Jean Montalbano

le lolite di Joostens

       

Alla quasi totalità degli appartenenti a quel che si disse dada e surrealismo “belgi” si potrebbe applicare la sentenza con cui Neuhuys inchiodava la propria oscurità :”poeta senza pubblico, mi sono fatto un 'no' nelle lettere”. A un sovrappiù di radicalità si rispondeva con un rifiuto che certificava il desiderato passaporto per l'anonimato.

Se vi aggiungiamo un profilo caratteriale formato ed esaltato nella temperie dei “ruggenti venti” in cui litigiosità ed asprezza venivano costantemente alimentate, ecco che il mondo sovente misantropico di Paul Jostens (1889-1960) avrà poche chances di sottrarsi all'orto accademico in cui vanno a soffocare le già rare ristampe dei suoi testi storici. Separatezza e inconciliabilità contro universalità e consenso: il dilemma è riproposto anche dalla recente ristampa, a cura della francese Allia, del libriccino Salopes uscito nel 1922 e scagliato come scheggia scontrosa da quelli che furono tempi d'ingiuria e sfida verso l'odierno lettore frettoloso ed accomodante.

Nato e vissuto ad Anversa (come l'amico e collega Neuhuys che lo stesso anno pubblicò nelle edizioni Ça ira pure il Pansaers apologeta della pigrizia) con studi alle Belle Arti ed un retroterra ricco di Ensor e Khnopff oltre gli imprescindibili e prediletti Memling e van Eyck, Joostens faticherà sempre per vedere riconosciute, stanti i precedenti, le proprie qualità visionarie, tanto che la  smilza monografia  ufficiale per cui  s'adoperò negli ultimi anni vide la luce solo dopo la sua morte. Certo G. Merlier aveva scritto nel 1923 L'oeuvre plastique de P.Joostens ma come per altri successivi interventi si trattava di accompagnare comunque una mostra di non grande risonanza, e  l'umore dell'artista non aiutava certo la circolazione di una produzione valutata e tenuta a distanza (anche nel suo proporsi come personale recupero di temi “cattolici”) a motivo di persistenti toni sulfurei evidenti persino quando l'esperienza dada era abbondantemente alle spalle. Non bastassero i disegni erotico-satirici dell' Histoire de Mérinof et Mérédoc ou des Hérodes selon le genre humain (1925) a renderne meno ecumenica o pacifica l'accettazione fu pure il tema della “Poeseloeske” , la micetta, la fanciulla virginale e pre-puberale. Indice d'alterazione, essa spunta tra le visioni distorte di paesaggi fiamminghi, occhieggiando tra santi e religiose vestita da suora, cortigiana o marinaio ma con tratti che ricordano pin ups o dive hollywoodiane, sicché il periodo “gotico” di Joostens (abitò pure in quella che era stata la dimora di un Bruegel) cominciato negli anni trenta è minato internamente dalla derisione, sconvolto perché modernizzato, più che da resti cubisti, dalle fragili adolescenti col volto di Marlene, Priscilla o Veronica. Dalla pulzella medievale Joostens tirava un segno fino alla cocotte e alla ninfetta contemporanea. Il suo medioevo non resisteva alla macchina e i contrafforti delle chiese si confondevano con le ciminiere delle fabbriche, così come la Vierge Boréale (1938) alludeva ad altre madonne.

Questo è già il motivo conduttore di Salopes dove la petite-fille è  maestra di cerimonie e rivolte tutta intenta a sabotare un mondo e il suo linguaggio mediante il pastiche, lo smontaggio e riassemblaggio: il saccheggio che ritroviamo nei collages e nelle scatole assemblate alla Schwitters o Cornell qui opera sulle parole senza riguardi per una reputazione letteraria considerata nemica della libertà. La cesura interna ai testi ripete ed esibisce quella di dada nella storia artistica.

Oltre l'apparente incompiutezza e oscurità d'intenti comune ai suoi scritti, siano essi poesie, tracts o dialoghi, l'aria di famiglia sta proprio nella laconicità  nervosa e scostante che scuote come una scarica elettrica anche le poche pagine di Salopes, nel tono irriverente e apocalittico che gli detta:“Les nègres dansent et l'ange exterminateur fait boum !”

Senza rimpianti e con la giusta acredine allenata da quello spirito d'isolazionismo che lo tenne ben lontano da ogni “riuscita”, Joostens potè inorgoglirsi (anche nella tarda maturità in cui firmava i volantini di Les Lèvres nues) nel rifiuto di rinsavire col ribadire: “Fui al servizio di un'Europa delinquente che non teme di confessare il proprio declino invocando gli splendori del passato ed ho il diritto d'inventare la Mia impronta, il Mio segno secondo leggi a me proprie”. Suoi contributi apparvero certo, insieme a quelli di Marien, Scutenaire o Chavée sulle riviste che importavano, si tratti di Phantomas o di Les Soirées d'Anvers, ma questo ne sanciva il destino di nome riservato a pochi. Dall'establishment Joostens venne ripagato con uguale moneta: l'indipendenza stracciona. E perciò di lui Hubert Lampo scriverà nel secondo dopoguerra sulla Volksgazet socialista che era un imperatore romano sotto le spoglie di un miserabile.