Già prima che venisse tradotto in italiano, Empire di
Hardt e Negri (2000) aveva suscitato non poca curiosità sulla nostra stampa.
Nel gennaio di quest’anno il libro è stato pubblicato anche da noi presso
Rizzoli, nella traduzione di Alessandro Pandolfi. Le recensioni che ha avuto
sono state per lo più lusinghiere ma sostanzialmente vacue e, con tediosa
frequenza, orientate ad asseverare una “bibbia” (o un ultimo “manifesto”) a
disposizione dei cosiddetti “nuovi movimenti” dell’epoca “globalizzata”.
Altrettanto hanno fatto le ( poche) recensioni apertamente ostili. Impero ci ha indotto viceversa a ritenere percorribile una sua lettura al di
là di certe esauste quanto compiaciute impostazioni culturali e pertanto aperta
a poche ma utili sollecitazioni di critica (in specie nell’analisi della storia
americana). Ne proponiamo quindi la prefazione in una traduzione differente da
quella del volume in commercio. La preleviamo dalle pagine di “Zaratustra” curate da Simone Falanca(*).
Michael Hardt e Antonio Negri
prefazione a Impero
L'Impero si
materializza sotto i nostri occhi. Nel corso degli ultimi decenni, con
l'abolizione dei regimi coloniali e ancor più velocemente dopo il crollo
definitivo delle barriere sovietiche di fronte al mercato del mondo
occidentale, abbiamo assistito ad una irresistibile e irreversibile
mondializzazione degli scambi economici e culturali. Accanto al mercato
mondiale ed ai circuiti mondiali di produzione sono sorti un ordine mondiale,
una logica e una struttura nuova del potere - in breve, una nuova forma di sovranità.
L'Impero è il soggetto politico che regola effettivamente gli scambi mondiali,
il potere sovrano che governa il mondo. Molti sostengono che la mondializzazione
della produzione e degli scambi capitalistici significa che le relazioni
economiche sono divenute più indipendenti dal controllo politico, dunque che la
sovranità politica è in declino. Alcuni celebrano questa nuova era come la
liberazione dell'economia capitalista dalle restrizioni e dalle distorsioni che
le forze politiche le avevano imposto; altri, al contrario, la deplorano poiché
essa chiude le vie istituzionali attraverso cui lavoratori e cittadini potevano
influenzare o contestare la logica fredda del profitto capitalistico. E' vero
che, con l'avanzare del processo di mondializzazione, la sovranità degli
Stati-nazione, pur restando largamente effettiva, è progressivamente declinata.
I fattori primari della produzione e degli scambi - denaro, tecnologia,
personale e merci - attraversano le frontiere con una facilità crescente; ne
segue che lo Stato-nazione ha sempre meno potere per regolare quei flussi e
imporre la sua autorità sull'economia. Anche gli Stati-nazione dominanti non
devono essere più considerati come delle autorità supreme e sovrane, sia
all'esterno delle proprie frontiere che all'interno di esse. Ad ogni modo, il
declino della sovranità degli Stati-nazione non significa che la
sovranità sia in declino in quanto tale. Per tutto il corso delle
trasformazioni contemporanee, i controlli politici, le funzioni statali e i
meccanismi regolatori hanno continuato a regolare il campo della produzione e
degli scambi economici e sociali. La nostra ipotesi fondamentale è che la
sovranità ha acquisito una forma nuova, composta di una serie di organismi
nazionali e sovranazionali uniti sotto una logica unica di governo. Questa
nuova forma mondiale di sovranità è ciò che noi chiamiamo l'Impero. La
sovranità declinante degli Stati-nazione e la loro incapacità crescente a
regolare gli scambi economici e culturali sono, infatti, i primi sintomi
dell'avvento dell'Impero. La sovranità degli Stati-nazione è stata la pietra
angolare dell' imperialismo che le potenze europee hanno costruito nel corso
dell'epoca moderna. Con "Impero", ogni volta, noi intendiamo qualche
cosa di assolutamente differente dall'"imperialismo". Le frontiere
definite dal sistema moderno degli Stati-nazione sono state fondamentali per il
colonialismo dell'Europa e per la sua espansione economica: le frontiere
territoriali della nazione delimitavano il centro della potenza a partire dal
quale si esercitava il potere sui territori esteri, grazie ad un sistema di
canali e di ostacoli che facilitavano e bloccavano alternativamente i flussi
della produzione e della circolazione. L'imperialismo era veramente una
estensione della sovranità degli Stati-nazione europei al di là delle loro
frontiere. Finalmente, quasi tutti i territori del mondo potevano essere divisi
e ripartiti, e la carta del mondo poteva essere codificata in colori europei:
rosso per i territori britannici, blu per i francesi, verde per i portoghesi, e
via di seguito. Laddove la sovranità moderna prendeva radici, essa edificava un
Leviatano che dominava la sua sfera (domaine) sociale e imponeva delle
frontiere territoriali gerarchiche, ad un tempo per controllare poliziescamente
(policièrement) la purezza della propria identità e per escludere tutto ciò che
era altro.
Il passaggio all'Impero sorge dal crepuscolo della sovranità moderna.
Al contrario dell'imperialismo, l'Impero non stabilisce dei centri
territoriali di potere e non si appoggia su delle frontiere o su delle barriere
fisse. E' un apparato decentralizzato e deterritorializzato di governo, che
integra progressivamente lo spazio del mondo intero all'interno delle frontiere
aperte ed in perpetua espansione. L'Impero gestisce delle identità ibride,
delle gerarchie flessibili e degli scambi plurali modulando le sue reti di
comando. I colori nazionali distinti della carta imperialista del mondo si sono
mescolati nell'arcobaleno mondiale dell'Impero.
La trasformazione della geografia imperialista moderna del globo e la
realizzazione del mercato mondiale segnano una traslazione (transfert) nel modo
capitalista di produzione. Più importante: le divisioni spaziali tra i tre
"mondi" (il primo, il secondo e il terzo, o "tiers"),
si sono imbrogliate al punto che si trova continuamente il primo nel terzo, il
terzo nel primo, e il secondo quasi più da nessuna parte. Il capitale sembra
aver a che fare con un mondo senza capo - cioè un mondo definito da regimi
complicati e nuovi di differenziazione e di omogeneizzazione, di
deterritorializzazione e di riterritorializzazione. La determinazione dei
percorsi e dei limiti di questi nuovi flussi mondiali si è accompagnata ad una
trasformazione degli stessi processi dominanti di produzione; ne risulta che il
ruolo del lavoro industriale in fabbrica (usine) si è ridotto e si è data la
priorità al lavoro di comunicazione, di cooperazione e di relazione. Nella
postmodernizzazione dell'economia mondiale, la creazione di ricchezza tende al
sovrappiù verso ciò che noi chiameremo la produzione biopolitica, ossia la
produzione della vita sociale stessa nella quale l'economia, la politica e la
cultura coincidono sempre più e si investono mutuamente.
Molti situano l'autorità suprema che supervisiona il processo di
mondializzazione e il nuovo ordine mondiale negli Stati Uniti. I loro
partigiani celebrano essi come il leader mondiale e la sola superpotenza; i
loro detrattori li denunciano come un oppressore imperialista. Queste due
percezioni riposano sull'idea che gli Stati Uniti abbiano semplicemente
rivestito il mantello della potenza mondiale che le nazioni europee avevano
lasciato cadere. Se il XIX secolo era stato un secolo inglese, il XX sarà stato
quello dell'America del Nord; come a dire che se la modernità era europea, la
postmodernità è americana. Il carico più pesante che i critici possono far
valere è che gli Stati Uniti ripetono nei fatti le pratiche degli antichi
imperialisti europei; i loro partigiani celebrano al contrario gli Stati Uniti
come il leader mondiale più efficace e più benevolo, rettificando quello che
gli Europei avevano sciupato (gaché). Gli Stati Uniti non costituiscono il centro
di un progetto imperialista; e, in effetti, nessuno Stato-nazione può farlo
oggi. L'imperialismo è finito. Nessuna nazione sarà oramai potenza mondiale
come le nazioni dell'Europa moderna sono state. Gli Stati Uniti occupano
senz'altro una posizione privilegiata nell'Impero, ma questo privilegio non
deriva dalle loro somiglianze con le antiche potenze imperialiste europee, ma
dalle loro differenze. Queste differenze sono molto chiaramente identificabili
concentrandosi sui fondamenti propriamente imperiali - non imperialisti - della
Costituzione degli Stati Uniti; con "costituzione", noi intendiamo
allo stesso tempo la Costituzione formale, ossia il documento scritto con i
suoi diversi emendamenti e arsenali legislativi, e la costituzione materiale,
ossia la formazione e riformazione costante della composizione delle forze
sociali. Thomas Jefferson, gli autori del Federalista e gli altri
ideologi fondatori degli Stati Uniti sono tutti stati ispirati dal modello
imperiale antico; essi credevano di creare, sull'altra riva dell'Atlantico, un
nuovo impero dalle frontiere aperte, in perpetua espansione, in cui il potere
sarebbe stato effettivamente distribuito in rete. Questa teoria imperiale è
sopravvissuta e maturata attraverso la storia della Costituzione degli Stati
Uniti ed essa si presenta oggi a scala mondiale nella sua forma pienamente
dispiegata.
Dobbiamo sottolineare che noi non impieghiamo qui "Impero" come una
"metafora" - ciò che esigerebbe una dimostrazione delle
rassomiglianze tra l'ordine mondiale e gli imperi di Roma, della Cina, delle
Americhe, ecc. - ma piuttosto come un concetto, il che esige fondamentalmente
un approccio teorico. Il concetto di Impero è caratterizzato fondamentalmente
da una assenza di frontiere: il governo dell'Impero non ha limiti. Prima di
ogni cosa, dunque, il concetto di Impero pone in principio un regime che
ingloba la totalità dello spazio in cui dirige effettivamente il mondo
"civilizzato" nel suo insieme. Nessuna frontiera territoriale limita
il suo regno. In secondo luogo, il concetto di Impero si presenta esso stesso
non come un regime storico che trae la sua origine da una conquista, ma
piuttosto come un ordine che sospende effettivamente il corso della storia e
fissa di là lo stato presente degli affari per l'eternità. Secondo il punto di
vista dell'Impero, è la maniera in cui le cose saranno sempre e la maniera in
cui esse erano pensate da tutta l'eternità. In altri termini, l'Impero presenta
il suo potere non come un momento transitorio nel flusso della storia, ma come
un regime senza frontiere temporali, dunque in questo senso fuori della storia
o alla fine della storia. In terzo luogo, il potere dell'Impero funziona a
tutti i livelli dell'ordine sociale, discendendo sino alle profondità del mondo
sociale. Non solamente l'Impero gestisce un territorio ed una popolazione, ma
esso crea anche il mondo reale che esso abita. Non contento di regolare le
interazioni umane, esso cerca anche di regolare direttamente la natura umana.
L'oggetto del suo potere è la vita sociale nella sua integralità, di modo che
l'Impero rappresenta in effetti la forma paradigmatica del biopotere. Infine,
sebbene la pratica dell'Impero si bagni continuamente nel sangue, il concetto
di Impero è sempre dedicato alla pace - una pace perpetua e universale, al di
fuori della storia.
L'Impero cui siamo di fronte dispone di enormi poteri di oppressione e di
distruzione - ma questo fatto non deve in alcuna maniera darci la nostalgia
delle antiche forme di dominazione. Il passaggio all'Impero e i suoi processi
di globalizzazione offrono in effetti delle nuove possibilità alle forze di
liberazione. La mondializzazione, naturalmente, non è una cosa unica e i
molteplici processi che noi identifichiamo come tali non sono né unificati né
univoci. Il nostro scopo politico - diremo noi - non è semplicemente di
resistere a questi processi, ma di riorganizzarli e di riorientarli a dei nuovi
fini. Le forze creatrici della moltitudine che sostiene l'Impero sono del tutto
capaci di costruire un contro-Impero, ossia una organizzazione politica di
ricambio degli scambi e dei flussi mondiali. Le lotte miranti a contestare e a
sovvertire l'Impero, altrettanto di quelle destinate a costruire una reale
soluzione di rimpiazzo, si svolgeranno così sul terreno imperiale medesimo - e
infatti, delle lotte nuove di questo genere hanno già cominciato ad emergere.
Attraverso queste lotte e altre come quelle, la moltitudine dovrà inventare
delle nuove forme democratiche ed un nuovo potere costituente che, un giorno,
ci condurrà attraverso e al di là dell'Impero.
La genealogia che seguiremo nella nostra analisi del passaggio dall'imperialismo
all'Impero sarà prima europea, poi euroamericana, non perché noi pensiamo che
quelle regioni siano le fonti privilegiate o esclusive delle idee nuove e
dell'innovazione storica, ma semplicemente perché questa è stata la via
geografica dominante seguendo la quale le teorie e le pratiche che animano oggi
l'Impero si sono sviluppate - in armonia, come noi cercheremo di mostrare, con
l'evoluzione del modo capitalista di produzione. Dal momento in cui la
genealogia dell'Impero è, in questo senso, eurocentrica, i suoi poteri attuali
non sono limitati ad alcuna regione. Le logiche del potere che hanno avuto, in
un senso, la loro origine in Europa e negli Stati Uniti, investono al presente
le pratiche di dominazione nel mondo intero. Più importante: le forze che
contestano l'Impero e che prefigurano effettivamente una società mondiale di
sostituzione non sono esse stesse limitate ad una regione geografica. La
geografia di questi poteri di sostituzione - la nuova cartografia - attende
sempre di essere scritta - o piuttosto, in realtà, essa è attualmente in corso
di scrittura da (attraverso) le resistenze, le lotte e i desideri della
moltitudine.
Scrivendo questo libro, abbiamo cercato di applicare meglio che potevamo un
approccio largamente interdisciplinare. Il nostro proposito mira ad essere
egualmente filosofico e storico, culturale ed economico, politico ed
antropologico. Per una parte, il nostro obiettivo di studio esige questa vasta
interdisciplinarietà, poiché nell'Impero, le frontiere che avrebbero
giustificato un approccio disciplinare stretto sono sempre meno numerose. Per
esempio, in questo mondo imperiale, l'economista ha bisogno di una conoscenza
elementare della produzione culturale per comprendere l'economia; allo stesso
modo, la critica culturale ha bisogno di una conoscenza elementare dei processi
economici per comprendere la cultura. E' un'esigenza consustanziale al nostro
progetto. Ciò che noi speriamo aver apportato come contributo, in questo libro,
è un quadro teorico generale ed una cassetta degli attrezzi di concetti per
teorizzare ed agire allo stesso tempo in e contro l'Impero.
Come per la maggior parte dei grossi libri, questo può essere letto in molte
maniere differenti. Dalla prima all'ultima pagina e vice versa, per frammenti,
come un gioco infantile (jeu de marelle) , o per corrispondenze. I capitoli
della prima parte introducono la problematica generale dell'Impero. Nella sezione
centrale del libro (seconda e terza parte), noi esponiamo la storia dei
passaggi dalla modernità alla postmodernità, o ancora, effettivamente,
dall'imperialismo all'Impero. La seconda parte espone questo passaggio dal
punto di vista delle idee e della cultura, dell'inizio del periodo moderno ai
nostri giorni; il filo rosso che corre attraverso questa parte è la genealogia
del concetto di sovranità. La terza parte racconta lo stesso passaggio dal
punto di vista della produzione, questo termine essendo inteso in modo molto
largo, che va dalla produzione economica alla produzione del soggetto. Questo
racconto abbraccia un periodo più piccolo e si concentra essenzialmente sulle
trasformazioni della produzione capitalistica dalla fine del XIX secolo ai
nostri giorni. La seconda e la terza parte sono strutturate in maniera
parallela: le prime sezioni di ogni parte trattano la fase moderna
dell'imperialismo; le sezioni mediane, dei meccanismi del passaggio; le sezioni
finali analizzano il nostro mondo postmoderno che è quello dell'Impero. Abbiamo
strutturato il libro in questa maniera al fine di accentuare l'importanza del
passaggio dal regno delle idee a quello della produzione. L'Intermezzo tra la
seconda e la terza parte funziona come una cerniera che articola il movimento
da un punto di vista all'altro. Noi pensiamo che questo dislocamento del punto
di vista funzioni un po' come, in Marx, il passaggio del Capitale in cui
l'autore ci invita a lasciare la sfera agitata e rumorosa dello scambio ed a
scendere negli antri nascosti della produzione. Il regno della produzione si
situa laddove le ineguaglianze si manifestano chiaramente e, inoltre, dove
nascono le resistenze e le soluzioni di ricambio più efficaci al potere
dell'Impero. Nella quarta parte, infine, noi cerchiamo di identificare queste
soluzioni di ricambio che definiscono oggi le linee di un movimento che
oltrepassa l'Impero.