le voci che corrono
Winfrid Georg Sebald*
> W. G. Sebald, Austerlitz, trad. di A. Vigliani,
87 ill. in bianco e nero, Adelphi, Milano 2002
Maestro dello stile
avvolgente e coinvolgente, inventore di un amalgama inconfondibile fra testo e
immagine, W.G. Sebald è
stato l'unica apparizione di grande rilievo nella letteratura di lingua tedesca
dopo Thomas Bernhard. Pochi
mesi prima della sua tragica, recentissima scomparsa, aveva pubblicato Austerlitz,
il suo unico romanzo in senso classico, subito accolto, dalla Germania agli
Stati Uniti all'Inghilterra, come un memorabile evento. Jacques
Austerlitz è un professore di storia
dell'architettura, studioso di quei luoghi (edifici militari, stazioni
ferroviarie, penitenziari, tribunali) che, soprattutto nell'Ottocento,
tendevano ad assumere forme involontariamente visionarie, sovraccarichi com'erano
di significati simbolici. Alto, dinoccolato, dai capelli prima biondi e poi
ingrigiti, molto somigliante a Wittgenstein cui lo
accomuna un vecchio zaino che costantemente porta in spalla, Austerlitz vive a Londra in un appartamento spoglio come una
cella, privo di affetti e povero di amicizie. Dietro la sua eccentrica e
vastissima dottrina si spalanca il vuoto. Austerlitz
semplicemente non sa chi è - e a lungo ha resistito ad accertarlo. Ma a un
certo punto, come se si trattasse di intraprendere una delle usuali
peregrinazioni erudite alla ricerca di un edificio o di un luogo ignorato, si
mette alla ricerca delle proprie tracce. Così scoprirà di essere stato uno dei
bambini dei Kindertransporte, che durante la guerra
giungevano a Londra dall'Europa centrale mentre i genitori venivano deportati
nei campi di concentramento e di sterminio. Strada per strada (a Praga), volto
per volto, oggetto per oggetto, fotografia per fotografia, emerge un passato
lacerante, che Austerlitz sente di avere sempre ospitato
in sé come una sequenza di negativi non ancora sviluppati. Tutta la somma
sapienza evocativa di Sebald sembra concentrarsi in
questo itinerario di ricerca, da cui promana un'angoscia che prende alla gola.
l’editore
§
> W. G. Sebald, Gli emigrati, trad. di G. Rovagnati, Bompiani, 2001
Quattro personaggi. Un
medico, un maestro elementare, un maggiordomo, un pittore. Quattro ebrei
emigrati che in tempi e paesi diversi vivono l'esperienza del distacco e della
non appartenenza e recidono il filo che li separa dalla loro finale
destinazione.
In quattro racconti, come
quattro romanzi in nuce, Sebald
compone una storia unica e universale. Tra le sue pagine il lettore scopre che
gli emigrati sono quanti hanno provato l'esperienza dell'abbandono,
dell'allontanamento, della solitudine, quanti sotto lo stesso cielo si sentono
persi, dispersi, alla deriva: l'umanità tutta.
l’editore
§
W. G. Sebald o il reticolo ipnotico del romanzo
La seria concentrazione
con cui un orsetto lavatore sfrega ripetutamente un torsolo di mela nell'acqua
di un ruscello, nel suo ambiente ricostruito in uno zoo di Antwerpen,
un lavacro che va «molto oltre ogni ragionevole scrupolosità», come se lavando
in quel modo potesse sfuggire alla falsità del mondo in cui è capitato «in
certa misura senza il suo intervento». Un'immagine vivida, malinconica, dai
molti richiami – come non pensare ad Heidegger? –,
metafora della memoria e della scrittura, della coazione a ripetere e delle
ossessioni di cui soffrono i personaggi di W. G. Sebald – e insieme a loro tutti gli uomini contemporanei.
L'orsetto compare all'inizio di Austerlitz (Hanser 2001, pp. 424,
in traduzione in Italia), un libro per cui è difficile trovare definizioni
efficaci. Come nei libri precedenti, Schwindel. Gefühle (1990, Vertigini, non tradotto) Die Ausgewanderten
(1994, Gli emigrati, Bompiani 1996, trad. it. di G. Rovagnati) e Die Ringe des Saturn (1996, Gli anelli
di Saturno, Bompiani 1998, trad. it.
di G. Rovagnati) davanti al lettore si delinea lo
sforzo di fondere la finzione narrativa con la tensione documentaria, la
notazione saggistica di vario genere con la riflessione etica sull’uomo, sulla
tragicità della storia, sull’importanza della memoria. Sforzo riuscito peraltro
benissimo, tanto da far evocare a molti il nome di Robert
Musil; e riuscito soprattutto grazie ad una scrittura
del tutto inusuale nel panorama contemporaneo. Nelle pagine spesso prive di
paragrafi si succedono lunghissime frasi, che si incastonano l’una nell’altra,
ricordando a tratti da vicino lo stile di Thomas Bernhard, ma recuperando anche la lezione di Adalbert Stifter. Ne nasce una
prosa ipnotica, da cui è facilissimo lasciarsi trascinare, sedurre e persino
impressionare. Tutti i testi di Sebald sono scritti
sotto il segno di Saturno, e dunque di una malinconia che fa da filtro ad ogni
percezione della realtà, fino alla paralisi fisica e psicologica – persino del
lettore. Sebald mette in scena se stesso proiettando
i suoi tratti in quelli del narratore, uguale in tutti i libri: tedesco
emigrato negli anni ’60 in Inghilterra, dopo gli studi, per sfuggire alla
rigidità e alla colpevole incapacità di confrontarsi con il passato della
Germania, ora professore di letteratura tedesca a Norwich, bibliofilo,
coltissimo. C’è dunque una sorta di vezzo intellettuale nel sottolineare
continuamente la condizione di malinconico – dopo Dürer,
chiunque abbia a che fare con i libri è soggetto all’atra bile; ma c’è anche
una concezione della storia e della condizione umana che è permeata di profondo
pessimismo. Il narratore di Sebald prende il posto
dell’angelo di Walter Benjamin: voltandosi indietro,
il suo sguardo cade sulla storia come cumulo di rovine.
La storia è infatti in
questi libri travolgente processo distruttivo.
…
C'è una sorta di
ossessione archiviaria in questi testi … Quasi ogni
dettaglio descritto ne ricorda un altro, in ogni persona vi sono tratti che
fanno pensare ad un'altra, in un continuo déjà vu che richiama lo slancio
ideale di Novalis verso l'unità organica del cosmo,
rovesciandone però il senso: se là le connessioni rappresentavano l'apertura
alla possibilità, qui diventano sinistro presagio di sventura.
Spesso si tratta di
coincidenze letterarie: l’esperto di letteratura mette al centro dei suoi libri
altri libri. Il reticolo intertestuale è fittissimo, tanto da diventare l’anima
stessa di questi testi.
…
Sebald è molto amato nei paesi
anglosassoni, e non solo dal pubblico. Critici come Cynthia
Ozyck e James Wood hanno gridato al miracolo nelle loro recensioni; Susan
Sontag elenca Sebald fra i
suoi «talismanic writers»,
insieme ad autori come Borges e Barthes,
e lo osanna sulle pagine del “Times Literary Supplement”, ponendo
la sua scrittura nell'ambito di quel «sublime» che sembrava scomparso dalla
letteratura contemporanea. Insieme alla Sontag, Antonia S. Byatt e Tariq Ali hanno proposto Vertigo (traduzione inglese di Schwindel. Gefühle) come International Book of the Year
nel 1999. Non così nei paesi di lingua tedesca, dove Sebald
non ha riscosso un grande successo, nonostante recensioni molto positive –
seppur prive delle grandiose lodi americane; non è un caso, del resto, che il
retro di copertina dell'edizione italiana degli Emigrati contenga solo
citazioni di autori anglosassoni.
…
Massimo
Bonifazio, "il manifesto", sabato
27 ottobre 2001
* Winfrid Georg
Sebald nasce a Wertach im Allgäu nel 1944. Laureato in Letteratura tedesca alla Università di Friburgo, nel
1966 si trasferisce in Inghilterra dove intraprende la carriera accademica,
prima come lettore di tedesco alla University of Manchester e poi come
docente di letteratura alla University of East Anglia di Norwich (dove, fra l’altro, fonda il British Centre for Literary Translation). Il suo primo libro tradotto in italiano è
stato Gli anelli di Saturno,
pubblicato da Bompiani nel 1998. Il 14 dicembre scorso, Sebald è morto a seguito di un incidente stradale |