Massimo Bacigalupo

Hotel Croce di Malta (H. James in Liguria)

Il viaggio in Italia ha un’epoca eroica nell’età romantica, da Goethe al suo ammiratore ricambiato Byron a Stendhal, altro corrispondente di Byron folgorato da Napoleone. Poi, nel secondo ’800, i vittoriani cercano in Italia occasioni di riflessione morale. È il caso di John Ruskin, che praticamente inventa una storia dell’arte e si appassiona soprattutto di un robusto medioevo immaginario, e di Robert Browning, che disegna una galleria di personaggi assetati di vita e libertà, quando non rinunciatari come Andrea del Sarto (poemetto reperibile nei tascabili Marsilio). Anche la moglie Elizabeth Barrett Browning pensa un’Italia morale e persino il decadente Swinburne scrive per Mazzini poesie che ne rivendicano la liberazione dallo straniero.

All’età dei moralisti segue quella degli esteti, Oscar Wilde si innamora del San Sebastiano di Guido Reni a Palazzo Rosso, Walter Pater della Gioconda. Ma tocca all’americano Henry James dare in Ore italiane (1909, trad. it. Garzanti) una visione partecipe e disincantata dell’Italia, descritta con amore autunnale, sempre temperato da una distanza, uno sfumato leonardesco. Descrive Venezia, che ha attirato prima o poi "quasi tutte le persone interessanti, curiose, malinconiche, stravaganti", fra cui Browning, che muore a Ca’ Rezzonico, e Wagner, che spira a Palazzo Vendramin. Per non dire dell’Aschenbach di Thoman Mann. E a Venezia James ambienta quel magnifico racconto che è Il carteggio Aspern, storia di uno studioso americano disposto a tutto pur di impadronirsi delle carte di un grande poeta scomparso, Aspern, custodite dalla vecchia amante.

Ma James era insaziabile e instancabile e dopo Venezia scoprì altre Italie: Firenze, soprattutto Roma, sfondo del capolavoro della prima maturità, Il ritratto di signora, come Venezia è sfondo al tardo Le ali della colomba. Ancora a Roma ambientò il suo unico best-seller, lo straordinario Daisy Miller, storia di una ragazza americana che si compromette e viene uccisa dalle illazioni ingenerose dei connazionali. Oggi a Roma il Museo Hendrik Andersen a Piazzale Flaminio, mausoleo di giganti e gigantesse nudi, ci ricorda l’amicizia dello scrittore per il giovane scultore mancato, che egli invano cecava di rimettere sulla strada dell’arte vera, qella del capolavoro piccolo e perfetto.

E c’è anche una Genova di James, descritta in Ore italiane dopo un soggiorno del 1877 con affettuosa perplessità. "Mi dissi, non senza un senso di privato trionfo, che finalmente questa era una città impossibile da modernizzare". Ne sappiamo qualcosa. James era sceso al Croce di Malta, il principale albergo dell’epoca, che si trovava a Caricamento, in Vico dei Morci: "un palazzo gigantesco ai limiti del porto formicolante e non troppo pulito, l’edificio più grande in cui fossi mai entrato, solo il piano terra avrebbe contenuto dodici caravanserragli americani". Se andiamo oggi in Vico dei Morci, quanto di più dimesso offra il porto antico, è difficile capire dove fosse l’ingresso di questa reggia. Forse lo scopriremo prima o poi, visto che fu anche residenza genovese di Verdi, Mary Shelley, Stendhal, Melville, Mark Twain: tutto il pantheon letterario parla dello scomparso Croce di Malta.

James comunque trovò riparo dal grandioso labirinto genovese nel Golfo di Spezia, e fu incantato da Portovenere per quanto scettico intorno alle prodigiose nuotate di Byron che lì si decantano. Poi si fece portare in barca a San Terenzo, a Casa Magni, in onore di Shelley. "Ricordo pochi episodi di viaggio in Italia più attraenti di quel perfetto pomeriggio autunnale, la sosta di mezz’ora sulla piccola malconcia terrazza della villa, la salita al castello singolarmente felice che pende su Lerici, l’indugio meditativo, nel crepuscolo, sulla piattaforma coperta di viti che dava sul tramonto e i monti via via più scuri e, molto sotto, il mare tranquillo, oltre al quale la pallida e tragica villa fissava la luna che si andava schiarendo".

"Il Secolo XIX", inserto speciale Viaggio in Italia, marzo 2001

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