Charles
de Jacques
Jean Giono e
Gaston Dominici
In Provenza, sul ciglio di una strada, non lontano dalla fattoria di
Gaston Dominici, vengono trovati uccisi i
tre componenti di una famiglia inglese in vacanza: Jack Drummond, sua moglie e
la loro figlioletta undicenne. Sono implicati nella carneficina l’agricoltore e
i suoi famigliari ed infine - dopo reciproci lanci di accuse, rivelazioni,
sospetti, confessioni e ritrattazioni - è il vecchio Gaston ad essere accusato
dei delitti e condannato a morte (sarà poi graziato da de Gaulle e scarcerato).
Il processo a Dominici è seguito, fra gli altri, da Jean Giono, come inviato del
settimanale “Arts”, fresca tribuna degli Hussards.
Il testo di Giono (che però alla pubblicazione in volume da Gallimard - e oggi,
in italiano, curato da Ispano Roventi: Jean Giono, L’affare Dominici, Sellerio,
Palermo 2002 - sarà integrato da un “saggio sul carattere dei personaggi”) viene
approntato per la stampa prima del verdetto, quando la corte è ancora riunita a
deliberare: “Nel momento in cui riordino
queste note prese durante lo svolgimento del processo, è domenica pomeriggio,
la giuria e la corte stanno deliberando in sala di consiglio. Non vorrei essere
al loro posto. Io sono tormentato dagli scrupoli e pieno di dubbi. Se faccio il
conto, ci sono tante prove formali che dimostrano la colpevolezza dell'accusato
quante prove formali che dimostrano la sua innocenza” ("Il n'y a aucune preuve matérielle, dans un sens ou dans l'autre").
Del processo in Francia, ma non solo, se ne discuterà a lungo e i dubbi
di allora permangono a tutt’oggi. Giono si fece una sua idea, ma non la consegnò
alla cronaca. Ne parlò nel diario e si limitò a dire che si trattava di un
crimine legato agli anni dell’occupazione e del maquis.
Nell’accusato, Giono vide il tipo per eccellenza del vecchio contadino meridionale,
il rappresentante d’un mondo antico che andava soccombendo sotto i colpi
dell’ingrata “vittoria dei tempi attuali”. Un rappresentante dunque della
civiltà che più amava e della quale si faceva paladino: “contadini”, scriveva
nel diario, “sono loro i veri antifascisti. So cosa essi siano, sono degli
anarchici come me, degli individualisti refrattari a essere messi in un
qualunque fascio” (1936). Giono aveva avuto simpatie per i comunisti e aveva
aderito, per il tramite di Aragon, all’Association des ecrivains et artistes
révolutionnaire; alla fine degli anni trenta non esitava però ad assimilare
capitalismo, fascismo e comunismo quali forme diverse di un unico problema: il
denaro. “Non dovete voialtri passare per forza attraverso i soldi, se ci
passate è perché vi hanno svilito”,
affermerà lo scrittore nella sua Lettre aux paysans sur la pauverté e la paix
pubblicata da Grasset nel 1938. Gli equivoci generati dal suo pacifismo ad
oltranza lo misero poi nel mirino degli “epuratori”. Fu nella lista nera del Comité
national des écrivains e l’8 settembre del 1944 venne arrestato. Sarà
scarcerato cinque mesi dopo libero da ogni accusa, ma continuerà a rimaner
vittima dell’ostracismo. Se anche la pesante esperienza lo cambierà, immutate
resteranno le sue idee di fondo. Nel dopoguerra scriverà il libro più famoso, Le
hussard sur le toit, e i giovani scrittori anticonformisti che si
raccoglievano intorno a “Arts” e a “La parisienne” (Laurent,
Nimier, Blondin ecc.), per conto dei quali fu a Dignes a seguire il processo Dominici,
avrebbero avuto per lui una particolare venerazione.
Giono è di Manosque. La fattoria di Dominici si trova a una ventina di
chilometri a nord della cittadina. Gaston Dominici, detto “il patriarca”, è
comunista. La tradizione comunista dei Trotzski, dei Bucharin ecc. aveva
mostrato non poca rigidezza verso il ruralismo, ma Stalin, che pure i contadini
li uccideva in massa, con la sua apparente bonomia patriarcale aveva i numeri per piacere. Ed effettivamente,
soprattutto in certe zone agricole della Francia e dell’Italia (magari ricche,
e Dominici ha un congruo conto in banca) piacque. Il Partito comunista francese
era a quel tempo occupato a muovere accuse di titoismo ad alcuni suoi popolari
dirigenti, ma sia “L’Humanité”, l’organo nazionale del partito, che “La
marseillaise”, quello locale, non perdettero tempo a proclamare
l’innocenza del vecchio compagno.
Sir Jack Drummond, l’ucciso, era invece stato membro del
controspionaggio inglese. L’arma del delitto era un residuato bellico di
fabbricazione americana, una di quelle armi non riconsegnate alla fine della
guerra (con una lettera anonima venne implicato anche il vicino di Dominici, il
quale, segretario della sezione comunista e maquisard, aveva trattenuto le sue).
Si è ipotizzato che la carneficina sia maturata nel clima della guerra fredda,
come un segnale lanciato dai sovietici agli occidentali. Giono, come abbiamo
visto, riservò al diario un’ipotesi dello stesso tenore. Nella sua cronaca si
soffermò viceversa soprattutto su quelli che gli sembravano problemi di
incomunicabilità fra il mondo del “patriarca” e quello degli inquirenti.
Un altro scrittore che seguiva il processo, il drammaturgo Armand
Salacrou, disse: “Se sarà provato che il colpevole è questo vegliardo, allora
non crederò mai più alla purezza di un volto, alle proteste d’innocenza, alla
limpidezza di certe parole”.