Jean Montalbano
Smirnov
Andrey Smirnov: SOUND IN Z. Experiments in Sound and
Electronic Music in Early 20th. Century Russia. W. Koenig Books, 2013
“Abbiamo pure delle case sonore, scriveva F.
Bacon nella sua utopia, dove produciamo e sperimentiamo ogni tipo di suono”.
Anche per i rivoluzionari russi del primo novecento possiamo trovare,
soggiacenti ogni ostentata rottura, precedenti che ne addolciscano,
smussandole, le proclamate rotture e le voglie di nuovi inauditi inizi.
Ugualmente, sul finire del secolo passato, dietro la riscoperta del theremin
(saltuariamente utilizzato nel cinquantennio precedente, soprattutto al
cinema, ma non solo, vedi il
ledzeppeliniano Whole Lotta Love, come a perpetuarne un'intermittente
clandestinità) c'era una storia e se lo strumento finì come il classico
prezzemolo, usato negli arrangiamenti più improbabili da quanti volevano
esibire la propria modernità retrò (ne vedemmo persino uno al concertone del 1°
maggio, con quali esiti, in quella bolgia, è facile immaginare) esso fu anche
spia di un interesse per altri percorsi occultati o dimenticati nella stessa
terra di provenienza, la Russia dei primi decenni del novecento. Poco alla
volta si seppe di un Centro Theremin, in cui sono state custodite e
faticosamente conservate, quando non sviluppate, le memorie e le utopie di un'epoca,
quella post-rivoluzionaria e bolscevica, ricchissima di idee, progetti ed
invenzioni sul cui sfondo è più facile comprendere l'emergere del theremin o
l'oblio di altri similari congegni. Oramai, per lo stato delle ricerche,
occorre rivolgersi a Andrey Smirnov, che di suo è anche compositore di suoni
computerizzati; da anni tenta di restaurare la storia censurata di quell'utopia
artistica naufragata nell'ottusità stalinista, e che nello specifico fu
competizione fra chi intendeva suonare-comporre con qualunque suono, fino alla
sintesi di linguaggio e canto, e chi preferiva eccellere sfidando la vecchia
Europa nel solco trafficato e consunto dello stile classico. Coltivando
mutazioni spettrali, quei “futuristi” o “costruttivisti” intendevano andare ben
oltre le intenzioni sinestetiche di Scriabin o il piano optofonico di V.
Rossiné, non limitandosi ad accompagnare
il suono con le immagini, ma sintetizzando suoni a partire da segni
grafici o addirittura motivi ornamentali nella volontà di ascoltare un'ignota
musica arcaica. Come ebbe a chiedersi Tsekhanovsky al momento di sonorizzare un
film di A. Room, Piatiletka (1929): " e se prendessimo
ornamentazioni egiziane o greche come traccia sonora ?" Dietro un simile
intento sarà pure lecito vedere spuntare il vecchio sogno di produrre musica
senza esecutore, e saranno Scholpo o Murzin soprattutto, nel discredito delle
tante pose da soggetto creatore, a cercare di tradurlo in realtà.
I materiali riesumati da
Smirnov (siano biografie, foto, diagrammi) sono raggruppati per grandi temi,
suscettibili di nuovi e più dettagliati apporti: "Macchine Sonore
rivoluzionarie", "Suono Grafico", "La Distruzione di
Utopia" che spesso lasciano aperte ed insoddisfatte le stesse domande e
curiosità cui danno origine. Ma il lettore, con intatto sgomento, rinnovato
ogni volta che si rivà indietro a quegli anni sconvolgenti, apprende che i
destini di tanti sperimentatori e ricercatori in area sonora furono gli stessi
dei postumamente celebrati scienziati,
scrittori, poeti di cui già sapeva: Terentev, capo di un dipartimento
fonologico annesso al museo di Arte e Cultura di Pietrogrado, venne
"giustiziato" nel 1937; Gastev (il cui Istituto per l'Organizzazione
Scientifica del Lavoro e la Meccanizzazione dell'Uomo è tutto un programma) nel
1939 e lo stesso Theremin, come Avraamov, prima di farsi ambasciatore e
rappresentante di ciò che sopravvisse alle purghe ed al credo socialrealista,
fu perseguitato ed imprigionato. Se di
Avraamov si conosce la sinfonia di sirene, meno nota era la sua proposta di
sintetizzare la voce di Lenin per vocalizzarne gli scritti o, supremo insulto
all'ortodossia, quella di far cantare il nuovo inno sovietico dalla voce,
ricostruita, del Majakovskj morto da 13 anni. Ma nel 1943, in piena guerra
patriottica, lo scontro tra le due correnti, l'anarchico-utopistica e la
centralizzata-burocratica, era già deciso a favore della seconda, ed il
proponente ormai si scontrava con la sordità e relativa mancanza di fondi
erogati agli istituti che ne ospitavano ad intermittenza le ricerche.
Si è arrivati ad individuare, negli anni
d'oro, quattro scuole o correnti dedicate alla tecnica del "suono
grafico" con addentellati più o meno forti al nascente film sonoro. Oltre
ad Avraamov, fra i più conseguenti nella manipolazione della traccia grafica
che avrebbe infine liberato dalle restrizioni materiali degli strumenti
acustici tradizionali, Voinov (suo il "Nivotone"), Sholpo e Yankovsky
votarono sforzi ed energie alla composizione su pellicola, a mano o meccanica
ed alla sintesi di nuovi suoni previa analisi e scomposizione tecnica. Di tante
progettate invenzioni e macchine sonore (con nomi che ricordano medicinali:
Illuminox, Emiriton, Ekvodin...) restano perlopiù solo disegni ed appunti, come
frammenti di un disperso codice leonardesco: così se la "tastiera
meccanica" di Tambovtev (del 1925) pare anticipare il mellotron adottato
ampiamente negli anni 60-70 dai gruppi di rock progressivo, l' Apparatus di
Toropov (del 1929) sembra un aggiornamento della Talking Machine del secolo precedente.
Yankovsky lanciò l'idea di una Tavola Periodica degli Elementi Sonori che, un
po' sulla scorta degli esperimenti del biologo Mičurin, avrebbe prodotto
chissà quali e quante inaudite ibridazioni inattingibili dall'orchestra
tradizionale. (Fu Evgeny Sholpo ad accogliere poi Yankovsky nel proprio
Laboratorio per il Suono Grafico, a Leningrado, quando gli furono tagliati i
fondi del ministero). La seconda guerra mondiale si incaricò di congelare i
progetti sopravvissuti (si salvarono quelli con pratiche ricadute nel settore
spionistico-militare) facendo dimenticare gli azzardi tentati negli anni
precedenti, a partire da quell'Istituto Statale per la Scienza Musicale (GIMN)
verso cui convergevano, dal 1921, inventori e ricercatori. Poi l'avvento e la diffusione
del nastro magnetico, nel successivo dopoguerra, parvero sigillare
definitivamente l'armadio che accoglieva così tanti "suoni di
sintesi" almeno fino all'imprevisto ritorno di interesse mediato, col
declinare del suono analogico, dalla diffusione massiccia del computer.
Se altro verrà fuori, non
potrà che confermare la vocazione tragica di quegli esperimenti: come se chiusura stalinista e persecuzione zdanoviana
avessero solo burocraticamente sanzionato un destino di autocancellazione o
peregrinazione nel deserto, riservato a chiunque, con e dopo Chlebnikov,
prendesse alla lettera un programma di riedificazione dell'universo. Oltre
un'evidente identificazione con l'aggressore, vi era in quel precipitarsi in
avanti l'attrazione di un elemento trascendente nei rapporti uomo-tecnologia
(almeno per come in quegli anni vennero impostati) che chiedeva al poeta di
farsi profeta della macchina fino ad un autoannullamento attraverso cui, in
alcuni casi, potevano ripresentarsi pure motivi mistici e spiritualistici
regressivi. Per quelle crepe, all'ingegneria sociale subentrava talora la
teoria del corpo mistico. E il fatto non riguardò soltanto il futurismo (in
senso lato) russo.