La seguente intervista a Soupault apparve sul “Magazine littéraire” n. 16 del Marzo 1968. Usciva in occasione della ristampa dei Champs magnétiques.
Philippe
Soupault
Escluso. Causa: letteratura!
Perché, lei
che non ama molto il passato, ha accettato di rieditare “Les Champs
Magnétiques” ?
E’ Breton
che lo voleva, e Alain Jouffroy mi ha mostrato una sua lettera che lo chiedeva
espressamente. Finora avevo sempre rifiutato che si ristampasse il libro;
volevo che fosse un testo datato e tanto peggio se, dei primi esemplari
(trecento, apparsi nel 1920), si faceva un commercio assai scandaloso. Quindi
l’ha voluto André Breton, e lui pure ha voluto ripubblicare nello stesso volume
altri due testi che avevamo scritto insieme: Vous m’oublierez e S’il vous
plait. E affinché il testo fosse datato sono stati riprodotti in testa
all’edizione i due nostri profili fatti da Picabia nel 1920. Quel che mi
colpisce, quando rileggo oggi Les Champs Magnétiques, è la
straordinaria esplosione liberatrice di Breton. Breton fino ad allora era un
“poeta”, adorava Mallarmé e Valéry, e aveva scritto belle poesie in quello
stile. Les Champs Magnétiques - l’invenzione della scrittura
automatica, il rifiuto della letteratura - sono per lui una scoperta,
un’assoluta liberazione. Al punto che Breton, il quale non parlava mai della
famiglia, vi consegna anche i ricordi d’infanzia.
Quando ha
incontrato Breton ?
Nel 1917.
Fu Apollinaire a presentarci. E tramite Breton ho incontrato Aragon e Frankel
(Eluard è apparso più tardi) e sentito parlare di Jaques Vaché. Ho visto Vaché
alla famosa rappresentazione delle Mamelles de Tirésias di Apollinaire.
Quella volta
che era vestito da ufficiale inglese e che sparava col revolver ?
Ma non
era travestito, era realmente attaché come interprete all’esercito inglese e
vestito alla bisogna. Sanouillet, nella sua tesi su Dada, cita una lettera in
cui scrivo di aver parlato al “mio amico Vaché” di Tzara e di Dada. Tuttavia Vaché non è mai
stato davvero un mio amico, non lo conoscevo abbastanza. Ma ha dovuto esser
avvertito in qualche modo dell’esistenza di Tzara, contrariamente a ciò che
pensava Breton. D’altra parte si è suicidato in quel periodo.
Ma, prima di
Dada, avevate gia fondato “Littérature” ?
Sì, Dada
è venuto ad intercalarsi col surrealismo. I primi testi surrealisti sono Les Champs
Magnétiques e Une vague de re^ves di Aragon, poi c’è stato
Dada, e dopo la rottura di nuovo il surrealismo con il Primo
Manifesto del 1924. Avevamo scelto il termine surrealismo in
omaggio ad Apollinaire un cui testo, Onirocritique, ci pareva indicare
perfettamente la direzione in cui stavamo impegnandoci. La parola d’altronde
non appariva nel testo ma era il sottotitolo di Mamelles de Tirésias: “dramma
surrealista”.
Com’è avvenuto
il suo avvicinamento a Tzara ?
Tzara,
che allora stava in Svizzera, scriveva dappertutto, in tutto il mondo. Aveva
scritto a Breton e a me, in seguito, credo, ai testi pubblicati nella rivista “Nord-Sud”,
diretta da Reverdy, e per cui noi
scrivevamo. Les Champs Magnétiques hanno
d’altro canto consumato la rottura tra i poeti ”cubisti” Reverdy, Cendrars,
Jacob, e noi, ed il surrealismo li ha, ingiustamente, confinati nell’ombra. Ma
abbiamo sempre pensato che Reverdy, per parlare solo di lui, fosse uno dei
migliori poeti, se non il migliore, della sua epoca. Tzara è dunque arrivato a
Parigi nel 1920, e ha pubblicato i suoi primi testi in Francia su Nord-Sud e su
“Littérature”. Questo
fu il principio del dadaismo.
Perché si
produsse la rottura tra Breton e Tzara ?
Breton e
Tzara erano troppo diversi. Sapevamo che Tzara era un grande poeta, per non
dire un poeta serio - lei sa che ha passato gli ultimi suoi anni a decrittare
Villon - ma era anche un genio delle ”public-relations”. Breton, al contrario,
aveva un’educazione scientifica - aveva studiato medicina - era molto austero,
puritano perfino, e aveva la mania di codificare, di legiferare. Voleva che ci
fossero delle regole. Mentre Dada voleva buttare tutto all’aria. Breton e
Aragon erano i più insolenti tra noi e
cercavano veramente lo scandalo. Ma Breton si è stancato presto del lato “music-hall” delle manifestazioni
dada. E poi Picabia ha giocato un ruolo curioso. Affascinava sia Tzara che
Breton, poiché era il contrario di entrambi. Aveva un prodigioso senso
dell’anarchia, ma allo stesso tempo era molto mondano, frequentava il
Tout-Paris e andava alle prime. E adorava far parlare di sé. Della lite
Breton-Tzara, Picabia è largamente responsabile.
Qual era la
parte di Breton nel surrealismo ?
Enorme,
unica: era il codificatore. Les Champs Magnètiques e Une vagues de reves avevano attratto Eluard, Peret, Desnos, Crevel,
Artaud, Vitrac, pittori come Masson ed Ernst. E il
surrealismo ebbe quella fortuna e quell’importanza che ha avuto perché era un
lavoro di squadra: la “centrale surrealista” non era un’espressione vuota. Ma
Breton era il collante. Aveva un senso dell’amicizia senza confronti, anche
quando qualcosa nei suoi amici lo metteva a disagio: per esempio, il cinismo di
Jaques Vaché, o la mia disinvoltura personale. Contemporaneamente, gli piaceva
bruciare quel che aveva adorato, e adorare ciò che aveva bruciato. In più, ebbe
col Partito Comunista un’esperienza terribile. Come saprà, era visto con
sospetto, assegnato alla “cellula del gas”, e gli era stato chiesto di far un
rapporto sull’economia italiana ! Vale a dire che il Partito rifiutava di
considerare Breton come uno scrittore, un poeta, il maggiore dei surrealisti, e
anzi lo respingeva come tale. La sua rottura con Aragon, che s’iscrisse al Partito
insieme a Breton, ma che in seguito vi tornò, e la rottura con Eluard, quando
si riscrisse al Partito, durante la guerra, vengono essenzialmente da questo.
C’è stata una
rottura tra lei e Breton ?
Mai. Sono
stato “escluso” dal movimento surrealista, ma non ho smesso di vedere Breton
quando passavo da Parigi. Come le dicevo, aveva un senso indefettibile
dell’amicizia. Sono stato escluso nel 1926, insieme ad Artaud e Vitrac, per
crimine letterario. Vitrac e Artaud facevano teatro, dunque “della letteratura”.
A me, mi si rimproverava di pubblicare troppo. Mi è stato imputato più tardi come crimine uno studio su
Lautréamont, di cui ho trovato nel 1918, in una piccola libreria, Les Chants de
Maldoror in edizione
originale, per sette franchi ! Pensi quanto era noto ! Mi si rimproverava
soprattutto la mia disinvoltura, e il non prendere mai niente sul serio. E poi,
a quell’epoca, ero affascinato dalla vita e dal destino di Rimbaud, e ne avevo
abbastanza di dispute e conventicole. Occorre considerare pure il lato
sgradevole, rituale del surrealismo. C’era l’obbligo, allora, di trovarsi ogni
giorno alle cinque in quel tal caffè dove il gruppo teneva assise e, se un
giorno si era assenti, l’indomani vi si chiedevano sospettosamente i motivi di
tale assenza. Personalmente, mi piacevano le donne e i viaggi. Parigi
m’annoiava. Mi sono fatto nominare reporter al Petit Parisien - e al
surrealismo non piacevano i giornalist – e fino ad ora ho viaggiato.
(trad. di Jean Montalbano)