, leader della League of the South, propone la convocazione delle convenzioni in tutti gli stati del Sud, in maniera tale da chiedere ufficialmente la secessione. Proprio come accadde nelle ultime, tesissime settimane del 1860 e nelle prime del 1861. Quella volta finì in guerra. Ma di acqua sotto i ponti ne è passata, e non si sa mai. "Gli venga un accidente a tutti e due", afferma poco diplomaticamente Hill a proposito di Democratici e Repubblicani. "Se questa non è una crisi - prosegue - vorrei sapere cosa diavolo è. E' l'ora che la Florida e gli altri stati del Sud prendano seriamente in esame la possibilità di una separazione".
Gli esponenti sudisti sono gasatissimi. La farsa delle elezioni sta spingendo gli Americani a perdere rapidamente ogni fiducia nei confronti di un sistema che pare aver tradito se stesso. Gli ideali dei padri fondatori sono finiti in cenere e a trionfare è sempre più una mentalità socialista e per nulla americana - quella che, come un filo rosso, unisce il New Deal alla strage di Waco. Si tratta di sintomi preoccupanti di una malattia le cui origini vanno cercate molto lontano: proprio nella Guerra Civile, con la quale venne sancito lo stupro della Costituzione da parte di Abraham Lincoln. Non solo: la mappa dei voti elettorali è assai eloquente. Il vecchio Sud e gran parte dell'Ovest si sono pronunciati plebiscitariamente a favore del Repubblicano Bush, mentre Gore ha ricevuto sostegno dalle altre aree e, in particolare, dal Nord Est e dalla Costa Occidentale. Le regioni che hanno accordato la propria fiducia a "Dubya" hanno messo in mostra il proprio volto apertamente conservatore, legato ai tradizionali valori religiosi e ostile alla legislazione contro le armi. Una sorta di riedizione della Confederazione, insomma. La divisione politica, cioè, è dovuta a una frattura ben più profonda: quella culturale.
Eppure, almeno dal punto di vista della nomenclatura politica, il Sud sembrerebbe fare la parte del leone. Il presidente uscente, Bill Clinton, proviene dall'Arkansas, mentre i due contendenti attuali (Bush e Gore) hanno le proprie radici rispettivamente in Texas e Tennessee. Alla guida del Senato c'è Trent Lott, del Mississippi, e l'uomo più influente tra i Rappresentanti è Tom DeLay, texano purosangue. Dal punto di vista economico la vecchia Dixie sta benone e, se se ne vuole trovare un paradigma, non si può non osservare che la potente Cnn trasmette da Atlanta. Il fatto è che, secondo molti sudisti, tutto questo è indice di un falso benessere: quello che deriva dal tradimento della propria storia. Una dimostrazione ne sia il fatto che tutti i "carrieristi" (così li definisce la League of the South della Florida sopra citata) non hanno a cuore le ragioni del Sud e, anzi, sono consapevoli sostenitori del progetto di erosione della sovranità degli stati a favore dell'Unione, prima, e delle Nazioni Unite, poi.
Tutto ciò può essere visto come "una pagliacciata". Oppure semplicemente come il tentativo disperato di inguaribili romantici. O infine come una giusta lotta di libertà. Sarà la storia a dire come andrà a finire: se avranno la meglio i valori della vecchia America o il "Nuovo Ordine Mondiale". Nel dubbio, noi abbiamo deciso di raccontare tutto, senza nascondere la simpatia per i difensori di una gloriosa bandiera: la stessa che ci piacerebbe veder sventolare più spesso anche in casa nostra.