Charles de Jacques

sinistri e ambidestri

La distinzione fra Destra e Sinistra in ambito politico sembra aver perso ormai da anni quel significato di contrapposizione che le dava sostanza. Con un certo sollievo si potrebbe perciò rilevare che a perdere ogni superiore senso di appartenenza, insieme dunque a deplorevoli faziosità, sia stato innanzitutto il per niente chiaro confronto fra “progressisti” e “conservatori”. Ma se già questo era ambiguo un tempo oggi lo è di più, con i rappresentanti dei vari partiti che si rincorrono per affermare di appartenere di volta in volta o agli uni o agli altri sempre in grado maggiore rispetto all’avversario del momento. Una buona ed istruttiva trattazione di questi temi la si deve a Marco Revelli col suo Sinistra Destra. L’identità smarrita (Laterza, 2007) del quale un recensore, Massimo L. Salvadori su “La Repubblica” ha scritto, con ironica attinenza, che si sarebbe potuto intitolare “Avventure e disavventure della Sinistra e della Destra verso l’ignoto”. Analoghe preoccupazioni si ritrovano un po’ dovunque nel mondo. La Francia non è da meno, e non solo nella definizione del grande tema, ma nei semplici punti di vista che l’opinione pubblica registra.

Un certo scalpore vi ha destato recentemente l’uscita di Le Cadavre Était Trop Grand. Guy Môquet piétiné par le conformisme de gauche di Benoît Rayski (Denoël, 2008). Quello di Guy Môquet è un nome assai familiare ai francesi e ben conosciuta è la lettera che egli scrisse ai genitori prima di esser portato al patibolo. Figlio di un noto ferroviere e uomo politico comunista, Moquet, sedicenne, venne arrestato e torturato dalla polizia francese nel 1940 mentre affiggeva dei manifesti che reclamavano la liberazione dei prigionieri politici. Per rappresaglia (era stato eliminato un comandante delle truppe d’occupazione) venne poi ucciso insieme ad altri prigionieri. Nel 2007 il Presidente Nicolas Sarkozy decideva che l’ultima lettera di Môquet sarebbe stata letta nelle scuole francesi. Ci fu una sollevazione di giornalisti e storici accademici, specialmente di sinistra, contrari all’iniziativa. Benoît Rayski è un buon conoscitore della parte avuta dai comunisti, specialmente se immigrati, nel “maquis” francese. Alcuni anni fa in L'Affiche rouge (Le Félin, 2004) aveva scritto intorno ai fucilati del 1944 appartenenti al FTP-MOI (Francs-tireurs et partisans- Main-d'œuvre immigrée). Suo padre apparteneva a tale raggruppamento. Lui stesso, giornalista per varie e famose testate, è passato attraverso il comunismo. Nel suo ultimo pamphlet, Rayski se la prende col “tartufismo”, soprattutto con quello (“uragano di cretinismo, valanga di stupidità”) degli intellettuali di sinistra, incapaci di comprendere sia le questioni della Francia, sia quelle del mondo nel suo complesso e dunque ormai refrattari a capire chi moriva gridando “vive la France” dopo aver cantato “l’Internationale”. Nel deriderne gli argomenti – il timore che si instauri un pernicioso clima patriottardo favorevole alla mistica della guerra – Rayski ha buon gioco. Quello che emerge tuttavia - fra le possibili, e a loro volta tartufesche, ragioni di Sarkozy e le risposte conformistiche che derivano dall’opporsi “da progressisti” a un presidente “conservatore” – è la gran confusione che regna fra destra e sinistra così che si potrebbero anche qui azzardare “avventure e disavventure verso l’ignoto”. Da parte sua Rayski ci tiene a dire di aver scritto il pamphlet “per non dover provare la vergogna di rimanere neutro davanti all’idiozia”.

Intanto, a gran profusione, escono libri e articoli che propongono soluzioni per “rifondare la sinistra”, ma non mi pare sia il caso di prenderli in considerazione. Forse lo smarrimento di coloro che continuano a confidare negli schemi delle vecchie soluzioni politiche è da rintracciare in Francia nei suoi ultimi scrittori di facciata mediatica internazionale come Houellebecq e  Littel (il quale rigore non sarebbe nemmeno francese) ma anche in Maurice G. Dantec, lo scrittore “cyberpunk” un tempo corteggiato a sinistra che, partito dal rock, da Nietzsche e dal nichilismo, è tornato fra le braccia del cristianesimo militante per, a suo dire, combattere (e qui probabilmente lo scrittore di successo si era sentito sorpassato al momento della moda di Houellebecq) l’Islam, la musica giovanile e la “gauche mondiale”, quando lo si sospetta ormai – così da pagare il prezzo dell’originalità ad ogni costo - simpatizzante di gruppi xenofobi e fascistoidi.

“Licentia”, novembre 2008