E' stata pubblicata dagli Editori Riuniti, a cura di Paolo Vites - il quale vi ha pure incluso l'intervista che si legge di seguito - l'edizione italiana di Mistery Train di Greil Marcus, un libro del tutto all'altezza della sua fama, benché le lodi concesse al suo autore (per esempio, fra tante innumerevoli, quella di Simon Frith: "il miglior critico rock che ci sia mai stato") vadano quanto meno estese anche ad altri studiosi (Charlie Gillett e Nick Tosches sono i primi che ci vengono in mente). Del resto, i sommi giudizi espressi a suo tempo sul libro ("il migliore mai scritto sul rock", "la bibbia del rock" e simili) se potevano aver senso un quarto di secolo fa, quando venne pubblicato la prima volta (da E:P: Dutton & Co. NEL 1975), ne hanno molto di meno oggi e sono pergiunta fuorvianti, dal momento che spesso inducono a pensare che si tratti di un'organica storia del rock and roll (o come minimo delle sue origini) quando in verità consiste di una raccolta di saggi - indubbiamente efficaci - cui fa seguito un impegnativo ragionamento discografico. Con ciò nulla si vuole togliere alle benemerenze acquisite con questa pubblicazione dal Vites e dagli editori, ed è quindi doveroso segnalare che nelle varie edizioni che ha avuto, il libro è stato continuamente rimaneggiato dall'autore e che l'edizione italiana si è basata sulla sua più aggiornata versione in lingua inglese.

Paolo Vites

visioni d'America
intervista a Greil Marcus


Questo libro "si avvicina al cuore e all’anima dell’America e della musica americana come il miglior rock’n’roll", ha detto Bruce Springsteen. È solo uno dei tanti autorevoli giudizi espressi su quello che, pubblicato la prima volta nel 1975, è diventato il libro che più di ogni altro sa introdurre ai misteri della musica rock, svelandone le connessioni a volte impensabili con la società e la cultura americana. È strano come questo libro, pubblicato in Giappone, Germania, Grecia, Francia, non sia mai stato pubblicato in Italia, nonostante le tante case editrici piccole e grandi (apparentemente) interessate al rock che esistono in Italia. Un vuoto che viene finalmente colmato grazie a Editori Riuniti.

Chiunque pensa di essere un appassionato di musica rock è adesso obbligato a leggerlo: qui dentro si svela il grande mistero del rock’n’roll, analizzando e scrutando le figure di Harmonica Frank e Robert Johnson (gli "antenati" del rock) e di The Band, Sly Stone, Randy Newman ed Elvis Presley (gli "eredi"). Una vastissima discografia (con commenti approfonditi) completa il libro, andando ad analizzare non solo i dischi degli artisti citati ma anche di quelli che a loro sono in qualche modo collegati.

Come ha detto Andrew Perry della rivista "Select", "non potrete trovare un viaggio più penetrante e appassionante di questo verso il cuore della musica rock. È la storia di come tutto cominciò. La Bibbia".

Mystery Train, in America, è oggetto di studio in molti corsi universitari. A chi è diretto, essenzialmente? Un fan tredicenne dei Green Day potrà leggerlo senza problemi?
Credo che se la scrittura è buona, se è divertente, ricca di spirito e di energia, se un libro non è una conferenza o una noia per i lettori, allora chiunque saprà trovare la sua chiave di lettura. Conosco fan tredicenni dei Green Day che, dopo aver letto Mystery Train, ascoltano in modo diverso la loro musica preferita. Questo libro non intende ‘istruire’. Contiene un messaggio piuttosto semplice: nella cultura (musicale) in cui vivi e che altri sviliscono come poco seria, stupida e transitoria, c’è assai di più di quanto tu od io potremmo mai apprendere. La cultura rock opera in modi misteriosi, e noi siamo tutti parte di essa.

Dal 1975, quando uscì la prima edizione di Mystery Train, ad oggi, come è cambiata nella gente la percezione che la musica rock può essere una forma di cultura, e quanto ha aiutato in questo cambiamento il tuo libro?
L’idea che la vera arte o la vera cultura debbano sempre essere create con l’intento conscio di "fare arte" o di "fare cultura" (ho volutamente messo le virgolette perché nessuno sa veramente cosa esse significano) credo che precluderà sempre a molta gente così come alle istituzioni di vedere e ascoltare la musica pop sia come forma d’arte che come cultura. Nessun libro, nessun gruppo e nessun artista potrà cambiare questo preconcetto. Il Museo dell’Arte Moderna di New York potrà anche fare una mostra intitolata "Rock Style" (sostenuta economicamente da Tommy Hilfiger, il designer della moda), ma credimi, la gente che dirige il Museo non ritiene che nulla che ha a che fare con la cultura pop sia vera cultura o vera arte.

In molti passaggi del libro citi la "promessa di una vita americana" come qualcosa che emerge in modo preponderante nella musica degli artisti di cui parli (The Band, Elvis Presley, Randy Newman, Sly Stone, Robert Johnson). Come possiamo definire in modo sostanziale questa "promessa", e cosa rimane di essa nell’America del Terzo Millennio?
La promessa della vita americana, come la cerca a tentoni Fitzgerald in quel passaggio dal Grande Gatsby citato in Mystery Train, vuol dire che "esiste qualcosa di nuovo sotto il sole". Oltre a questo, io stesso potrei essere questa novità. Come storia, leggenda, o racconto, la scoperta dell’America (da parte degli europei) è anche una metafora per la scoperta di se stessi. In questo modo l’America viene alla luce nel promettere che ogni americano può cominciare di nuovo dall’inizio, e sfidando ogni americano a realizzare precisamente questo. Se riesci ad avere successo (in qualunque modo il successo possa venir definito, di solito dal punto di vista dei soldi, ma non sempre) hai realizzato la promessa americana. Ma se fallisci, hai tradito l’America nello stesso modo in cui hai sicuramente tradito anche te stesso. La storia, in questo modo, diviene una storia morale, e la promessa di una vita americana un test morale.
Cosa rimane oggi di questa promessa? Essendo sempre stata un’idea, rimane per intera, anche se in genere si tende a credere che oggi ci siano meno opportunità rispetto a trent’anni fa. Io però non ne sono così sicuro.

A un certo punto del libro scrivi che la "radio Top 40 è la versione rock definitiva dell’America": dov’è finita oggi questa versione rock dell’America?
Il format radiofonico Top 40 non esiste più da tempo. Era un tipo di radio dove ogni settimana i dischi più popolari, di qualunque genere musicale, si disputavano i primi quaranta posti delle classifiche locali. Oggi tutte le radio sono segmentate e programmate meticolosamente per pubblici ben definiti, suddivisi per razza, classe sociale, sesso, età e ogni possibile combinazione di queste categorie. In questo modo non esiste più una base comune per discutere di musica pop, non esiste più una memoria comune della musica pop e quindi, di fatto, non esiste più una comunità pop. Che cosa c’è di buono in questo? Più spazio perché più artisti possono venir ascoltati. Cosa c’è di brutto? La musica pop non è più una forma di comunicazione che attraversa le razze, le classi sociali, l’età o i sessi.

Nel capitolo dedicato a Randy Newman, a un certo punto dici che gli interessi della vita come il matrimonio e il lavoro allontanano il pubblico dalla musica e dall’impegno politico. Non pensi che, in parte, questo defilarsi sia da attribuirsi anche allo scarso contenuto dei dischi degli ultimi anni, cosa che tende ad allontanare i "membri di un pubblico" da quella musica che, da giovani, li aveva messi insieme?
Potrebbe essere vero che oggi ci siano dischi più brutti di quanti ce ne erano in passato Ci sono infiniti cloni dei Backstreet Boys, di N’Sync, di Britney Spears e di Christina Aguilera in giro. Per non parlare della black music contemporanea: "oversouling" la definisce il leggendario produttore della Atlantic (e di Aretha Franklin) Jerry Wexler quando descrive quell’inarrestabile, insensato melisma che oggi la maggior parte dei cantanti neri maschi e femmine propina al pubblico facendo finta di dispensare emozioni, che ha invaso un gran numero di radio mainstream e di canali televisivi musicali via cavo.
C’è davvero un gran mucchio di spazzatura in giro, e molti critici musicali la lodano sia perché hanno paura di apparire non in gamba, oppure vecchi, o perché pensano che un abbraccio ironico alla spazzatura farà di loro dei super-competenti.
Da un altro punto di vista, c’è sempre stato un gran mucchio di spazzatura nella musica pop. Eccetto che tra il 1965 e il 1967 e tra il 1978 e il 1981 all’incirca, quando, come disse uno scrittore, "avevi paura a entrare in un negozio di dischi" per via di tutti i soldi che avresti speso prima di uscirne. I dischi inutilmente imitativi, sciocchi, grossolani nonché le porcate sono sempre state assai più numerose di quei dischi autenticamente vivi. Detto questo, se troppa spazzatura ti allontana dalla musica, non hai da incolpare nessuno se non te stesso. Significa che sei pigro, o abituato a farti consegnare la buona musica direttamente a casa tua, invece di uscire e andarla a cercare nei posti dove il mercato non pensa che tu andrai a cercarla: il vecchio country blues, la musica soul del Sud della fine degli anni Sessanta, la techno tedesca…

Quando parli dei concerti di Bob Dylan con gli Hawks nel 1965-1966, li descrivi come uno dei punti più alti mai raggiunti nella storia della musica rock. Nel corso degli anni, pensi che qualche altro musicista si sia avvicinato a quei vertici creativi?
Non penso sia possibile rispondere a questa domanda. In oltre trentacinque anni di esperienza personale di concerti rock, compresi molti indimenticabili spettacoli punk in piccoli club, una performance straordinaria di Bob Dylan stesso nel 1995, show di Sly Stone, Randy Newman (diverse volte) ed Elvis (una volta sola, nel 1972), non ho mai visto nulla che si possa neanche lontanamente paragonare alla sera in cui, nel 1965, vidi Dylan e gli Hawks. E registrazioni dell’epoca rendono evidente che quel concerto fu nulla rispetto agli show straordinari che quei musicisti tennero in Inghilterra nel 1966. Forse il concerto che vi si avvicina di più, quello che mi ha fatto spontaneamente pensare "questa è la cosa più grande che abbia mai visto", è stato quello dei Gang Of Four a San Francisco nel 1979. Quella sera, era la prima volta che li vedevo, facevano da supporter ai Buzzcocks, e furono talmente selvaggi e drammatici che me ne andai immediatamente dopo il loro set. Non volevo che nulla si intromettesse in quello che era appena successo. In seguito lessi che il batterista dei Gang Of Four, Hugo Burnham, parlando di quel concerto, disse che era stato il loro miglior concerto di sempre, la prima volta in cui erano entrati in una dimensione in cui, come avrei detto io stesso, la musica aveva preso una tale autonomia che era lei a suonare loro, non viceversa.
Ma può essere che una volta che provi un’esperienza che ti consente di comprendere cosa possa essere una performance dal vivo, nulla potrà battere la performance che ha provocato in te questa presa di coscienza. Per questo non dirò mai a nessuno: "Oh, il concerto che hai visto non può essere stato bello come quello che ho visto io, tanti anni fa". Questo tipo di evento accade di continuo. Accadeva in tutto il mondo quando i Nirvana si esibivano, ha luogo in piccolissimi locali dove si esibisce un gruppo locale che nessuno al di fuori di quel paesino conosce.

Nel libro dici che la carriera di Elvis "ha quasi avuto l’intento di assumere in essa l’America intera". Credo che, anche se per un periodo di tempo estremamente limitato, tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta, in un certo senso la carriera di Bruce Springsteen abbia avuto lo stesso scopo. Possiamo dire che Springsteen sia stato per la sua generazione ciò che Elvis è stato per la tua?
Bruce ha avuto sulla gente l’impatto che EGLI ha. Lui non è Elvis. Non è abbastanza bello. Non sa ballare. Paragonato a Elvis non ha il senso del ritmo. Se è vero che ha cominciato come "un ragazzino-che-voleva-essere-Elvis", dopo un certo periodo ha cessato di essere una versione di chicchessia per diventare una figura originale, un performer con un punto di vista che era nuovo all’interno della musica pop e un modo di parlare che era al tempo stesso tradizionale e stranamente poco familiare. Credo sia successo con l’album Nebraska, e non prima, eccetto sporadicamente nei suoi concerti. Ma Bruce non ha, nel suo tocco, la magia che aveva Elvis; deve lavorare per trovare la magia, quindi uscire fuori, raccoglierla e portarla a casa.
Elvis ERA l’America, e lo sapeva; Bruce non è sicuro che l’America esista, ed ecco perché continuamente, nelle sue canzoni, cerca di trovarla.

In cosa consiste il lavoro di un critico rock?
Il lavoro di un critico rock o, per usare quel termine di "sinistra", "l’incarico" (cosa che implica peso, responsabilità, obblighi ma anche opportunità), è dire la verità nel modo in cui uno la vede.
E questo è più difficle di quello che sembri. Significa esprimere, o confessare, il tuo autentico responso e quindi analizzare questo responso e renderlo in un’argomentazione che possa valere il tempo di qualcun altro. Significa ignorare o evadere la censura di se stesso che porta uno scrittore a mentire a se stesso, a dire ciò che ci si aspetta, ciò che sarà approvato, ciò che farà sembrare "figo" quello scrittore. In questo senso il mestiere di un critico rock non è diverso da quello di qualunque tipo di critico.

Hai avuto qualche reazione particolare dagli artisti da te ritratti nel libro? Sai, ad esempio, se Elvis Presley abbia mai letto Mystery Train?
So che Randy Newman ha letto Mystery Train. Una volta, in un’intervista, disse di percepire, quando compone, che qualunque cosa stia facendo non sarà paragonabile alle sue abilità descritte da me in Mystery Train: "A quel tipo non piacerà", intendendo che quella canzone non mi sarebbe piaciuta. Credo sia divertente.
Ero (e sono) amico di tutti i membri di The Band a livello diverso, ma non abbiamo mai parlato di Mystery Train. Non so se Elvis l’abbia mai letto. So che l’ha letto Sam Phillips, e la sua reazione al libro mi ha fatto camminare sulle nuvole per giorni…

Da quanto si deduce da Mystery Train, il rock’n’roll è musica esclusivamente americana, non solo per motivi stilistici o per essere nato da fonti musicali proprie di quel Paese, ma per i significati insiti in questa musica. Credi abbiano senso musicisti italiani, giapponesi o brasiliani che si cimentano con il rock’n’roll?
Il rock’n’roll è musica americana nel contesto in cui l’ho discusso in Mystery Train. Ma può anche essere inglese, tedesco, giapponese… o così via. Credo che la gente che parli la lingua romanza sia svantaggiata perché in essa mancano le consonanti dure e le vocali discordanti necessarie al ‘morso’ di questa musica. Forse per questo non è mai esistito un grande disco francese di rock’n’roll, anche se i francesi hanno avuto il loro Elvis, nella persona di Johnny Halliday.
Eppure, c’è un modo in cui Leslie Fiedler, come è citato all’inizio di Mystery Train, ha ragione: i più grandi dischi di rock’n’roll potrebbero essere quelli degli inglesi, per esempio Money dei Beatles, Complete Control dei Clash, Anarchy In The UK dei Sex Pistols e Let It Bleed dei Rolling Stones, ma fatti da, come dice Fiedler, inglesi che erano anche "americani immaginari".

In definitiva: Mystery Train è allora un libro che può rivolgersi anche ai non americani e ai non appassionati di solo rock’n’roll?
Nessuno sa chi o cosa sia un americano. Non vediamo le cose alla stessa maniera, non abbiamo gli stessi valori, le stesse conoscenze, la stessa storia, non parliamo la stessa lingua. In qualche modo credo che l’America, o gli Usa, o l’"America", sia una cosa molto più unitaria, un qualcosa molto più facile da conoscere per uno che non è un americano che per un americano stesso. In questo senso le storie raccontate in Mystery Train, o le argomentazioni sull’America o su certi aspetti della vita e della cultura americana possono essere oggettivati più facilmente dai lettori non americani che da quelli americani. Quelle storie e quelle argomentazioni possono essere capite e avere un responso più facile da parte di un italiano o di un giapponese, che possono permettersi di avere un’idea più unitaria dell’America di quanto ne abbia un americano, proprio come un americano può parlare in modo sicuro dell’"Italia" o degli "italiani" e non avere idea di che cosa sta parlando.
Comunque, credo che, se si tratta di buone storie e se il libro funziona, non ci sia bisogno di essere interessati all’America o al rock’n’roll per trovare il libro interessante. Questo è il mio lavoro: rendere il lettore interessato.

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l'intervista a Greil Marcus ha avuto la sua prima collocazione in rivista sulle colonne di "Jam"

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