Benchè anagraficamente torinese, sia per nascita che per morte, Guido Seborga (1909-1990) crebbe in Liguria (nell'estrema Liguria occidentale a un villaggio della quale rimanda il suo stesso cognome), in Liguria ambientò le sue più significative prove letterarie e alla regione si mantenne legato per tutta la vita. Avido della lezione surrealista, nel 1936 partì per Parigi dove gli riuscì di prendere contatto con il relativo ambiente. Tornato in Italia ebbe rapporti con il movimento socialista clandestino e al momento opportuno prese parte alla lotta armata (brigate Matteotti). Redattore dell' "Avanti", collaboratore di "Domus" e poi di varie testate, Seborga pubblicò i suoi libri con Mondadori, Ceschina, Rebellato e altri. Interessato alla critica d'arte, fu anche pittore. Estraiamo il testo che segue dal n° 7-8, autunno-inverno 1962, di "nuova presenza", piccola rivista varesotta dei primi anni sessanta. Era diretta da Franco Floreanini e Marcello Gentili. Si avvaleva di un comitato di redazione formato da Gilberto Finzi, Giuliano Gramigna, Roberto Sanesi e Luciano Cherchi.
Guido Seborga
ricordo dell'esperienza surrealista
Ogni creazione per legge inderogabile di natura anche distrugge: il surrealismo non distrusse la realtà come sostengono alcuni, e non si accontentò di trasfigurare gli oggetti come affermano altri, distrusse invece molti luoghi comuni del vero e della natura, cosi cominciò a sciogliere la realtà, a permettere nuovi rapporti con essa, un vero e proprio avvicinamento con un automatismo frenetico analogico (dove il sogno giocava il suo azzardo) ritmico e soprattutto materiale, liquidò non pochi modi convenzionali di novità, e anche certi troppo facili spiritualismi dozzinali e falsi. Ma non poteva darci tutta la realtà, quella che spesso chiamai realtà integrale, quella di cui avemmo bisogno, quando a opprimerci comparvero sulla scena del mondo i nazifascisti (il fascismo sotto forma di colonialismo dura ancora), tracotanti ed idioti erano questi nostri nemici, e allora anche noi ragazzi oziosi, che passavamo da una torbida pigrizia ad una travolgente tensione, toccammo il punto nostro più vivo e duraturo.
Molti passarono dal surrealismo ad altre tendenze. Breton era già in America; Eluard a Parigi contro i tedeschi, Eluard che avevo conosciuto surrealista durante la guerra fondava l'arte pubblica e giungeva alla parola-verbo reale. Avevo già scritto l'Uomo di Camporosso, testo che mi fece diventare scrittore, avevo cioè fatto del realismo, ero uscito dal surrealismo che per me aveva significato una rottura giovanile, direi iniziale, con il mondo circostante, una prima rivolta che andava, e quanto, ampliata. C'erano anche Aragon, Artaud e tanti altri, Artaud con il suo mirabile Van-Gog segnava già anche lui uno scontro o incontro con altre tendenze, ma alla fine confermava il suo surrealismo.
Mi posso chiedere: " Cos'è stato il surrealismo per me? ". La risposta, ben mi avvedo, è già iniziata, furono amici giovani a richiedermela, forse io non ci avrei più pensato... Forse non potrebbe neppure avere un fine, nella mutazione perenne di noi stessi in lotta per la libertà; mentre i cattivi surrealisti restano solo dei polemici decoratori, come i cattivi realisti restano chiusi in un vitalismo biologico a fondo popolaresco. Occorre ben altro.
Si voleva mutare la vita; poi con la guerra ci volevano uccidere e far uccidere.
Ricordo Parigi soprattutto come vita quotidiana mirabilmente libera nei rapporti umani tanto spontanei e vivi, la mutevolezza frenetica delle ore, le notti godute nelle musiche violente e nei liquori, le ragazze disinvolte, espressive sempre in una quotidiana dolcezza. Breton che restava dogmaticamente surrealista e spesso lanciava i suoi anatemi, grandi mostre di pitture surrealiste, che a me assai poco piacevano, in sale trasformate in corridoi e labirinti illuminati e fosforescenti, e le immagini più gratuite, i colori.
I nervi più sensibili o esasperati sollevano sempre un mondo irreale anche nella piena realtà, le differenziazioni sono molte, ma alla base c'è sempre uno stato surreale (che in certi anni determinati, in certi confini fu chiamato surrealista) e potremmo dire che c'è sempre stato nell'animo umano. Mentre il surrealismo polemico, troppo contingente e tendenzioso, vale ben poco o nulla. Vi parlo sempre meglio dell'animo e di molte vite. Poi, quando toccai l'uomo profondamente, divenni realista, la gioventù era finita, non era soltanto una constatazione o una scoperta, ma in primo luogo un'analisi stringente, nuova, da dove scaturiva sempre improvvisa anche la fantasia, il groviglio aveva il suo fascino, non pensavo di scioglierlo con l'evasione, meglio starci dentro drammaticamente. Mi accorsi anche che cosi meglio combattevo la società detestata, meglio difendevo l'uomo amato, l'innocente e il semplice, lo svincolato e il disperato, trovavo tutta la misura e dismisura umana che m'era congeniale per nascita, e di cui pretendevo sempre meglio conoscenza, il che è assai di più e meglio della coscienza. Lo scatenamento si faceva più forte, mentre il movimento stesso dell'epoca decisivo per stabilire mutamenti, mi portava sempre meglio ad un ritmo reale scandito e sintetico, veloce. Tacevano i numerosi viaggi diventati inutili, nella lotta difficile rinascevano i miei paesi, ritrovavo le mie radici, mi sentivo finalmente meglio, erano presenti gli uomini della costa e dei porti che avevo sempre conosciuto e li capivo a fondo; gli ulivi ritorti, i tramonti infuocati, il mare denso e ostile, ritrovavo me stesso, Africa o mondo nordico visitato per anni? Chi riesce ancora a dominare la macchina, farne uno strumento per la liberazione degli uomini? Chi infrange il circolo chiuso dell'alienazione piccolo-borghese e si libera? Il mio sangue non più chiuso nei limiti del sogno irrazionale meglio fluiva e circolava nelle vene.
Ricordo l'impressione profonda e terribile che mi aveva fatto la morte del poeta surrealista cristiano Max Jacob, che si era presentato volontariamente ai tedeschi per farsi uccidere in un campo di concentramento e pagare sino in fondo e senza violenza la sua alta spiritualità quale esempio contro le numerose falsificazioni e che uomo. E anche Desnos veniva imprigionato dai tedeschi e assassinato. Ricordo le stravaganze di Cocteau, Guerin, Génet, la villa bianca sulla costa aspra, e un film come Sangue di poeta.
Ricordo una frase, che si riferiva alle donne, che mi gettarono in faccia in uno di quei caffé parigini, dove si radunavano surrealisti minori dall'esistenza assurda, impossibile quando condotta per anni:
" Siete ancora a questo punto?". In un altro caffè vedo ancora Artaud, Adamov, e un terzo dal nome Gaston e altri. Lacero una lettera di una persona che mi chiede aiuto ma non riesco a comprendere in che modo. Mi viene in mente il pensiero che solo un vecchio può chiedere aiuto. Sul tavolo di marmo c'è un cartone bianco in cui sta scritto POUR EN FINIR AVEC LE JUGEMENT DE DIEU, ci sono poemi, teatro, Eliogabalo o l'anarchico, tanti testi di Artaud, è di quei giorni la polemica contro la famiglia che non voleva che fossero tutti ristampati, Artaud non è morto folle! La famiglia voleva ucciderlo un'altra volta, la prima fu la società in genere. Penso al suo strano ermetico misticismo L'ABOLITION DE LA CROIX. Eluard, Aragon, Breton completamente liberati; due volte per Artaud la croce? E mi riferisco col pensiero immediatamente a Campanella e a Bruno, miei amori costanti, riportati da me a galla in modo arbitrariamente surrealista tanti anni fa. Vedo la nostra maledizione iniziale abolita dalla scienza sempre meglio penetrata, una maledizione che durante gli anni di guerra divenne forza per non lasciarsi assassinare dalla società, ma rispondere con scaltrezza o duramente a tutti i suoi colpi. Le vitali contraddizioni dialettiche che ci rendono sempre vivi tra tanti perfetti cadaveri. Credo di voler abolire il nulla, vorrei levare la morte dal sangue, vivere dolcemente, libero con gioia...