Giuseppe Muraca

cultura e socialismo italiano

Mariamargherita Scotti: DA SINISTRA. Intellettuali, Partito socialista italiano e organizzazione della cultura (1953-1960). Ediesse, 2011

Da tempo si è affermata la convinzione che la cultura socialista negli anni cinquanta sia stata ben poca cosa, a causa della sua totale subalternità al comunismo togliattiano. Ciò ha spinto molti storici a trascurare quella stagione della storia del PSI, invece così ricca di progetti, di iniziative e di dibattiti che hanno influenzato profondamente la cultura della nuova sinistra italiana. Mariamargherita Scotti dichiara di essere stata spinta a scrivere Da sinistra. Intellettuali, Partito socialista italiano e organizzazione della cultura (1953-1960) proprio per sconfessare questo pregiudizio. Pubblicato dalla casa editrice Ediesse, il libro ricostruisce con grande rigore e serietà scientifica l’attività di quella piccola schiera di socialisti di sinistra (intellettuali militanti e dirigenti politici) che dagli anni più duri dello stalinismo e della guerra fredda fino all’avvento del neocapitalismo hanno speso le loro energie per affermare una linea politica e culturale diversa da quella della sinistra ufficiale.

I principali protagonisti di questa ricerca sono infatti Raniero Panzieri, Gianni Bosio, Franco Fortini e i marxisti critici, che alla critica dello stalinismo, dello zdanovismo e del marxismo nazional-popolare hanno unito l’impegno per una nuova cultura e un nuovo pensiero marxista basato sull’unità tra teoria e prassi, tra politica e cultura. Diversi per formazione e per interessi e spesso in disaccordo tra di loro, ciò che li univa era la creazione di nuovi metodi e strumenti di ricerca e di analisi e di spazi autonomi di discussione e di elaborazione teorica e culturale liberi dai condizionamenti imposti dalle dirigenze politiche della sinistra, l’opera di sprovincializzazione della cultura italiana e l’attenzione verso quelle esperienze teoriche e politiche che si ponevano su un nuovo versante e che venivano trascurate, criticate o rimosse dal marxismo ortodosso. Pur riconoscendo in parte il ruolo e la validità del partito, essi hanno privilegiato l’iniziativa dal basso, il primato e l’autonomia della classe e la democrazia diretta, costituendo delle piccole minoranze che hanno promosso dei progetti e delle iniziative (riviste ciclostilate e diffuse in poche centinaia di copie, attività editoriali, convegni, istituti di ricerca e di organizzazione politica e culturale) che erano in conflitto coi dogmi e le istituzioni burocratiche della sinistra e del socialismo sovietico. Proprio per questo motivo la loro attività venne ostacolata ed emarginata dall’atteggiamento di chiusura ideologica del PCI, che mal tollerava la critica e la polemica. Tuttavia è importante sottolineare che in quel primo periodo per non indebolire politicamente il fronte della sinistra i marxisti critici ed eterodossi evitarono di manifestare apertamente il loro dissenso.

La fine dello stalinismo rappresentò per molti versi un evento liberatorio e di rottura col passato. Coloro che negli anni precedenti avevano criticato da sinistra la linea politica e culturale dominante uscirono allo scoperto partecipando con grande entusiasmo all’intenso dibattito avviatosi dopo il XX Congresso del PCUS e la denuncia dei crimini di Stalin, favorito dalle aperture dimostrate dai vertici socialisti e comunisti. Ma gli avvenimenti polacchi e ungheresi dovevano subito dopo spezzare “l’incredibile speranza dell’estate”(Fortini). Una stagione del socialismo si era chiusa per sempre. Negli anni seguenti il fronte dei marxisti critici ed eterodossi incomincerà a dividersi e a seguire direzioni diverse: tra chi, come i Guiducci, Momigliano e Pizzorno, lavorerà per superare Marx e la dittatura del proletariato e chi invece, come Bosio, Fortini, Panzieri, Montaldi e Della Mea, procederà verso una fuoriuscita a sinistra dallo stalinismo e dallo storicismo. Si concluse così un sodalizio politico e culturale durato quasi dieci anni. Il graduale avvicinamento dei socialisti all’area di governo ha segnato di fatto la sconfitta e l’emarginazione politica di Panzieri, di Bosio, di Fortini e di Luciano Della Mea che nutrivano la convinzione di un necessario ripensamento e di una rifondazione del marxismo su basi classiste e rivoluzionarie, in netta contrapposizione alle ideologie tecnocratiche e modernizzanti del neocapitalismo, della coesistenza pacifica e alla politica di “programmazione democratica” del nascente centrosinistra. Non a caso tra la fine degli anni cinquanta e gli albori del decennio successivo essi sono pervenuti alla decisione di rompere ogni legame, a costo di un pesante isolamento, con le organizzazioni storiche del movimento operaio lavorando, in coincidenza con la ripresa dei movimenti politici e delle lotte operaie, alla fondazione delle riviste e dei gruppi del neomarxismo italiano. “Fogli di Via”, luglio 2012