Bo Botto

ODIO

Heinrich Mann: L’ODIO. L’Orma, 2024

La guerra del 1914 divise i fratelli Heinrich (1871-1950) e Thomas Mann (1875-1955), fino ad allora rimasti in un alquanto stabile rapporto, malgrado qualche non decisivo disaccordo, come quando Thomas, stanco di Palestrina dove aveva cominciato a lavorare a I Buddenbrook, carico di nostalgia, torna in Germania. Viceversa Heinrich amava l’Italia che girò in lungo e in largo, animato da uno spirito vagabondo. Quando i dissidi presero davvero corpo. accadde perfino in un celebre testo “conservatore” (esemplare per il cosiddetto conservatorismo rivoluzionario) di Thomas, quel Considerazioni di un impolitico scritto contro pacifisti, democrazia e fautori della civilizzazione che successivamente l’autore definì gravato dall’estetismo, mentre il socialista Heinrich approvava la neonata Repubblica proletaria in Baviera e tenne un discorso al funerale di Kurt Eisner, che quella Repubblica proclamò finendo assassinato per mano di Anton Graf von Arco auf Valley, un nazionalista che gli sparò alla schiena (cavandosela con poco, scontò la pena nella cella della prigione di Landsberg da dove uscì per far posto a Adolf Hitler nel 1924). I fratelli si riconciliarono quando Thomas, rivedute le sue posizioni, parlò in appoggio alla Repubblica di Weimar. Fra i due rimanevano tuttavia alcune inconciliabili inclinazioni. Mentre Thomas, pur sensibile al fascino degli efebi, amava la rispettabilità borghese, a Heinrich, autore di Professor Unrat (L’Angelo Azzurro), piacevano le prostitute e le popolane. Con l’emigrazione negli USA Thomas aiutò in qualche modo il fratello che tuttavia nel 1950 morì in miseria. Qualche anno prima, nel 1944, la sua seconda moglie si era suicidata.

Nel 1933 Heinrich aveva scritto e pubblicato L’Odio (Der Haß, deutsche Geschichte. Una prima traduzione italiana la si ebbe con il Saggiatore) dove adombrando le personalità naziste, in particolare quella di Goebbels (il “giovane letterato fallito divenuto ora l’attuale ministro della Propaganda”) spazia sull’incredulità, sulla frustrazione, sull’invidia, sull’odio, sull’attrazione che i nazisti esercitano, sull’intelligenza corrotta dal bolscevismo. Decisive risultano le riflessioni su ragione e irrazionalismo, con toni di petto più ancora che nella luckacciana Distruzione della Ragione: “Quando l’atteggiamento intellettuale che aveva contraddistinto l’Ottocento si esaurì e giunse a compimento, si prese a disprezzare, insieme alle cavillosità razionalistiche, la ragione stessa. L’irrazionalità che è sorta da allora ha portato alle peggiori catastrofi. Prima ci fu uno sconvolgimento culturale, poi un grande evento: il definitivo successo dell’irrazionale”.  

Nel momento in cui il clima è già sufficientemente pesante, niente assicura più la tranquillità e ci si sente sopraffatti dalla disperazione ecco che nel 1932 “una voce grida alla radio: Noi rifiutiamo il pensiero”. L’odio per chi si è affermato col pensiero, incrementato da una malformazione che lo costringe a zoppicare, lavorano per la vendetta e così Goebbels “l’uomo gentile e raffinato che volontariamente ha abbandonato ogni moralità e si è offerto alla causa dei barbari” tiene un discorso davanti a una pira di libri che arde “per eliminare con le fiamme lo spirito maligno del passato”. “Così si sono ridotti”, rimarca Mann,  a bruciare i libri, un’assurdità che non si vedeva dai tempi dell’Inquisizione”. D’altra parte la letteratura tedesca “è nella sua interezza una testimonianza di umanità”, un’antitesi all’ideologia degli Hitler, dei Goebbels e dei loro compari, non a caso “Lessing e Heine sono stati i primi a venir consegnati alle fiamme”, vale a dire un illuminista che scrisse un romanzo sulla tolleranza con protagonista un saggio ebreo e un poeta ebreo cui furono eretti monumenti un po’ ovunque in Germania, ammirato dalla Principessa Sissi e dal lontano parente Karl Marx.