E' noto il contributo, spesso anticipatore e affatto originale, che Francesco Saverio Merlino (Napoli 1856, Roma 1930) diede al dibattito sul "revisionismo socialista" degli inizi del XX secolo, ancorché all'epoca esso non fosse tenuto nella considerazione che meritava (e il perché lo si può arguire dal testo proposto, con la sua difesa della scuola austriaca di economia). All'odierno ed esigente lettore la lettura che il Merlino adombra del Marx parrà forse semplicistica (ma la distinzione con la quale chiude il nostro scritto dimostrerebbe eventualmente il contrario) non così dovrà risultare però l'analisi del marxismo. A nostro modo di vedere il saggio che segue è di quelli atti ad intaccare le convinzioni di contrapposte ortodossie. Lo estraiamo da Revisione del marxismo a cura di Aldo Venturini, pubblicato dalla libreria editrice Minerva di Bologna nel 1945, primo volume de "i propugnatori della libertà". "La maggior parte degli scritti in questo volume videro la luce per la prima volta nella Rivista Critica del Socialismo che … si pubblicò a Roma per tutto il 1899, in fascicoli mensili di un centinaio di pagine ciascuno". Cogliamo infine l'occasione per ricordare che ai primi di luglio del 2.000 si è tenuto a Imola un convegno di studi dedicato al pensatore, con i contributi, fra gli altri, di Nico Berti, Bruno Bongiovanni, Luciano Pellicani e Raimondo Cubeddu. Pregiata la relazione di Gianpiero Landi su Aldo Venturini, studioso e continuatore dell'opera di Merlino.

Saverio Merlino

sul problema del valore

Per Marx, per Engels e per Labriola (Antonio), la legge del valore è particolare all'economia capitalistica, anzi ad una parte di questa, perchè nel regime attuale vi sarebbero sopravvivenze di regimi economici precedenti.

Di una legge generale del valore, che spieghi le leggi particolari delle vane epoche economiche, non si parla da Marx e da Engels se non con disprezzo. Engels polemizzando con Duhring, derideva coloro "che vogliono ridurre sotto una stessa legge l'economia politica della Terra del fuoco e quella dell'Inghilterra moderna".

A ragione il Croce ribatte che se Engels avesse voluto parlare di quelli che vogliono elevare a leggi eterne e immutabili le leggi dell'economia capitalistica, avrebbe avuto ragioni da vendere; ma non aveva ragione contro Duhring, che voleva stabilire un concetto generale del valore, per spiegare tanto la società capitalistica quanto altre forme di organizzazione sociale.

Questo concetto generale del valore, che superi l'epoca capitalistica, è tanto più necessario a stabilire, che esso soltanto ci può dare la chiave del nuovo ordinamento sociale, che deve succedere all'attuale.

Un concetto del valore è insito al collettivismo, perchè sebbene il collettivismo sopprima in gran parte i cambii, unificando la produzione, pure non li sopprime interamente.

In regime collettivistico bisognerebbe pur determinare il valore specifico dei vari lavori, bisognerebbe assegnare alle cose che non si producono in quantità eguale a tutti i bisogni un valore corrispondente al loro grado di rarità o di abbondanza, e bisognerebbe assegnare anche un valore ai mezzi di produzione, quando questi, come avviene del suolo stesso, sono limitati e in vario grado utili alla produzione.

L'utopiq marxista è la supposizione che si possano eguagliare le condizioni di lavoro, le capacità, i gusti, i desiderii, rendere tutte le terre egualmente fertili, tutte le città egualmente attraenti, tutte le borgate città o viceversa, tutte le industrie egualmente produttive, togliere con le macchine ogni asperità al lavoro, ridurre tutti i lavori a quel lavoro sociale, medio, immaginato da Marx e tutte le cose a coagulati di questo lavoro immaginario.

Tolta che sia questa supposizione, come si potrà mai credere che, in regime collettivistico, un'ora di lavoro avrebbe esattamente lo stesso valore d'un'altra, e che le cose avrebbero tante unità di valore, quante ore di lavoro fossero state impiegate a produrle?

Ripeto quel che ho detto cento volte: non si può stabilire un paragone tra lavoro e lavoro, tra un'ora di studio e un' ora di lavoro di zappa, tra un'ora di studio e un'altra ora di studio; tra il lavoro di chi viaggia per il mondo per uno scopo scientifico, artistico o commerciale e quello del minatore, che si logora la vita a cinquecento metri sotto la superficie del suolo. Non si può valutare razionalmente e obiettivamente il valore che ha per me, a un dato momento, un libro, un oggetto di arte, il consiglio d'un medico od anche un semplice. bicchier d'acqua.

La spiegazione de' valori dei lavori e delle cose si deve ricercare in quel calcolo edonistico, che ha preso a studiare la cosiddetta scuola austriaca, le cui dottrine, come ebbi occasione di dimostrare contro l'opinione di molti socialisti, che poi hanno cangiato opinione, in Pro e contro il socialismo e in Utopia coliettivistica, non sono punto ostili al socialismo, anzi lo confortano di nuovi argomenti.

Imperocchè il calcolo edonistico, dalle cui profondità non bene scandagliate esce, per così dire, il valore delle cose, sarà sempre soggetto a variazioni, anche nella economia socialistica, per la ragione che i gusti, i desideri, i capricci, le idiosincrasie degli uomini sono tante e così mutevoli. Oggi però, le diversità gravissime di condizioni economiche e sociali fanno sì che poveri e ricchi attribuiscano un valore diversissimo alle cose, e propriamente attribuiscono alle cose un valore che sta in ragione inversa del bisogno che ne hanno, quindi massimo per il povero, minimo per il ricco. Donde la grave ingiustizia dei cambii, e donde pure la gravissima iniquità del contratto di lavoro: perchè la spinta della fame induce l'operaio a vendere le sue braccia per assai meno di quello che esse producono. Qui sta la spiegazione del plusvalore marxista, la giustificazione di quella Supposizione che in Marx non ha nessun fondamento (dacchè è stata ripudiata la legge di bronzo del Lassalle) e che non è esatta nel modo assoluto e categorico come è stata dal Marx (a mo' d'ipotesi) formulata, cioè che l'operaio lavori metà della giornata per sè, e l'altra metà per il padrone.

Dunque il tanto disprezzato calcolo edonistico che è la legge generale del valore da noi ricercata - ci presta argomenti non dispregevoli a favore del socialismo: dovremo noi ricusarli, sol perchè non si trovano scritti nel Capitale, anzi contraddicono al presupposto marxista della equivalenza dei cambi?

Possiamo ripetere . con Marx ed Engels che nella proprietà comunistica futura sparirà il criterio del valore e la produzione sarà regolata all'utilità sociale?

E' notevole che i marxisti attuali si dicono collettivisti, mentre Marx ed Engels, più logici, si dichiaravano comunisti.

Nel collettivismo, dovendo ciascuno avere in proporzione del lavoro che dà, un calcolo di valore è indispensabile. Nel comunismo, e specialmente nel comunismo anarchico, non c'è calcolo da fare, perchè ognuno prende quel che gli bisogna.

 

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