Giuliano Galletta

intervista a Hans Küng

L’AUTOBIOGRAFIA di Hans Küng, probabilmente il teologo cattolico più famoso e controverso del mondo, si intitola “La mia lotta per la libertà”. E “libertà” è certamente una delle parole chiave che ha contraddistinto il suo lungo e complesso percorso intellettuale. Una parola che all’interno della Chiesa cattolica ha trovato sempre difficile asilo come dimostra proprio la vita di Küng. Nato nel 1928 in Svizzera, ordinato prete a 26 anni, a 32 è nominato professore di Teologia all’università di Tubinga e a 35 è uno dei più giovani consiglieri del Concilio Vaticano II, nominato da Papa Giovanni XXIII.

In questa occasione conosce Ratzinger e, tornato a Tubinga, invita l’università ad assumerlo come professore di teologia dogmatica: la cooperazione tra i due termina nel 1969, a seguito delle manifestazioni studentesche che colpirono profondamente Ratzinger, spingendolo a spostarsi in una facoltà più tranquilla.

Nel 1970 pubblica il libro “Infallibile? Una domanda” in cui mette in dubbio la dottrina dell’infallibilità papale. Il 18 dicembre 1979 la Congregazione per la dottrina della fede gli revoca l’autorizzazione all’insegnamento della teologia cattolica. È la prima condanna del pontificato di Giovanni Paolo II, considerata di alto valore simbolico dal futuro Papa Joseph Ratzinger che nel 1981 diventerà prefetto alla Congregazione per la dottrina della fede. Küng ha sempre aspramente criticato l’operato della Congregazione durante il pontificato di Giovanni Paolo II, affermando che è stata il braccio di una repressione di tutte le voci critiche all’interno della Chiesa cattolica (Boff, Schillebeeckx, Dupuis) e l’ha paragonata ai tribunali con cui in epoca staliniana si eliminavano i dissidenti. Nel 2005 pubblica un articolo rimasto famoso in cui critica il pontificato di Giovanni Paolo II.

Secondo Kung «la politica estera del Papa ha preteso da tutto il mondo conversione, riforma, dialogo. Però, in tutta contraddizione, la sua «politica interna, invece, ha puntato alla restaurazione dello status quo ante Concilium, a impedire le riforme, al rifiuto del dialogo intra-ecclesiastico e al dominio assoluto di Roma. Questo Pontefice ha più volte dichiarato la sua fedeltà al Concilio, per poi tradirlo nei fatti attraverso la sua “politica interna”». I termini conciliari come «aggiornamento, dialogo, collegialità e apertura ecumenica» sono stati sostituiti da parole quali «restaurazione, magistero, obbedienza, ri-romanizzazione ». Il criterio per la nomina dei Vescovi non è affatto lo spirito del Vangelo e l’apertura mentale pastorale, bensì la fedeltà assoluta verso la condotta romana che «fa pericolosamente scivolare in basso il livello morale e intellettuale dell’episcopato».

Parole durissime che si allungano come un’ombra anche sul successore di Wojtyla. Küng sarà sabato a Genova a Palazzo Ducale per parlare del suo progetto di un’etica globale.

Professore, viviamo in un’epoca di secolarizzazione in cui, però, allo stesso tempo prosperano i fondamentalismi. Che rapporto c’è, secondo lei, fra le due tendenze?

«La Chiesa negli ultimi tre secoli ha sempre combattuto contro la modernità allargando il solco tra società e religione. Ma evidentemente la secolarizzazione non è in grado di rispondere a tutte le domande dell’uomo e c’è un bisogno di spiritualità che però spesso assume forme aggressive come nel caso del fondamentalismo islamico, ma anche di quello cristiano o ebreo. D’altra parte la religione è all’origine di moltissime attività a favore dell’uomo e della pace.

In tutto il mondo, ormai, fedeli di religioni diverse devono vivere fianco a fianco nello stesso Paese, città o quartiere ed è indispensabile che trovino dei modelli di convivenza. L’obiettivo del mio “Progetto per un’etica universale” è trovare un denominatore comune su alcuni principi che appartengono a tutte le religioni e anche ad ogni tradizione filosofica».

Non le sembra però che anziché convergere le religioni tendano a mettersi in concorrenza tra loro in una sorta di mercato globale della spiritualità in cui operano anche confessioni “minori”, sette, personalità carismatiche?

«Questo è vero. Non credo però che ci sia alternativa. Non ci può essere pace nel mondo se non c’è accordo tra le religioni».

Benedetto XVI è tornato recentemente a criticare la legge 194, che in Italia regolamenta l’aborto. Cosa ne pensa e come valuta la politica del Vaticano sulle questioni della sessualità e della donna?

«Non conosco la€legge€ italiana e non posso giudicare specificatamente la vostra situazione. Credo comunque che, in generale, la Chiesa cada in contraddizione quando giustamente vuole limitare gli aborti ma contemporaneamente vieta l’utillizzo dei sistemi anticoncezionali, della pillola e del preservativo».

Lei è stato molto critico sugli ultimi due papi che considera dei “restauratori”. Cosa crede sia rimasto oggi nel mondo della grande lezione del Concilio Vaticano II?

«Il Concilio Vaticano II ha promosso importanti novità, sia nel campo liturgico che nei rapporti con le altre confessioni, ma ha tenuto fuori, grazie alle pressioni della Curia romana, grandi questioni come quella del celibato dei preti - non c’è nulla nel Vangelo che lo vieti - e poi il divorzio, la morale sessuale e anche la democrazia interna alla Chiesa. Credo che il Concilio sia riuscito soltanto a metà e vedo che anche rispetto a quella metà si stanno facendo dei passi indietro. È il caso, ma è solo un esempio, del ritorno alla messa tridentina, che non mi pare però abbia trovato molti riscontri nei fedeli e non ha ottenuto neppure il risultato di far rientrare lo scisma lefebvriano. Ritengo che oggi ci sarebbe bisogno di un terzo Concilio».

La chiesa genovese è stata governata per un quarantennio dal cardinale Siri, lo ha conosciuto?

«Ho parlato con lui in diverse occasioni al Collegio Germanico e poi durante il Concilio. Era considerato un vero ultra conservatore, situato all’estrema destra dello schieramento dei cardinali e sostanzialmente contrario al Concilio. Mi auguro che a Genova non sia rimasto molto della sua influenza».

Genova è stata però anche uno dei centri del cattolicesimo di base nato proprio dalle speranze del Concilio. Cosa è rimasto di quelle esperienze nel mondo?

«Purtroppo poco. Sono state soffocate dalla gerarchia romana e uno dei risultati è la crisi delle vocazioni, l’abbandono di molte parrocchie e l’allontanamento dei laici. È un po’ quello che è accaduto in America Latina dove dopo la condanna romana della Teologia della liberazione la crisi della Chiesa è sempre più grave e non può certamente essere risolta con i viaggi papali. Spero proprio che quel grande patrimonio teologico non sia andato perduto».

“Il Secolo XIX”, 20 maggio 2008