Buenaventura Durruti (1896-1936) era un ferroviere. In conseguenza della sua partecipazione ad uno sciopero dovette riparare in Francia. Rientrato in Spagna, si legò, dopo la militanza nel sindacalismo anarchico, al gruppo dei "solidarios" che praticava "l'azione diretta". In risposta all'assassinio di uno dei capi del sindacalismo catalano, il gruppo uccise il cardinale Soldevilla. Latitante in Argentina, Durruti tornò in Spagna alla caduta della monarchia. Arrestato, venne deportato in Africa. Liberato, allo Scoppio della guerra civile gli riuscì di mettere insieme una colonna di ben tremila volontari (altre stime, come quella dello storico Hug Thomas, limitano tuttavia il numero a un terzo). Nel corso della difesa di Madrid, alla fine del 1936, Durruti morì. Il cadavere fu portato a Barcellona. H.E. Kaminski, nel suo Quelli di Barcellona, ha descritto in modo toccante e realistico i suoi funerali. Quello che segue è invece il discorso commemorativo tenuto da Carl Einstein alla radio CNT-FAI di Barcellona. Su questo testo pubblichiamo, in appendice, una preziosa nota di Jean Montalbano, che ne è il traduttore.
Carl Einstein
la colonna
DurrutiLa nostra Colonna apprese della morte di Durruti in nottata. Si fecero pochi discorsi. Sacrificare la vita è cosa ovvia per i compagni di Durruti. Qualcuno disse piano:" Era il migliore tra noi". Altri gridarono nella notte:" Lo vendicheremo". La parola d’ordine del giorno seguente era: venganza, vendetta.
Durruti, uomo sommamente concreto, non parlava mai di sé, della sua persona. Aveva escluso dalla grammatica il preistorico vocabolo "io". Nella Colonna Durruti si conosce solo la sintassi collettiva. I compagni insegneranno ai letterati a rinnovare la grammatica in senso collettivo.
Durruti aveva compreso profondamente la potenza del lavoro anonimo. Anonimato e comunismo sono la stessa cosa. Il compagno Durruti ha operato ad una distanza stellare da ogni vanità delle vedettes di sinistra. Viveva con i compagni, lottava come compagnero. Così ha brillato come un esempio entusiasmante. Noi non avevamo nessun generale, ma la passione della lotta, la profonda dedizione verso la maggior causa, la rivoluzione, scorrevano dai suoi benevoli occhi nei nostri e i nostri cuori erano una cosa sola col suo che per noi continua a battersi sui monti. Sempre sentiremo la sua voce. Adelante, adelante. Durruti non era un generale, era il nostro compagno. Ciò non è decorativo dal momento che in questa Colonna proletaria non si sfrutta la rivoluzione, non si sollecita nessuna pubblicità. Si medita su una sola cosa: la vittoria e la rivoluzione.
Questa Colonna anarcosindacalista è nata nella rivoluzione. Questa è sua madre. Guerra e rivoluzione sono per noi un solo inseparabile atto. Altri possono discutere in maniera ricercata o astratta. La Colonna Durruti conosce soltanto l’azione ed in essa impariamo. Siamo empirici e crediamo che l’azione fornisca comprensioni più chiare di un programma preordinato che evapora nella furia dell’operare.
La Colonna Durruti è costituita da lavoratori, da proletari di fabbrica e di villaggio. Gli operai catalani delle fabbriche sono partiti con Durruti, a loro si sono uniti i compagni della provincia. I lavoratori agricoli e i coltivatori diretti, persi i propri villaggi, tormentati e umiliati dai fascisti, li hanno lasciati di notte per attraversare l’Ebro. La Colonna Durruti cresce con la terra che conquista e libera. E’ nata nei quartieri operai di Barcellona, oggi essa comprende tutti gli strati rivoluzionari di Catalogna e Aragona, di città e campagna.
I compagni della Colonna Durruti sono militanti della CNT-FAI. Molti di loro hanno scontato nelle prigioni le proprie convinzioni. I giovani si conoscono a partire dalle juventudes libertarias.
I proletari agricoli e i piccoli coltivatori unitisi a noi sono fratelli e figli di chi è ancora oppresso dall’altra parte. Scrutano al di là verso i loro paesi. Molti dei loro congiunti, padri e madri, fratelli e sorelle furono uccisi dai fascisti. I contadini gettano sguardi, con rancore e speranza, fin dentro i propri villaggi. Ma non lottano per il casale e il podere, combattono per la libertà di ognuno. Ragazzi, quasi fanciulli, fuggirono verso di noi, orfani, i cui genitori furono assassinati. Questi ragazzi sono dalla nostra parte. Parlano poco ma hanno capito molto e presto. Di sera, intorno al fuoco da campo, ascoltano i più anziani. Parecchi non sanno scrivere né leggere. I compagni li istruiscono. La Colonna Durruti tornerà dal fronte senza analfabeti. Essa è una scuola.
La Colonna non è organizzata né in maniera militare né burocratica. E’ cresciuta organicamente a partire dal movimento sindacalistico. E’ una formazione socialrivoluzionaria, non è una truppa. Costituiamo un’associazione di proletari oppressi, tutti in lotta per la libertà. La Colonna è opera del compagno Durruti che ne determinò lo spirito e sostenne la libera natura fino all’ultimo istante. Fondamento della Colonna sono la bontà dello spirito cameratesco e la spontanea autodisciplina. Scopo della sua azione è il comunismo, nient’altro.
Noi tutti odiamo la guerra, ma la comprendiamo come mezzo rivoluzionario. Non siamo pacifisti e lottiamo con passione. La guerra -questa antiquata idiozia- è giustificata solo grazie alla rivoluzione sociale. Non combattiamo come soldati ma in quanto liberatori. Avanziamo ed attacchiamo non per guadagnare un possesso, ma per liberare gli oppressi da capitalisti e fascisti. La Colonna è una formazione di idealisti dotati di coscienza di classe. Finora vittorie e disfatte sono servite al capitale, che mantiene truppa ed ufficiali, per consolidare e ingrandire profitto e rendita. La Colonna giova al proletariato. Ogni successo della Colonna conduce alla liberazione dei lavoratori laddove volta per volta essa riporti una vittoria.
Noi siamo i comunisti sindacalisti, ma conosciamo il significato dell’individuo, vale a dire: ogni compagno possiede gli stessi eguali diritti e adempie gli stessi doveri. Nessuno è superiore ad un altro, ognuno deve sviluppare ed offrire il massimo della propria persona. I tecnici militari consigliano ma non ordinano. Forse non siamo strateghi, certo siamo combattenti proletari. La Colonna è forte, un fattore significativo del fronte poiché è formata da uomini che da molto perseguono un’unica meta, il comunismo, perché è costituita da compagni che da tempo sono organizzati sindacalisticamente e lavorano in modo rivoluzionario. La Colonna è una comunità sindacale in lotta.
I compagni sanno di lottare stavolta per la classe operaia, non per una minoranza capitalistica, l’avversario. Questa convinzione impone l’autodisciplina più stretta. Il miliziano non ubbidisce ma persegue insieme ai propri compagni l’attuazione del suo ideale, di un bisogno sociale.
La grandezza di Durruti è consistita proprio in questo: che di rado ordinava, piuttosto ogni volta istruiva. Di ritorno dal fronte i compagni andavano da lui nella tenda: Egli spiegava loro il senso delle sue disposizioni e ne discuteva. Durruti non ordinava, convinceva. Solo la persuasione garantisce un chiaro, deciso operare. Da noi ognuno sa il motivo del proprio agire ed è tutt’uno con esso. Perciò ciascuno si adoprerà a qualunque prezzo per il successo dell’azione. Il compagno Durruti ce ne ha dato l’esempio.
Il soldato ubbidisce per paura ed inferiorità sociale. Combatte motivato da un difetto. Perciò i soldati difendono in ogni momento gli interessi dei loro avversari sociali, i capitalisti. I poveri diavoli schierati dalla parte fascista ne forniscono un deplorevole esempio. Il miliziano combatte soprattutto per il proletariato, porterà alla vittoria della classe lavoratrice. I soldati fascisti lottano per una minoranza morente, loro avversaria, il miliziano per il futuro della propria classe. Per cui il miliziano sembra essere più intelligente del soldato. La Colonna Durruti è disciplinata mediante un ideale e non attraverso un marcia di parata. Dovunque giunga la Colonna, si collettivizza. La terra è data alla comunità, i proletari della campagna sono trasformati da servi dei cacicchi in uomini liberi. Si passa dal feudalesimo al libero comunismo. La popolazione viene nutrita, sostenuta e vestita dalla Colonna. La Colonna forma, quando si ferma nei villaggi, una sola comunità con la popolazione. Prima si parlava di esercito e popolouesta convinzione impone l’autodisciplina più strettaQ, o più precisamente, di esercito contro il popolo. Oggi questo significa proletariato lavoratore e combattente, entrambi a formare un’inseparabile unità. La milizia è un fattore proletario, la sua organizzazione, la sua essenza sono proletarie e devono restarlo. Le milizie sono le esponenti della lotta di classe. La rivoluzione impone alla Colonna una disciplina maggiore di quanto riesca a fare ogni militarizzazione. Ognuno si sente responsabile del buon esito della rivoluzione sociale. Questa costituisce il contenuto della nostra lotta che resterà determinata da una nota sociale dominante. Non credo che generali o saluti militareschi possano insegnarci una condotta più conveniente. Sono certo di parlare secondo l’intendimento di Durruti e dei compagni.
Noi non sconfessiamo il nostro precedente antimilitarismo, la nostra salutare diffidenza verso la schematicità militare che finora ha portato vantaggi solo ai capitalisti. Proprio tramite lo schematismo militare si è impedito ai proletari di formare la propria persona costringendoli in un senso di sociale inferiorità. La regola militare doveva spezzare la volontà e l’intelligenza dei proletari. In fin dei conti combattiamo appunto contro generali ribelli. L’evidenza della ribellione militare dimostra proprio il dubbio valore della disciplina militare. Non ubbidiamo a nessun generale, piuttosto perseguiamo la realizzazione di un ideale sociale che tra altre cose include la piena educazione dell’individualità proletaria. La militarizzazione, al contrario, era finora il modo preferito per diminuire la personalità del proletario. Noi tutti adempieremo le leggi della rivoluzione per quanto possibile. Le basi della nostra Colonna sono fiducia reciproca e collaborazione spontanea. Il feticismo della Guida Provvidenziale, la fabbricazione delle vedettes li lasciamo volentieri ai fascisti. Restiamo proletari armati che volontariamente si impongono un’opportuna disciplina.
Si comprende la Colonna Durruti quando si afferra che rimarrà in ogni momento la figlia e la fautrice della rivoluzione proletaria. La Colonna incarna lo spirito di Durruti e della CNT-FAI. Durruti continua a vivere nella nostra Colonna. Essa ne serba fedelmente l’eredità. La Colonna lotta insieme a tutti i proletari per la vittoria della rivoluzione. Con questo onoriamo la memoria del nostro compagno caduto Durruti.
appendice
Jean Montalbano
la timida disperazione del miliziano Carl Einstein
Di Carl Einstein (1885-1940) autore di Bebuquin e dei saggi sull’arte negra , fervido animatore di riviste, spesso di breve vita ( ma almeno " Documents ", dal 1929 al 1931, con Bataille, va ricordata ) si è letto sopra un testo "estremo", potremmo dire di servizio, se l’espressione non suonasse per certi versi riduttiva o denigratoria per uno scrittore sempre freddamente effervescente. Lo stesso che nel 1918, a ridosso dell’armistizio, per le vie di una Bruxelles " occupata", osservava approvandoli, con l’amico Clément Pansaers, i soldati germanici strappare le spalline ai loro ufficiali. Esercizio di degradazione conseguentemente assunto come esito di ripetuti incitamenti alla rivolta e confermato quando rientrerà in Germania alla testa dei consigli degli operai e dei soldati. Tra dada ed espressionismo, scritti di critica d’arte e (sempre meno) prosa sperimentale, l’agitazione di Einstein continuerà per tutto il primo dopoguerra; uno dei culmini sarà la pubblicazione, nel 1922, di quella Cattiva Novella sequestrata per blasfemia e per cui ebbe a subire, con l’editore, un processo. Oltre la patina populista vi si poteva leggere della " timida disperazione dei poveri contro il potere dei ricchi " e spuntare il proposito di " pensare per coloro che soffrono, che vengono tormentati, che non posseggono il tempo di pensare…" Quando nell’estate del 1936 Einstein giunge a Barcellona durante il triennio precedente ha raccolto, nel forzato esilio cui lo costringe la presenza del suo nome sulla " lista dei ricercati ", scarse affermazioni e vaghi attestati di stima (ricordiamo comunque la collaborazione con Jean Renoir alla sceneggiatura di Toni) nel variegato milieu degli espatriati: il rispetto dovuto agli "intelligenti" è parso accomunarlo, persino nel tragico destino, a Benjamin. In Spagna si schiera con i sindacalisti della CNT e conosce Buenaventura Durruti nella cui Colonna lo segue verso il fronte aragonese: ora il sapere di Bebuquin cede all’impegno della quotidiana vita in comune e la folle complicazione del soggettivismo sceglie la derisoria possibilità dell’anonima pallottola. Nella Colonna viene colta l’opportunità, attraverso quella che l’autore chiama "autodisciplina", di verificare sul campo la sintassi disgregata dell’io. Solo alla fine della guerra civile Einstein tornerà in Francia per esservi poco dopo internato, in qualità di cittadino tedesco, nel 1940. Una volta rilasciato, conseguentemente alla strana disfatta, di fronte all’avanzare delle truppe germaniche e all’impossibile ritorno nella Spagna franchista tenterà una prima volta di suicidarsi; salvato e curato, ai primi di luglio, nei pressi di Pau, perfezionerà in un fiume il precedente passo.