Da “Avvenire”, 17 settembre 2011
Massimo Introvigne
Il fumetto esotico? Nasce dai
missionari
Philippe Delisle, storico del fumetto dell’Università di Lione, si è
già reso noto per un corposo saggio – recensito su Avvenire dello scorso 3
aprile – sulle origini cattoliche della "scuola belga", cioè di una
delle tre grandi scuole del Novecento nel campo dei fumetti, insieme a quelle
americana e giapponese. Delisle pubblica ora un nuovo
volume, De Tintin au Congo à Odilon
Verjus. Le missionnaire, héros de la BD belge (Karthala, Parigi
2011), in cui sviluppa un altro aspetto della sua tesi. Una delle ragioni del
successo dei fumetti è il loro esotismo. In gran parte sostituendo i romanzi di
Emilio Salgari (1862-1911) e di altri autori di avventure, il fumetto europeo
ha avuto la sua epoca d’oro subito prima e subito dopo la Seconda guerra
mondiale, riuscendo a far sognare ai ragazzi terre lontane in cui, in un’epoca
precedente ai viaggi organizzati di massa, ben pochi dei giovani lettori e
neppure dei loro genitori erano stati. Se ci si riferisce alla scuola belga,
che però ha avuto un’enorme influenza su tutto il fumetto internazionale per la
sua riconosciuta eccellenza, anche l’esotismo – sostiene ora Delisle – ha un’origine cattolica, che la storiografia
specializzata ha di rado riconosciuto.In Belgio come
in tutta Europa gli anni fra le due guerre mondiali vedono una diffusione di
massa della letteratura cattolica sui missionari, in parte rivolta anche ai
ragazzi, e di tutta una serie d’iniziative come i salvadanai nei negozi e nei
ristoranti – alcuni scomparsi solo recentemente – per raccogliere fondi per le
missioni. Lo scopo di queste attività era duplice: sostenere i missionari dal
punto di vista finanziario e suscitare vocazioni. Delisle
mostra come l’iconografia delle campagne di sostegno alle missioni e dei
fascicoli illustrati cattolici passa qualche volta direttamente nei classici
del fumetto belga. L’autore attira l’attenzione su un avvenimento particolare,
l’Esposizione delle Missioni Cattoliche Belghe al Palais
d’Egmont di Bruxelles nel 1924. Alcuni dettagli dei
manifesti e dei cartelloni della mostra si ritrovano quasi letteralmente nelle
opere dei due padri fondatori della scuola belga, Hergé
(Georges Remi, 1907-1983), il creatore di Tintin, e Jijé
(Joseph Gillain, 1914-1980), uno degli autori di Spirou. Delisle sottolinea
l’importanza capitale per il passaggio dall’esaltazione dei missionari
all’esotismo tipico dei fumetti di un classico tra i classici, Tintin au Congo di
Hergé, pubblicato originariamente dal 5 giugno 1930
al 18 giugno 1931 sul Petit Vingtième, supplemento
per ragazzi del giornale cattolico belga Le Vingtième
Siècle. La figura positiva del missionario con talare
bianca, casco bianco antisole e barba bianca – nello stesso tempo saggio,
audace e avventuroso – si ritrova in decine di fumetti successivi. Lo stesso Hergé tornerà sui missionari, in tutt’altro contesto
geografico, in un episodio del 1939 di un’altra serie, dedicata ai personaggi
di Jo e Zette, facendo loro
visitare una missione al Polo Nord. Quanto al cattolicissimo Jijé, si comprende come i missionari ritornino spesso nella
sua opera, che si tratti di personaggi di fantasia o di figure sante della
storia come il beato Charles de Foucauld (1858-1916). Alla sua vita a fumetti
firmata Jijé Delisle
affianca giustamente il successo di quella di san Francesco Saverio (1506-1552)
dell’allora giovane gesuita Pierre Dufoux, che
diventerà in seguito un affermato ceramista, e cui sarà peraltro dedicata nel
prossimo ottobre una mostra a Godinne, in Belgio. I
missionari sono anche rappresentati spesso nella serie Tif
et Tondu di Fernand Dineur
(1904-1956) – nel tono umoristico che è proprio dell’autore, ma con grande
rispetto – e passano pure nei fumetti realistici di avventura come quelli della
serie sull’Australia Sandy et Hoppy creata dal
fratello di Jijé, Henri Gillain
(1913-1999).Come nell’opera precedente, Delisle fa
notare i limiti della rappresentazione del missionario nel fumetto classico –
che nasce in un clima di entusiasmo un po’ retorico per il colonialismo belga –
e la sua progressiva scomparsa nell’epoca della "secolarizzazione"
del fumetto di lingua francese, specchio della secolarizzazione della società,
negli anni 1960. Mentre Hergé, dopo la perdita della
fede dovuta anche a vicende personali, ripubblicherà l’episodio di Jo e Zette al Polo Nord
sostituendo il missionario con uno scienziato, negli anni 90 le serie classiche
sui missionari avranno una versione parodistica con Odilon
Verjus, un missionario rissoso e poco rispettoso
delle gerarchie – ma il cui cognome evoca l’eroico apostolo dei Papua, il
vescovo nato a Oleggio (Novara) Stanislas Henri Verjus (1860-1892) – messo in scena da Yann
Le Pennetier e Laurent Verron.
L’anticlericalismo di questa serie, sottolinea Delisle,
non va sopravvalutato: molti missionari affermano, al contrario, di averne
apprezzato l’umorismo che non diventa mai veramente anticattolicesimo. Ma le
parodie sono già di per sé il segno di tempi ormai mutati.