Carlo Romano

de Roux e Céline

Dominique de Roux: LA MORTE DI CÉLINE. Lantana, 2015

Dopo aver fondato nel 1957 "l'Herne", da giovane editore che spandeva in qualche modo il profumo degli appena più maturi Hussard, (Laurent, Nimier, Déon, Blondin...), Dominique de Roux (1935-1977) passò nel 1961 ai più famosi, e celebrati, "Cahiers de l'Herne", attraverso i quali il proposito di raffigurare un canone letterario complementare a quello ufficiale e insieme rappresentativo dei robusti gusti personali fu manifesto. Il terzo e il quinto numero (rispettivamente del 1963 e del 1965) furono intitolati a Céline con l'apporto di saggi, epistolari e testimonianze che spaziavano da Lucien Rebatet a Jack Kerouac.

Nel 1966 esce La morte di Céline che sarebbe sbagliato associare frettolosamente alla forza documentaria dei suddetti "Cahiers" o assimilarlo a un comunque precoce tentativo di manualistica biografica, quantunque da loro tutti discendano modi nuovi, privi delle consuetudinarie ubbie, nell'affrontare quella discussione critica che ancora oggi risulta essere vivace malgrado l'avvenuto consolidamento della grandezza dello scrittore. Il libro di De Roux si configura in prima battuta come un atto d'amore qui e là rafforzato da un'aria che sa di poetico, senza per questo scadere nella volgare agiografia. Ma è altro. Quello di de Roux è un lucido inabissarsi in quelle acque torbide dove i paurosi tentacoli del xx secolo prendono ora uno ora l'altro, che sia Anna Akhmatova divenuta "puttana mistica" agli occhi dei burocrati sovietici o Kurt Tucholsky che si avvelena nella Germania del 1935 lasciando appeso alla porta un cartello dove si prega di "non disturbare".

Céline già con Mea culpa viene condannato dai suoi primi incensatori, "ha tradito Barbusse, non ha obbedito alle parole d'ordine". Figuriamoci poi le Bagatelles antisemite! De Roux sostiene un'idea che verrà ripresa pari pari da molti critici successivi, di ogni scuola e appartenenza e cioè che "per Céline il termine Ebreo non ha il suo significato abituale. Non indica un preciso gruppo etnico o religioso... sotto questo termine avrebbe potuto raggruppare tutti gli uomini, compreso lui". Tuttavia, secondo Marc Loudelout, editore del "Bullettin célinien" e prefatore del volume, De Roux "non arrivò a capire la vera natura del razzismo céliniano". Il fatto è che, precisa Loudelout, egli aveva a che fare con delle persone ideologizzate, mentre lui, pazzo di letteratura, aveva portato alla luce la profonda originalità di Céline" a dispetto di quello che gli si poteva, a buon diritto, rimproverare".

Andrea Lombardi, il curatore del libro tradotto da Valeria Ferretti, è oggi senza alcun dubbio il più sollecito cultore della letteratura céliniana in Italia. Gli si deve fra l'altro un ricco e pressoché definitivo volume sugli interventi epistolari di Céline durante l'occupazione tedesca in Francia (Céline ci scrive, Settimo sigillo, 2012) e mentre scrivo è prossimo alla pubblicazione di un'antologia di testi e documenti sul modello proprio dei "Cahiers de l'Herne". Ha fortemente voluto la traduzione del libro di De Roux e l'ha corredata di puntuali note. Per parte sua il relativamente nuovo editore Lantana - estraneo alle frenesie ideologiche - reca in catalogo anche Céline segreto, le memorie che Véronique Robert riprese dalla voce di una quasi novantenne Lucette Destouches, la danzatrice dell'Opéra che fu compagna dello scrittore.

“Fogli di Via”, Marzo-luglio 2016