Charles de Jacques

Jacques Laurent, l'ussaro

Il 30 dicembre del 2000 moriva Jacques Laurent (era nato il 5 gennaio del 1919). Pochi mesi prima era uscito da Grasset il suo ultimo romanzo che, destino vuole, richiama nel titolo "la fine di tutto" (Jacques Laurent, Ja et la fin de tout, Grasset, Paris, 2000). Un personaggio del libro dice: "invece di passare il tempo ad augurarci ammassi di bontà, buone giornate, buon appetito, buon dopopranzo, buona serata, buona notte, buone feste, buon compleanno, buon week-end, buona domenica, buone vacanze, buon anno, faremmo meglio una volta per tutte ad augurarci una buona morte".

Contemporaneamente, le éditions de Fallois pubblicavano Au galop des hussards di Christian Millau, giornalista gastronomo, una metà della celebre coppia Gault e Millau. L'autore vi effigia, sulla base di propri ricordi letterari e giornalistici, gli anni dopo la seconda guerra mondiale ponendo al centro della narrazione lo scrittore Roger Nimier che egli, poco più che ventenne, nel 1951, aveva conosciuto lavorando a "Opéra", un nuovo settimanale del quale Nimier, ventiseienne (morirà nel 1962 in uno spaventoso incidente automobilistico) è alla testa della redazione. Nimier sarà indicato da lì a poco come il capo degli "Ussari" cui il titolo del libro di Millau fa riferimento. Niente di militaresco, ovviamente, si tratta di letterati. Ci sono Jacques Laurent, Michel Déon, Antoine Blondin e Roger Nimier. Il nome glielo aveva affibbiato Bernard Frank - altro giovane, in seguito brillante opinionista al "Nouvel Observateur" - in un articolo, Hussard e grognard, che comparve nel dicembre 1952 sulla rivista di Jean-Paul Sartre "Les temps modernes". "Li potrei definire fascisti", diceva Frank, ma solo "per comodità". Di destra, è sicuro.

In effetti avevano avuto tutti, chi più chi meno, qualche rapporto con l'Action Française (Deon, durante l'occupazione, era stato segretario di redazione della rivista omonima). Non è questo, comunque, che li caratterizza. Amano Dumas e Stendhal, ma in gradi differenti e, sempre in gradi differenti, sono dei buoni bevitori - con Blondin inarrivabile - ma è l'articolo di Frank a farli diventare il gruppo che in realtà non sono. Altri, come Marcel Aymé, potrebbero tranquillamente ingrossarne le fila. Le hussard bleu e D'Artagnan amoreux, sono romanzi di Nimier che, come abbiamo visto, morirà giovane. Deon - che soggiornerà a lungo in Canada, in Grecia, in Portogallo e in Irlanda - pubblica svariati romanzi guadagnando altrettanti premi letterari per finire accademico di Francia sulla poltrona che fu di Jean Rostand. Blondin già dal primo romanzo, L'Europe buissoniére, è troppo tenero e malinconico perché venga confuso con la destra sprezzante degli scrittori che hanno patito l'epurazione. Le sue cronache del Tour de France costituiranno poi un parametro difficile da eguagliare. Jacques Laurent, infine, è lo scrittore più "moderno" e disponibile nei confronti della "nuova letteratura".

Ciò che più di tutto li accomunava - e che giustifica l'assimilazione sotto un'etichetta - è soprattutto la loro polemica contro le liste di proscrizione, tutte le "liste nere", di destra e di sinistra. Come l'editore radicale Jean Galtier-Boissière - campione di una Francia allora minoritaria e coraggiosa - chiamava a collaborare al "Crapouillot" scrittori compromessi e inquisiti quali Lucien Rebatet, gli "ussari" sceglievano la letteratura dovunque la trovassero, senza scrupoli e preconcetti. Proprio Jacques Laurent, appena letto l'articolo di Frank, ne avrebbe apprezzato l'acume. Il loro è un credo letterario più che politico. Ritengono che la letteratura sia un rimedio più efficace della politica al "male di vivere". Non digeriscono perciò "l'impegno" sartriano, ma anche se dedicano a Jean Paul Sartre dei polemici libelli (sia Nimier che Laurent) non cercheranno mai di togliere a Sartre quel che è di Sartre. Per certi versi, anzi, costituiscono una fronda all'esistenzialismo, fino a condividerne anche i luoghi fisici, i locali, i bistrot.

In uno dei suoi lucidi quanto capziosi saggi (Il pensiero di destra, oggi, in Dobbiamo bruciare Sade? Iota libri, Milano 1973) Simone de Beauvoir citava questa frase di Laurent: "Per lo scrittore, il problema non sta nell'accettare o nell'ignorare la politica, quanto … nel passare oltre alla politica: Solo lì è se stesso. E uno scrittore che non è se stesso è in soprannumero". Diverse pagine più oltre la scrittrice osservava: "Scettica e non più benpensante, la giovane letteratura di destra si rinchiude dunque nel soggettivismo. Ogni reale comunicazione fra gli esseri umani è esclusa: l'amore, per esempio, non è unione ma solitudine …". Non è "esistenzialismo" questo? Alla morte di Laurent, Bernard Henry Levy osserverà: "L’essenziale mi separava da Jacques Laurent. Mi piacevano però la sua libertà di stile. … Mi piaceva soprattutto il gusto che provava nel deludere, tradire, smentire l’immagine che avevamo di lui: Maurras e Saint Germain des Près; quel suo lato reazionario-ribelle, che a volte produce autentici fascisti, ma che può anche produrre quella libertà, quella pratica sistematica del tenersi in disparte, quel modo d’essere convenzionale e divertente, accademico e licenzioso che ritroviamo in Laurent" ("Corriere della Sera", 24 gennaio 2001).

Di Laurent è tuttavia il caso di ricordarsene anche per le sue prerogative di editore-agitatore in grado di influenzare la cultura francese. La prima tribuna degli "ussari" fu "La Table Ronde", rivista fondata nel 1944 da Roger Mouton col sostegno di Pierre Fresnay, Thierry Maulnier e Roland Laudenbach. Il loro spirito vi trovava buona accoglienza e le loro aperture vi erano condivise (alla rivista sarà chiamato a collaborare, fra gli altri, Bernard Frank, ma non mancava neppure un altro "sartriano" anticonformista come Roger Stephane). E' Laurent, più tardi, nel 1953, a dare agli "ussari", ufficioso che fosse, un vero organo. E' "La Parisienne". Impossibile citarne i collaboratori. Oltre agli "ussari" vi è Paul Morand e vi è Cocteau, Paul Serant e Boris Vian. Sfogliandone la collezione vi si scovano Cingria, Jacques Audiberti, Valentine Hugo, Montherlant, Henri-Pierre Roché, Joe Bousquet, Truffaut, Giono, Philippe Julian ecc. ecc.

Per diverso tempo, Laurent fu anche il direttore di "Arts", un prestigioso settimanale di cultura. E' a questa rivista che venne chiamato a collaborare, in veste di critico cinematografico, il giovane François Truffaut. Dirà Erich Rohmer, suo compagno ai "Cahiers du cinema": "Molto presto, "Arts" non si leggeva più per gli editoriali di Jacques Laurent, ma per la pagina di cinema di cui Truffaut si era di fatto impadronito". La "politica degli autori" escogitata da Truffaut è sostanzialmente "ussara". Laurent era per gli uomini dei "Cahiers" il prototipo di quell' "anarchico di destra" che qualcuno fra di loro (Godard, ad esempio) sentiva di essere. Nel 1960 Laurent è per l'Algeria francese e firma il "Manifesto degli intellettuali" contro quello dei "121" che chiedevano l'indipendenza della colonia. Nessuno degli uomini dei "Cahiers", alcuni dei quali già erano registi affermati, appose la propria firma sotto l'uno o sotto l'altro, ma qualche lacerazione era già nell'aria. Si faranno vivi ai tempi della guerra del Vietnam, ma su posizioni del tutto divergenti da quelle di Laurent. Truffaut, Godard, Chabrol ecc. avevano ormai assaporato il gusto del "radioso maggio" del 1968 (Laurent - che nel 1968 aveva raccolto i suoi reportages dal Vietnam - scrisse invece una Lettre ouverte aux étudiants pubblicata da Albin Michel, Paris 1969).

Fra l'altro, al cinema diede un contributo lo stesso Laurent in veste di sceneggiatore, per lo più di film tratti dai suoi romanzi e per lo più con quello pseudonimo di Cécil Saint-Laurent che usava copiosamente per una serie di romanzi assai popolari e tradotti in tutto il mondo il cui capostipite fu Caroline Chérie, divenuto immediatamente film con la regia di Richard Pottier e Martine Carol nel ruolo della protagonista (la vicenda, è risaputo, era di cappa e spada, ma Laurent usò il suo pseudonimo anche per alcuni romanzi polizieschi nonché per una storia della biancheria intima femminile. Un altro suo pseudonimo era quello di Alberic Varenne, usato per opere a carattere storico). Caso vuole che quest'anno sia uscito in Francia un film, Le pornographe, il cui protagonista - interpretato da Jean-Pierre Léaud, autore truffautiano per eccellenza - si chiama proprio Jacques Laurent.

Nel 1964 Laurent scrisse un libro feroce in risposta alla biografia del Generale de Gaulle di François Mauriac. Fu denunciato per "offesa al capo dello stato". "Ho voluto provare", disse, "che la letteratura non è ai piedi del potere". Laurent (premio Goncourt nel 1971) diversi anni dopo, nel 1986, venne eletto -accolto da Deon nel posto che era stato di Fernand Braudel - all'Académie française, ma l'avvenimento non incise minimamente sulla sua personalità. Negli ultimi anni gli sono state dedicate delle biografie (quella di Bertrand de Saint Vincent, Jacques Laurent alias Cécil Saint-Laurent, Juillard, Paris 1995 e la lunga intervista biografica curata da Christophe Mercier, sempre da Juillard). Lui stesso aveva qualche tempo fa, in Moments particulier (Grasset 1997), ripreso il filo della memoria. C'era soprattutto Lipp, il rifugio della sua vita. Già suo padre frequentava questa brasserie di Saint-Germain-des-Près. Dagli anni trenta la frequentò ininterrottamente anche lui. Whisky e vino rosso. "Lipp", diceva, "è la mia sola abitudine".

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