Carlo Luigi Lagomarsino

Hayek e Marx, Rand e Rothbard:

quelli di Sciabarra

Ho la sensazione che dall'Italia si guardi al libertarianesimo americano come a un monolite. Che così, perlomeno, facciano i suoi ancora (ma per quanto?) sparpagliati adepti. Ciò che unisce sotto il profilo culturale i pubblicisti, gli studiosi e i simpatizzanti d'oltreoceano è affermato in modo talmente perentorio da non insinuare alcun dubbio su talune sfumature che pure sono percepibili. La qual cosa viene rafforzata da noi con la distanza (nonostante Internet) dando luogo a sintomi di palese omologazione del tutto fuori luogo in soggetti che non nascondono velleità anticonformiste ed hanno un gusto spiccato per il politicamente scorretto. Nei modelli originali c'è una forte tendenza a ribadire, anche nel discorso più informale, poche, sia pure sacrosante, questioni di principio che solo il talento personale riesce ad animare attraverso il sapido elemento delle ordinarie faccende umane. Fra gli italiani è seriamente difficile riscontrare qualcosa che abbia una vivacità che, senza prescinderne, sappia agitare i tanto cari principi. Rothbard o Walter Block sono le sagome per degli scialbi stampini, nemmeno per delle brutte copie, che sarebbero già un risultato (e che possiedono in gran numero al loro paese).

Chissà come da noi verrà presa la notizia che "Free-Market", organo di chiara ortodossia Rothbardiana, ha innalzato a "libro del mese" (freedom book of the month for January 2001) Total freedom: toward a dialectical libertarianism di Chris Matthew Sciabarra (Penn State Press, 2000) che analizza proprio Rothbard muovendo serie obiezioni al suo granitico razionalismo metodologico. Sciabarra intende viceversa rivalutare "la dialettica" sottraendola all'uso che ne ha fatto "la sinistra autoritaria". Il recensore di "Free-Market" -che nell'incipit afferma che il libro è ricco di "importanti implicazioni per il pensiero dei Libertarian"- forza il discorso implicando "la corruzione introdotta dai giovani hegeliani, specialmente Marx ed Engels", cosa che in verità non è esattamente nelle intenzioni di Sciabarra. Premetto che questo libro, uscito a metà del mese scorso (dicembre 2000) non l'ho ancora letto, ma il suo contenuto era già evidente in un'intervista rilasciata pochi mesi or sono a "Full Context" (settembre 2000).

In ogni caso a parlar chiaro è soprattutto una sua precedente fatica, Marx, Hayek and utopia (1996), primo di una trilogia conclusa dall'attuale volume (il secondo era dedicato all'oggettivismo). In Marx, Hayek and utopia, Sciabarra fa dialogare (stabilendo fra l'altro importanti parallelismi) due differenti tradizioni attraverso il comune denominatore della critica all'utopismo, e se rigetta la "visione sociale" dei marxisti, non per questo si sente in dovere di rifiutare apprezzamenti positivi a Gramsci o a Marcuse. Sciabarra si ricollega, attraverso il marxista Bertell Ollman, a un dibattito -che negli Stati Uniti ha avuto, in sede accademica, proporzioni che in Europa sono rimaste compromesse dal crollo (cloroformizzante, è il caso di dire) dell'impero sovietico- strutturato intorno sia all'"eticismo libertario" di Marx che al suo "immoralismo individualista". E' dubbio che accanto alla stella di Locke se ne accenda una nuova nel firmamento dei libertarian, ma non ci sono vere ragioni per fossilizzarsi in un algido canone. La lezione mi pare incalzante soprattutto per i giovani nostrani, se hanno veramente voglia di dimostrare la loro "scorrettezza politica".

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