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D’Annunzio suicida? Un’ipotesi di Attilio Mazza

 

Gabriele D'Annunzio non morì di morte naturale per emorragia cerebrale, ma si suicidò. Probabilmente il cuore del poeta cessò di battere alle ore 20,05 del 1 marzo 1938 dopo una ingestione volontaria di veleno. La clamorosa ipotesi è avanzata dal ricercatore Attilio Mazza, ex consigliere d'amministrazione della Fondazione Il Vittoriale di Gardone Riviera, nel libro "D'Annunzio sciamano", appena pubblicato dall'editore Bietti (pagine 198, € 15,49). La data della morte coincide, stranamente, anche con quella evidenziata sull'almanacco di "Barbanera", trovato aperto sul tavolo da lavoro di D'Annunzio nella casa-museo del Vittoriale in cui reclinò per sempre il capo. Al giorno 1 marzo 1938, fine del Carnevale, sotto la lunazione di fine febbraio, "Barbanera" annunciava, infatti, la "morte di una personalità'". Il Vate sottolineò la fosca previsione con una matita rossa. D'Annunzio aveva 75 anni e da tempo era fisicamente decadente e sessualmente impotente. Scrisse, infatti, all'amante Luisa Baccara, in una lettera inedita del 1 novembre 1934, che era giunto il momento del "Basta", poiché la sua virilità era ormai "caduta".

L'ipotesi del suicidio dell'autore de "Il Piacere" è formulata da Attilio Mazza, uno dei più noti "cacciatori" di inediti dannunziani, anche sulla base di una serie di "forti indizi" rilevati dall’esperto di etnomedicina Antonio Bortolotti: in una recente ricognizione ha scoperto nello scaffale dei medicinali della "Zambracca", come veniva chiamata l'anticamera-studiolo, farmaci di natura velenosa usati all’epoca per curare malattie psicosomatiche (gastriti, coliti, stipsi) e la nevrosi (ansia, insonnia, esaurimento nervoso). Del resto, ricorda Mazza, l'ex segretario dello scrittore abruzzese Tom Antongini testimoniò l'abitudine di D’Annunzio d’ingerire piccolissime dosi di stricnina e quindi familiarità con i veleni nel volume "Quarant’anni con D’Annunzio" (1957): il poeta la considerava uno stimolante neurotonico e una droga.

Per sostenere l'ipotesi dell'estremo gesto dannunziano, Attilio Mazza nel suo libro riporta, con dovizia di particolari, accenni noti e altri sconosciuti in cui il poeta parla del suicidio. Nel "Libro segreto", pubblicato nel 1935, meno di tre anni prima di morire, quando ormai si sentiva vittima dell’ "esosa vecchiaia", D’Annunzio scrisse un elogio del suicidio: "L’uomo coraggioso non è quegli che ha compiuto un atto di coraggio o condotto un’impresa temeraria; ma quegli deliberato a concludere coraggiosamente la sua vita che fu coraggiosa in tutto il suo corso, in tutto il suo corso magnanimo". Ma il Vate, secondo Mazza, avrebbe rivelato il suo progetto di porre fine volontariamente ai suoi giorni soprattutto in alcune lettere, che vedono ora la luce per la prima volta.

L’idea del suicidio fu assai presente nella mente di D’Annunzio nell’ultimo tempo della vita. Scrisse, infatti, nel 1937 a Ines Pradella, una delle molte amiche che negli anni finali alleviarono la sua "nera tristezza": "Fiammetta, oggi patisco uno di quegli accessi di malinconia mortali, che mi fanno temere di me; poiché è predestinato che io mi uccida. Se puoi, vieni a sorvegliarmi". In questa lettera citava lo zio Demetrio, che gli fu carissimo nell’infanzia e che morì suicida. Un’ulteriore conferma del gesto premeditato, può essere letto per Mazza nella lettera scritta alla moglie, Maria Hardouin dei duchi di Gallese, il 20 febbraio 1938: "Ho atteso invano il dono promesso. Forse lo rivedrò, quando sarà spenta l’altra lampada nel giorno natale di san Gabriele, frate anch’egli d’Ascesi".

La morte per emorragia cerebrale risulta dal certificato medico stilato dal dottor Alberto Cesari, primario dell’ospedale di Salò, e dal dottor Antonio Duse, medico curante del poeta. I medici presero un abbaglio o scrissero il falso? Attilio Mazza avanza questa ipotesi: "La segretezza mantenuta sul suicidio può essere variamente giustificata, non ultima la ragione politica. Se fosse stata resa pubblica la morte volontaria, non sarebbe stato possibile il solenne rito religioso con immaginabile imbarazzo per Mussolini e per il governo".

   Al fine di scongiurare la possibilità che la notizia trapelasse i funerali furono organizzati con estrema rapidità, evidenzia Mazza. D’Annunzio morì il martedì sera alle ore 20,05 e Mussolini partì da Roma per arrivare a Gardone Riviera mercoledì mattina alle ore 8, lasciando intercorrere lo stretto tempo necessario per disdire appuntamenti di Stato e organizzare il treno presidenziale che lo portò a Desenzano con i ministri Ciano, Starace, Alfieri, Benni e il segretario particolare Sebastiani. Le esequie vennero celebrate la mattina di giovedì 3 marzo, attorno alle 8,30. Gli onori estremi furono resi, quindi, al Vate della Patria in tempi assai stretti, senza essere preceduti o seguiti da autopsia e accertamenti che approfondissero le cause del decesso. L’ipotesi del suicidio appare sensazionale e destinata probabilmente ad alimentare polemiche. Per questo motivo, Mazza suggerisce la possibilità di esami sui resti di D’Annunzio che potrebbero confermare o meno la congettura

 

"Adnkronos", 23 gennaio 2002

 

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