Pubblichiamo qui un vecchio articolo di Carlo Romano per "Il Giornale" (8 marzo 1995). Faceva parte di una serie che il responsabile della pagina "Lettere e Arti" in carica a quel tempo, Stenio Solinas, aveva voluto che fosse dedicata al rapporto di alcune città italiane con la cultura.

Carlo Romano

Genova e buonanotte!

Avendo consolidato la sua fama di reticenza, Genova piace agli snob poiché possono vantarsi di conoscere una città generalmente sconosciuta. La verità è che Genova non la conoscono nemmeno loro. Finita da un pezzo 1'era dei transatlantici e diventato residenziale il turismo delle riviere, il suo monumento probabilmente più visitato e conosciuto è il cimitero di Staglieno, cosa che può generare la lugubre prospettiva della città come sua periferia. Cosi fosse si avrebbe perlomeno la certezza che nel tentare di conoscere Genova si cimenterebbero gli epigoni di Cioran, e già se ne parlerebbe almeno come dell'avamposto mondiale della disgrazia, un "memento mori" scritto sulla crosta terrestre a monito del futuro intasatissimo traffico aviatorio. Purtroppo Staglieno è, per quanto possibile a un luogo del genere, un cimitero allegro. Oggi ha trovato un concorrente nell 'acquario che allegro non è ma piace ai bambini. Che Genova sia la periferia di Staglieno è piuttosto la convinzione, sussurrata, dell'intelligenza locale. Infatti chi può, perlopiù con dolore, da Genova se ne va, ed è sorprendente constatare quanti siano i genovesi che lavorano nei giornali, nelle televisioni, nell'editoria.

Michel David, italianista dell'università di Grenoble, celebre per i Suoi studi sulla letteratura e la psicanalisi, sposato a una genovese, definisce Genova "una città della diaspora intellettuale". La Genova che conobbe lui, giovane, nell'immediato dopoguerra, era una città assai diversa dall'attuale, incantevole e cosmopolita, ricca di aromi, elegante. Ed era, nel suo racconto, una città culturalmente vivace, soprattutto dotata di una spiccata quanto sobria personalità, benché appartata. Di certi personaggi del mondo culturale, David è convinto che solo a Genova potessero sbocciare nell'indifferenza generale. Il nome che fa, non senza emozione, è quello di Alberto Pescetto, uno dei nostri migliori, e allora rarissimi, traduttori dal russo. Alto, biondiccio, effemminato, anglicizzante, fané, all 'occasione sfacciato, per David, Pescetto è la misura di tutto ciò che Genova non è più, distinta e spregiudicata. Altri "furesti" ci confermano 1'esistenza a Genova di una razza speciale di "flaneur" oggi tramontata. L'ultimo grande esemplare, il cui culto non si è ancora spento, è stato Edmondo Mestre. Ebreo, cantore della sinagoga, erudito, poliglotta, cosmopolita, non si era praticamente mai mosso da Genova pur coltivando importanti amicizie praticamente ovunque. Parlava le lingue straniere con una marcatissima inflessione genovese ed era il giubilo dei salotti quando citava uno scrittore pronunciandone malamente il nome (ad esempio, Proust diventava "Praust", all'inglese). Tino Molinari, professore di diritto all'Università di Bologna, il quale a Genova ha abitato diversi anni e ne conserva la nostalgia, conosce intorno a Mestre decine di aneddoti esilaranti e ne butta sempre qualcuno nella conversazione.

Si tratta comunque di gente che di sé ha lasciato poche tracce, se non perlappunto nel ricordo di amici devoti che non si rassegnano alla loro scomparsa. Della difficoltà di poter lasciare qualche traccia veramente consistente è ciò di cui si lamenta invece quel tanto (e non è poco) di intelligenza locale che non si è rassegnata ad emigrare. Recentemente il poeta Edoardo Sanguineti ha scritto che a Genova la cultura non si vede. Dello stesso parere è Carlo Angelino, docente di estetica e consulente della casa editrice il Melangolo.

Eppure Genova non manca di istituzioni culturali, ha buone librerie, discrete biblioteche, un importante Archivio di Stato, giornali, musei, gallerie d'arte, teatri, cineclub, associazioni musicali, centri studio, fondazioni, circoli. C'è un'università che ha delle facoltà, come quella dì architettura, in chiara espansione, ed altre, come quella dì filosofia, che hanno cattedre ben caratterizzate. Fino a poco tempo fa, ancor vivo Alberto Caracciolo, Genova era uno dei centri italiani più prestigiosi, insieme a Torino e Napoli, seppur in sordina, nella ricerca heideggeriana, tanto che non era infrequente inciampare nella conversazione di giovani scolari dediti a fraseggiare nel tipico gergo.

A Genova ci sono dunque tutti gli elementi civili dello scambio culturale, sufficientemente attivi ed in buon numero. C'è anche una delle più vecchie riviste letterarie italiane "Nuova Corrente", assai influente negli anni settanta, quando Giuseppe Sertoli, anglista all'università e studioso della più radicale cultura francese in casa, si associò a Mario Boselli, il fondatore, nella direzione.

Unica spina nel fianco sembrerebbe la carenza di case editrici. Una decina dì anni fa la nascita della Costa & Nolan e 1'avventura genovese della Marietti avevano fatto ben sperare. Il drastico ridimensionamento della prima e la fine (provvisoria almeno) della seconda hanno spento ogni entusiasmo. C'è la Ecig, la casa editrice legata alla cooperativa libraria dell'Università, ma risulta difficile stabilire come e quali siano gli intrecci con l 'autentica società letteraria genovese. C'è ancora il Melangolo, ma è ormai della Einaudi (alla quale lavorano fra 1'altro i genovesi Vittorio Bo, direttore, ed Ernesto Franco). Ci sono, è vero, diverse altre case editrici, che però non riescono ad essere pienamente appaganti anche quando si fanno interpreti della migliore tradizione culturale (soprattutto la poesia) locale. Un piccolo cambiamento dì rotta l'ha impresso le Mani (di Recco) che è riuscita se non ad imporsi con le sue scelte letterarie (comunque ottime) a riattivare come merita, con la collana cinematografica, quella cultura genovese (e ligure) che remava decisamente controcorrente quando col cinema si intendeva praticamente tutto fuorché il cinema per eccellenza, quello americano.

E' vero inoltre che Genova si trova in una posizione strategica, vicina a Torino e a Milano, non distante da Pisa e Firenze, prossima alla Francia. Ma ciò non è sufficiente a sconfiggere quel senso di isolamento che vivono gli uomini di cultura i quali, molte volte, paradossalmente (avendo pronta una citazione genovese di Nietzsche) se ne compiacciono. Di fatto la situazione si è talmente incancrenita da diventare uno stile, uno stile di sofferenza.

Per l'industria, come per la cultura, si lamentava ancora pochi anni fa l'assenza di spazi. Oggi questi ci sono, ma non si trovano i soldi per farli funzionare a dovere. Genova paga infatti il mancato incontro fra i soldi e la cultura. Oggi la cultura è un lusso che non tutti riescono a pagare. Se ne sono accorti per primi probabilmente i librai, ma la piaga chissà quanto è profonda.

Prima delle elezioni amministrative di un anno e mezzo fa, Antonio Balletto, il sacerdote che è stato 1'artefice tanto dell'ascesa quanto della caduta della Marietti genovese, auspicava per Genova un sindaco poeta. Adriano Sansa lo è, ma è anche un magistrato. Chissà se don Balletto legge nei suoi discorsi più il lirico o il retore, la poesia o la giustizia. Il verdetto dei genovesi è ancora lontano da venire, ma quello che si sente nei luoghi pubblici è poco lusinghiero sia per 1'uno che per 1'altro. Quel che è certo è che Genova non è una città più poetica e più giusta di quel che era, semmai è più sporca e deprimente. Buona notte, Genova!

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