Carlo Romano

limmacolata concezione di Panizza

Se si dà retta a Walter Benjanin, suo estimatore, Oskar Panizza  (1853-1921) andrebbe annoverato fra i “teologi”. A questo proposito, soggiungeva, “non possono ingannarci le sue invettive contro la Chiesa”. Chi sfogliasse anche rapidamente le pagine de “L’Immacolata Concezione dei Papi” (ora proposto da Spirali, €26, per le davvero ottime cure di Giovanni Chiarini) coglierebbe indubbiamente la grande erudizione dell’autore in materia teologica, ma difficilmente gli sfuggirebbero le intenzioni satiriche che ne fanno uno degli scrittori tedeschi più originali di tutti i tempi – e uno dei più trascurati, salvo che in quei cenacoli esaltati dalla sua radicalità.

Panizza nacque in Baviera nel 1853. Il padre, di modeste origini comasche, era cattolico. La madre, che vantava quarti di nobiltà, discendeva da una famiglia ugonotta. I litigi in materia religiosa fra i due erano frequenti. Nel contratto di matrimonio il padre aveva preteso che i figli fossero educati al cattolicesimo, tuttavia morì quando Oskar aveva due anni e la madre si sentì liberata dal vincolo, cercando così di crescere i cinque pargoletti (tanti erano) nell’osservanza del protestantesimo. “Sono stato educato secondo rigidi principi religiosi” avrebbe scritto Panizza in un breve schizzo autobiografico del 1895. A dieci anni, per sottrarlo alle occhiute attenzioni della cattolicissima Baviera, la madre condusse Oskar nel collegio protestante di Kornthal, famoso in Germania per l’inflessibilità degli esercizi e degli studi religiosi. Il risultato fu che a sedici anni il futuro scrittore ne aveva le tasche piene di preghiere e sforzi spirituali. Contemporaneamente a Monaco di Baviera, spalleggiate dalle autorità civili, le istituzioni religiose non perdevano tempo nel sollecitare vari processi per blasfemia e sacrilegio nei confronti dei liberi pensatori. Quando Panizza fosse diventato a sua volta un abile libellista, è contro la Chiesa Cattolica che avrebbe lanciato i suoi narrativamente pregevoli (e sapienti) strali.

È in questo contesto che nasce dunque “L’Immacolata Concezione dei Papi”, dove lo scrittore, con solide argomentazioni teologiche, vuole estendere ai capi della Chiesa quella che Pio IX pochi lustri indietro aveva elevato a dogma, vale a dire la nascita fuori dal peccato della madre di Gesù. Nel far ciò, per meglio schivare le censure, Panizza attribuisce il testo (nello stile dei pamphlettisti settecenteschi) a un pio benedettino spagnolo meritevole di “imprimatur”, riservando a sé la traduzione, pubblicata a Zurigo nel 1893.

Nella stessa città svizzera, l’anno dopo, Panizza pubblicherà “Il Concilio d’Amore” (è in catalogo da ES) nel quale si immagina come Papa Alessandro VI Borgia, la madonna, il diavolo, Gesù e Dio, rappresentato come un vecchio squilibrato, decidano di diffondere la sifilide per punire l’ignara umanità dei troppi peccati sessuali. A quell’epoca lo scrittore fa conoscenza dei giovani letterati “naturalisti” della Münchner Moderne (fra gli altri, Frank Wedekind) ed ha tra i suoi ammiratori un  giovanissimo Thomas Mann. Anni dopo, di Panizza si interessò André Breton e in una chiave surrealista, coi costumi di Leonor Fini, “Il Concilio” ottenne pure una memorabile rappresentazione al Theatre de Paris, meritando diversi premi. Nel 1895, purtroppo, Panizza guadagnò bel altre attenzioni e per un anno patì la carcerazione. Si spostò successivamente in Svizzera e a Parigi. Tornato a Monaco, dopo un tentativo di suicidio e con la madre che si rifiutava di incontralo, passò gli ultimi sedici anni in una casa di cura nei pressi di Bayreuth, dove è sepolto.

“Fogli di Via”, novembre 2009