Carlo Luigi Lagomarsino
nel fumo di una sigaretta
Il piacere che si brucia nel fumo di una sigaretta non è dei più facili da capire. Io ho faticato molto ad assaporarlo. Le sigarette puberali persero per me rapidamente il fascino trasgressivo, che avevano per tutti, al primissimo insorgere del mal di capo. C’era chi, bambino, riusciva a riempirsi i polmoni di calore e a dare l’impressione di goderne in pieno, forse soltanto perchè altri mostravano di soffrire, ma il godimento era indubbiamente sincero. Da allora ho avuto la sensazione che qualsiasi sostanza capace di alterare la percezione venisse metabolizzata nel mio corpo con una sensibilità talmente particolare, dolorosamente particolare, da consigliare la parsimonia. Ciò non toglie che di queste sostanze, di tutte, ne abbia fatto in realtà un uso esagerato e che di una in particolare sia stato il rispettoso officiante per circa dieci anni. Il piacere di questa, tuttavia, lo avevo scoperto tanto rapidamente che mi riusciva poi difficile regolarlo su dei tempi che fossero veramente propizi, in quanto, piuttosto, obbligati. C’è un elemento coatto anche nella sigaretta, ma i tempi in cui fraziona la giornata sono infinitamente più elastici e la voluttà che trasmette li riempe delicatamente. La sigaretta è un’alleata del tempo, aiuta a trascorrerlo. Naturalmente si può anche non fumare e quella dell’opportunità di smettere è una delle affermazioni più tristi che compaiono sulla bocca di tanti fumatori incalliti. D’altra parte l’affermazione non sempre è onesta e in generale si può dire che sia la pedante concessione a circostanze diventate per loro immensamente sfavorevoli. Il fumo, si sa, è oggetto di divieti e i fabbricanti di sigarette sono costretti a mettere sui loro pacchetti delle frasi minacciose. Le cose sembrano per giunta destinate a peggiorare. Non sono più io che, in un ambiente conosciuto o meno, chiedo se dò fastidio fumando, e nemmeno sono gli altri che mi pregano di non farlo, è la società che me l’impedisce. Se scegliessi deliberatamente di dar fastidio non sarebbero gli infastiditi, con la logica della forza e del numero, in ultima analisi della loro diretta responsabilità, a consigliarmi di smettere, ma sarebbero delle sanzioni che un qualsiasi prezzolato in divisa potrebbe comminarmi convinto di avere una delega dalla società. In quest'ultima, peraltro, ci si dovrebbe interrogare perennemente su dove inizia e dove finisce la nostra e l’altrui libertà -e la nostra si dice che finisca dove comincia quella degli altri. Una vera tortura. Da qualche secolo la si chiama "contratto sociale" e i più hanno ritenuto che ci si debba felicemente conformare ai suoi dettami, a un certo punto enfatizzati da un notorio gerontofilo ginevrino, aduso alla masturbazione e di temperamento masochista, definito da Voltaire un "arcimatto". A quei tempi l’unica nota stonata fu quella del Marchese de Sade il quale, andando ben oltre ciò che avevano sostenuto Mandeville o Helvetius, avvertiva inutilmente il genere umano che tutto quanto si svolgeva nel nostro universo era naturale, compreso il delitto, e che dunque non c’era di che preoccuparsi. Le cose andarono come andarono e a lungo ci si dimenticò di lui. Oggi viene nuovamente ricordato, ma la "legge naturale" di Locke sembra più naturalmente accettabile dagli esseri pensanti così come l’arguzia di Voltaire, l’arringa di Beccaria, la visione di Condorcet -comunque da ammirare- sembrano del tutto più ragionevoli, finendo stimate, col giusnaturalismo e i diritti dell'uomo, quali approdi fatali e, soprattutto, convenienti della condizione umana. In qual misura tutto ciò corrisponda agli uomini reali, a parte la ragionevole presunzione, non è facile da stabilire. Si preferiscono in ogni caso le definizioni sofistiche e di principio della libertà. Mi è chiaro dove si possa arrivare cominciando col confutare certi principi, e mi è chiaro che i tiranni agiscono, almeno in un certo senso, proprio su basi di libertà. Non mi pare questa tuttavia una buona ragione per smettere di pretendere ciò che percepiamo confacente alla nostra natura (e ai nostri artifizi). Per converso, i nostri liberalissimi governanti non si stancano mai di dettar legge. Sul fumo delle sigarette diventano ogni giorno più inflessibili. In Italia un dispotico ministro oncologo ha minacciato misure vieppiù severe. Il suo mestiere non è d'altra parte quello di incoraggiare gli uomini al piacere, ma quello di intimorirli. Non va a colpire dei principi (in realtà colpisce anche quelli) ma la nostra stessa allegria.