Wolf Bruno
riti di scrittura e di
morte
Mason Currey:
RITUALI QUOTIDIANI. Vallardi, 2016 | Giuseppe Scaraffia: IL DEMONE DELLA FRIVOLEZZA. Sellerio, 2026
| Cees Nooteboom : TUMBAS.
Tombe di poeti e pensatori . Iperborea, 2015
Sapere che Thomas Wolfe, l'autore di Angelo, guarda il passato, non trovando mai una seggiola e un tavolo sufficientemente comodi per scrivere, data la sua altezza di quasi due metri, finiva con l'utilizzare il ripiano del frigorifero scrivendo in piedi, è importante o no ai fini della critica letteraria? Gli specialisti sono divisi e comunque assegnano alle biografie - anche nel caso le utilizzino in abbondanza - un ruolo sussidiario. A me, che tengo in gran conto quelle pagine delle riviste di enigmistica, e non solo, che si curano di aneddoti, questo genere di controversie lascia per lo più indifferente. Non dico che sia la stessa identica sensazione, ma quella che provo non è poi troppo diversa da quella che doveva provare lo stesso Wolfe quando di notte, per scrivere, si accarezzava i genitali accorgendosi in questo modo di essere più efficace. Lo stesso godurioso diletto che ho messo nel leggerlo deve averlo messo Mason Currey nello scrivere Rituali quotidiani , un vasto ma agile repertorio che racconta le consuetudini di decine di scrittori e artisti in genere proponendo, a dispetto di chi le vorrebbe minimizzare, o non prendere affatto i considerazione, un rapporto fra abitudini e passione creativa.
Anche i luoghi dell'eterno riposo, benché di solito progettati dai sopravvissuti, potrebbero gettare una qualche luce sulle piccole e grandi visioni dei poveri artisti defunti in quella sintesi, monumentale o meno, che è in alcuni casi una forma esasperata di psicologia postuma e che più spesso riflette le ragioni della fama nell'appropriazione attuata ai fini della gloria di un luogo (tanto che nel cimitero di Vence si può leggere che vi fu sepolto, ma soltanto per un quinquennio prima di essere sepolto a Taos, D.H. Lawrence). In Tumbas Cees Nooteboom fa poco, anzi, niente - e non è davvero all'altezza della sua fama di grande scrittore - per indurre i critici letterari a prendere in considerazione quelle sommarie note in pietra, fotografate da Simone Sassen, che tentano di arrischiare un primo bilancio di intere vite riempite dai valori estetici perfino nei più frivoli particolari (e che Giuseppe Scaraffia, da "anello" a "vestaglia", riunisce in un succulento dizionario, anche se dovrebbe capire che non c'è niente di frivolo nel sostenere, come faceva Mario Soldati, che "a non fumare si rischia troppo").
Capisco che la teoria letteraria è cosa troppo seria per potersi permettere riduttive divagazioni quali quelle che mi incantano, ma se fosse d'accordo nel dire che l'elemento veritativo della letteratura è nella sua falsità, dovrebbe poi convergere sulla biografia come vero del falso, dove falsa sarebbe la vita stessa. E lo è. Ciò equivale a dire che la letteratura altro non fa che mettere in bella copia - e non sempre tanto bella - le menzogne convenzionali che ognuno di noi si racconta e racconta agli altri per accettare la sopravvivenza - e la sopravvivenza è la vita fin quando si sopravvive alla morte, quella stessa morte che è l'argomento principe della letteratura anche quando è viva. E accarezzarsi i genitali come faceva Thomas Wolfe è un modo per sentirsi vivi facendo letteratura, vale a dire una menzogna che nelle pietre tombali è sinistramente vera ma, prima che se ne possa occupare in maniera adeguata, la critica è per sfortuna, o per volontà suicida, già passata a miglior vita. La logica del trapasso è quella di un aneddoto che non fa ridere. Ridiamo almeno della critica!