Carlo Luigi Lagomarsino

tempo e odore di dOrmesson

Sapete quel’è il libro che più mi è piaciuto negli ultimi tempi? Fossi saggio dovrei pensare che vi importi poco. Magari son più che saggio e penso che non ve ne importi proprio un bel niente. Non rinuncio tuttavia a dirvelo: Odore del Tempo di Jean d’Ormesson (Spirali, 2008), una raccolta di articoli del “Figaro”, il giornale al quale l’autore, prevalentemente sulle pagine letterarie, collabora da quarant’anni (ne è stato anche direttore). Vi si parla di scrittori, di Francia, di origini, di ricordi, un poco di cinema, un poco di Italia, qualcosa di Academie Française (della quale è entrato a far parte nel 1973) e di altra varia umanità. Tutto quel che scrive d’Ormesson  è garbato, percorso da una lieve ironia, esentato dalle trappole dell’ideologia e dai capricci della “profondità”, apparentemente ameno e sempre gradevole. Scrive di tutto e di tutti con quella totale mancanza di ubbie e quell’apertura mentale che era il vanto di taluni vecchi conservatori ai quali egli va associato, per quanto il papà André comte d’Ormesson fosse (la sua è una famiglia di diplomatici) ambasciatore del Front populaire e grande amico di Léon Blum. “Feydeau”, dice d’Ormesson, e valga per “intreccio”, “non è mai lontano da Karl Marx e dalla divina Provvidenza”!

Tante belle maniere e tanta levità non piacciono, a quanto leggo in un’intervista, a Philippe Joyaux (vulgo Sollers) poiché difficilmente, crede lui, da un tipo come d’Ormesson ci si possono aspettare analisi penetranti. Basterebbe saper leggere, gli si potrebbe rispondere. Oltretutto non mi pare che la cultura francese sia passata per intero in “Tel Quel”, come vorrebbe lasciar intendere il vecchio narciso. Cosa sono per giunta le “analisi penetranti”, cos’è questo feticcio della “profondità”? Sembrerebbe che oggi l’antico partigiano dell’inessenzialità stia cominciando prudentemente a scorgere qualcosa sul fondo, forse la vede l’essenza: succede a chi invecchia. Perlomeno d’Ormesson s’era fatto biografo di Dio senza alcuna prudenza, e fu un libro magnifico!

Bisogna leggerli questi articoli: che trattino di Proust o di Toulet, di John McEnroe (il tennista)  o dell’Abate Mugnier, per tacere del favore con cui accoglie (a differenza dei polverosi puristi nazionalitari di ogni colore) le contaminazioni della sua lingua madre, d’Ormesson ha la capacità di dire quel che occorre dire con la gioia di dire. Un esempio? Aragon! Dopo aver azzardato l’ipotesi di tre epoche della letteratura francese, aver affermato che di “scrittore grande, immenso” si tratta e averlo collocato “nell’età d’oro che si chiude sotto i nostri occhi” aggiunge che Aragon in questa aurea età vi “prende posto per il suo stile. Prende posto anche per la sua presenza in tutti i fronti del pensiero, della cultura e della moda intellettuale, lui che alla parola moda dà il senso più alto e meno effimero. Prende posto per la sua persona, per la statura…”

“Licéntia”, aprile 2008