Omar Wisyam

il passaggio del tempo e Carlo M. Cipolla (per tacere degli altri e di Jerome K. Jerome che non sarà nominato!)

Passarono diciassette anni quando Fruttero e Lucentini ultimarono la trilogia sul cretino (La prevalenza del cretino – 1985, Il ritorno del cretino – 1992, Il cretino in sintesi - 2002) e per il secondo della ditta F&L quell'anno fu l'ultimo della sua vita terrena. Fu il risultato più alto della loro produzione?  Senz'altro per Carlo M. Cipolla (la M puntata pare che fosse un falso per riempire lo spazio del middle name nei moduli dell'università di Berkeley), Le leggi fondamentali della stupidità umana (“The Basic Laws of Human Stupidity”, uno scritto del 1976 redatto in inglese e stampato in poche copie fuori commercio da Il Mulino - comparendo invece e ironicamente come editori The Mad Millers, ovvero i mugnai pazzi) sono state, una volta tradotte in italiano e stampate nel 1988 con il titolo complessivo di  Allegro ma non troppo, quando furono riunite insieme al saggio sul ruolo delle spezie (e del pepe in particolare) nello sviluppo economico del Medioevo (una auto-parodia di uno studio storico redatto in inglese e stampato fuori commercio nel 1973, quindi tre anni prima delle Leggi), il viatico di un notevole successo nazionale e internazionale (il Sole 24 ore del 23 ottobre 2011 riporta il dato di 350.000 copie vendute in Italia e di edizioni in francese, tedesco, spagnolo, galiziano, catalano, greco, turco, portoghese, ungherese, ceco, rumeno, giapponese e coreano). D'altro canto, tanto per nominare un illustre precedente del famoso allievo di Fernand Braudel (Carlo M. Cipolla), Gustave Flaubert con Bouvard et Pécuchet dimostrava di aver studiato a fondo quell'argomento (la bêtise ovvero la bestialità – letteralmente -  dell'idiozia intellettuale), che Oscar Wilde definì “la Bestia Trionfans che fa uscire immancabilmente la saggezza dalla sua tana”, sebbene non fosse riuscito a portare a termine l'impresa a causa della sua smisurata ampiezza (l'opera uscì postuma nel 1881, dopo aver impegnato, a più riprese, l'autore negli ultimi anni di vita). In fondo l'argomento è intrinsecamente letterario, come avevano compreso l'umanista olandese Erasmo, con l'elogio della Moria (la follia), e lo spagnolo Cervantes, con Don Chisciotte (nei due volumi del 1605 e 1615 – dieci anni per completare la seconda parte) e poi il suo imitatore francese Daudet (alla trilogia di Tartarino lo scrittore lavorò dal 1872 al 1890, per diciotto anni). Per la prima edizione commerciale in inglese delle cinque leggi sulla stupidità di Carlo M. Cipolla bisogna attendere il 2011, dunque dovettero trascorrere  35 anni dalla stampa riservata agli amici dello storico. Su certi temi delicati la pazienza è virtù necessaria. Se si riflette sul ruolo del pepe (o del vino o della lana) nello sviluppo economico dell'età di mezzo, e quindi su Pietro l'Eremita che fomentò la crociata per rifornire l'Occidente delle spezie di cui, nonostante tutto, egli era ghiotto, e poi, come conseguenza sociale non voluta ma inevitabile del passare del tempo, sulla necessità di ricorrere ai fabbri per le cinture di castità al fine di garantirsi la fedeltà delle donne durante le assenze e quindi al germogliare in tutta Europa di una filiera di cognomi come Smith, Schmidt, Febvre, Lefebvre, Ferrari e Ferrero, non si può non riconoscere una certa qual plausibilità agli argomenti addotti (d'altronde la stupidità, più che plausibile, è certa), perciò occorre infine brindare al buon senso che dimostrò Achille Campanile (al quale Cipolla si era indubbiamente ispirato), quando discettando di Asparagi e immortalità dell'anima, concludeva che, per quanto si indaghi approfonditamente sulle loro implicazioni reciproche, non vi era “nulla in comune”.

Alla stupidità o alla follia appartengono reami troppo vasti e complessi, scivolosi e proteiformi, protendendosi ovunque e chiudendosi su ognuno, come può riferire chiunque abbia letto l'Encomium Moriae di Erasmo (che con sottile abilità nel titolo elogiava Tommaso Moro – a cui il saggio era dedicato formalmente -, senza portargli tuttavia l'auspicata fortuna) o Il buon soldato Sc'vèik di Hasek (sterminato romanzo che l'autore, morendo nel 1923, non riuscì a portare a termine, dopo undici anni di lavoro), oppure chiunque abbia dimestichezza con Musil (definito dall'Accademia dei poeti tedeschi “troppo intelligente per essere un poeta”) e con il suo celebre discorso Sulla stupidità (L'uomo senza qualità, a cui lavorò dagli anni Venti fino alla morte nel 1942 lasciandolo incompiuto, è più un romanzo sulle infinite metamorfosi della cretineria che sul Nulla o sulle Possibilità o sulla Genialità, come taluni dotti invece affermano) o con Ortega y Gasset, il quale pubblicamente chiedeva perché della stupidità non se ne affrontassero sistematicamente tutte le ramificazioni (risposta ovvia: perchè è impresa negataci dalla nostra condizione).

Il titolo del volumetto di Cipolla - Allegro ma non troppo -, orecchiabile quanto pensoso, rinvia ai due poli del discorso, ma la sua musicalità rischia di trarre in inganno, perché non si può presumere di venire a capo del motivetto senza penose conseguenze, come sa bene chi ha frequentato di Jonathan Swift gli Scritti satirici e polemici. Quell'allegria, imprudentemente esibita, a noi italiani sembra richiamare il celeberrimo saluto di Mike Bongiorno per spedirci definitivamente fuori strada (tra parentesi, appunto, mi domando: perché mai Ungaretti, che dallo splendido Il porto sepolto – 1917 - era passato al non meno profondo Allegria di naufragi – 1919 -, aveva finito per disancorare il genitivo e confermare infine solo il vuoto sostantivo de L'allegria del 1931? Dissoluzione dei residui poetici nel dolore quotidiano? Il dolore è del 1947).

Vele e cannoni del nostro Cipolla, pubblicato in italiano nel 1983 da Il Mulino, fu edito in inglese, nel 1965 (diciotto anni prima), presso Collins Sons & Co. di Londra, con il titolo Guns and Sails in the early phase of European expansion, 1400-1700.

Si tratta di uno studio di un professore universitario (l'autore fornisce agli interessati venti pagine di riferimenti bibliografici e facilita la compulsazione del testo con gli indici dei nomi e degli argomenti), che ha poco in comune con la fortunata silloge citata sopra, se non il fatto che l'espansione oceanica dell'Europa nella seconda metà del secolo quindicesimo viene ricondotta “anche” al blocco del commercio delle spezie causato dall'avanzata turca nel Mediterraneo orientale. Il libro riflette sulla cosiddetta "era di Vasco da Gama" (definita così da Panikkar), contrassegnata dal predominio europeo sugli oceani a partire dal momento in cui il navigatore portoghese arrivò a Calcutta (1498) fino al ritiro britannico dall'India (1947) e a quello delle flotte europee dalla Cina (1949). Di curioso offre qualche cartolina dell'inesorabile trascorrere del tempo che tutto cambia, come quella che descrive l'Olanda come “vero catalizzatore dello sviluppo continentale” in Europa nella produzione di cannoni (quando si è abituati a ritenere quelle terre basse popolate da pacifisti incalliti, impegnati casomai in tutt'altre faccende) o la Cina dei mandarini, per la maggioranza dei quali “nulla poteva esserci di meno attraente che innovazioni militari e armi assordanti” (quando invece siamo spinti a  temere che, dopo furiosi decenni di crescita economica, la Cina si dedichi altrettanto volonterosamente a moltiplicare la capacità strategica delle sue forze armate), insieme a qualche conferma che il tempo non ha stravolto come l'asservimento delle economie non industriali “mediante la politica del libero scambio”. E l'economia partecipa della stupidità umana in misura proporzionale al suo ruolo nella società. Nel Mondo nuovo di Aldous Huxley si trovano perle come questa: "La civiltà industriale è possibile soltanto quando non ci sia rinuncia. Concedersi tutto fino ai limiti estremi dell'igiene e delle leggi economiche. Altrimenti le ruote cessano di girare" (questa citazione si trova in un articolo del Guardian scritto da George Monbiot, tradotto in italiano nel numero 997 della rivista Internazionale). Se la rinuncia è necessaria, come quando gli Stati negoziano le riduzioni delle emissioni globali di gas serra, si pescano degli stratagemmi ingegnosi, come quello di considerare solo le emissioni prodotte all'interno dei propri confini, evitando di assumersi le proprie responsabilità derivanti dalla globalizzazione dei mercati e dal trasferimento delle produzioni industriali nei paesi più poveri.

Se Cipolla avesse aggiornato il suo volumetto Vele e cannoni al secolo ventesimo, non avrebbe parlato di imperi che affrontano le onde degli oceani, ma che signoreggiano sui cieli e sfidano le solitudini della volta stellata. Non è da escludere l'ipotesi che l'avrebbe intitolato Astronavi e missili o qualcosa del genere.

Forse non tutti sanno che l'anziano Carl Gustav Jung si occupò di UFO (Unidentified Flying Objects) ovvero “saucers, dischi, soucoupes, disks” in Su cose che si vedono in cielo pubblicato da Bompiani nel 1960 due anni dopo l'edizione zurighese dal titolo Ein Moderner Mythus (che è titolo più sobrio e neutro). Nella nota di copertina dell'edizione italiana era scritto che  “si trattava di una vertiginosa discesa nella notte dell'inconscio collettivo, per cercare le radici archetipe di una suggestione ricorrente”, dove convergono “religione, alchimia, arte, storia, etnologia, psichiatria e filosofia” (non è poco!). Nel capitolo “L'Ufo considerato sotto l'aspetto non psicologico”, Jung afferma quella che è la sua opinione sull'esistenza degli stessi: “gli Ufo sono reali apparizioni materiali, entità di natura sconosciuta, che provengono probabilmente dagli spazi e che erano già visibili, forse da lungo tempo, agli abitanti della Terra”. Dalla fine della seconda guerra mondiale “la loro presenza sembra essersi fatta più frequente di prima”. È chiaro che “contenuti dell'inconscio si sono proiettati negli inspiegabili fenomeni celesti”, dice l'analista. L'incremento delle visioni è legato da un lato alle ipotesi di un “possibile viaggio nello spazio” (nota bene: siamo nel 1958), dall'altro alla “minaccia vitale che pesa sull'esistenza terrestre”. Le forme rotonde e cilindriche degli Ufo rappresentano l'unificazione dei contrari. A questo punto Jung parla dei contrassegni dei velivoli in Usa e in Urss: “I primi hanno una stella bianca, gli altri una rossa a cinque punte. Per circa un millennio, il rosso ha rappresentato il colore maschile e il bianco quello femminile. Gli alchimisti parlavano di servus rubens (schiavo rosso) e della femina candida (donna bianca) che copulavano effettuando così la suprema unificazione dei contrari”. A conferma della sua suggestiva intuizione aggiunge che “quando si parla della Russia si ricorda volentieri il Piccolo Padre Stalin e si farfuglia di matriarcato americano, dato che gran parte del capitale americano è in mano a donne”. Conclude “argutamente” (termine suo) che rosso e bianco sono colori nuziali e che essi gettano una luce “divertente” (idem) “sulla Russia nella parte dell'amato riluttante o inascoltato della femina candida alla Casa Bianca”. E dire che tanti, a suo tempo, ironizzavano su Peter Kolosimo (1922-1984) autore di Non è terrestre del 1968 (vincitore del Premio Bancarella) e Astronavi sulla preistoria (1972), ma anche dei precedenti Il pianeta sconosciuto (1957), Terra senza tempo (1964), Ombre sulle stelle (1966), e di vari altri testi negli anni successivi fino a I misteri dell'universo del 1982 (le sue opere sono state diffuse e tradotte in sessanta paesi). Forse non tutti ricordano che pure la moglie di Peter, Caterina Kolosimo, aveva scritto numerosi saggi di divulgazione scientifica, tra cui Sopravviveremo al 1982?, in cui nei capitoli nono e decimo si parla di UFO ed extraterrestri ed in particolare nel paragrafo La CIA, l'URSS e gli UFO. Il volume che possedevo del Pianeta sconosciuto di Peter Kolosimo (un esemplare ammuffito della dodicesima edizione, del 1974) era collocato in una collana di Sugarco dove compariva un altro personaggio che leggevo avidamente, a quel tempo, ovvero Leo Talamonti, ma anche altri autori piuttosto suggestivi come Levy Howard (L'erotismo dei piedi cinese), Tobias Schneebaum (Sono stato un cannibale), Alfredo e Angelo Castiglioni (Africa ama) ed infine il nome celeberrimo, tra il 1971 e il 1972, del parapsicologo Massimo Inardi che vinse, partecipando alla trasmissione a quiz Rischiatutto condotta da Mike Bongiorno, più di 48 milioni di lire, un record assoluto dell'epoca!

L'ottavo capitolo de Il pianeta sconosciuto (pubblicato la prima volta nel 1957, un anno prima del libro del tardo Jung) si intitola I figli delle stelle (Alan Sorrenti, nel 1977, vent'anni dopo, canterà "Noi siamo figli delle stelle - senza storia, senza età, eroi di un sogno" forse imitando l'altrettanta felice sintesi che aveva dimostrato Emily Dickinson quando aveva scritto: “Per fare un prato / basta un trifoglio e un'ape / un trifoglio, un'ape, e il sogno / Il sogno basterà se l'ape se ne va”) e parla, tra l'altro, dei leggendari Kappas: "bipedi dagli arti palmati e muniti ognuno di tre dita terminanti ad uncino, con il dito centrale notevolmente più lungo", la cui "pelle è bruna, liscia, serica e lucida, il loro capo sottile, le orecchie grosse, gli occhi stranamente grandi e triangolari", che sulla testa portano un curioso cappello a quattro aghi (antenne?) e il cui naso ha "l'aspetto di una proboscide che termina dietro le spalle dove si unisce a una gobba a forma di cassetta", con molteplici richiami alle forme che assumeranno in seguito vari celebri extraterrestri cinematografici, ma che erano stabilmente presenti nel vasto arcipelago dell'immaginario fantascientifico. I civilizzatori di Mu (il continente scomparso che sorgeva nel Pacifico) sarebbero stati degli extraterrestri, dice Kolosimo che, nel dodicesimo capitolo del suo libro, dichiarava di essersi messo con successo Sulle tracce dello Yeti e del suo omologo americano. Questo capitolo fa da contrappunto a quello sopra citato sulle nostre ascendenze stellari, presentando i risultati di accurate ricerche sull'esistenza reale degli "schiavi villosi" (gli Yeti), sulla scorta anche degli studi della "Commissione  per lo studio dell'uomo delle nevi", che si era costituita presso l'Istituto antropologico a Mosca (ma erano i tempi dell'URSS). Si intuisce facilmente che la coppia figli delle stelle/yeti si approssima a quella che Jung unirà nello sposalizio alchemico un anno dopo.

Si deve riconoscere che, se poteva apparire un fatto curioso e originale il matrimonio di Usa e Urss sotto il segno degli UFO, si è assistito più volte, nel corso del secolo scorso, a simili cerimonie, sotto gli auspici, di volta in volta, dell'imperialismo, della burocratizzazione, della repressione, dello spettacolo etc. celebrate spesso da distinti e talvolta esclusivi, se non settari e sinistri, ministri del culto.

D'altronde già William Blake (1757-1827) sosteneva che "l'immaginazione non è uno stato mentale: è l'esistenza umana stessa" (the imagination is not a State: it is the Human existence itself), ed egli era stato l'autore de The Marriage of Heaven and Hell (Il matrimonio del Cielo e dell'Inferno) nel 1790/1793 (e Fernando Pessoa completava così: “Il poeta è un fingitore / finge così completamente / che arriva a fingere che dolore è / il dolore che prova davvero,”). Giuseppe Ungaretti è stato un appassionato traduttore di poeti, da Luis de Gongora a Mallarmé (come si intitola una raccolta di traduzioni del 1961) passando per Shakespeare, Racine, Esenin (attraverso il francese) e, ciò che è notevole, William Blake. La casa editrice Einaudi, nel 1996, aveva pubblicato una raccolta di William Blake, dal titolo Selected Poems, nella collana "Scrittori tradotti da scrittori - Serie trilingue" in cui si poteva leggere l'originale inglese, la traduzione italiana di Ungaretti (Ungaretti aveva già pubblicato la sua traduzione "Visioni di William Blake" nel 1965) e la versione francese di Georges Bataille. Tra i Proverbi dell'Inferno (Proverbs of Hell - Proverbes de l'Enfer) si trovava il seguente: "La strada dell'eccesso porta al palazzo della saggezza" (The road of excess leads to the palace of wisdom - Le chemin de l'excès mène au palais de la sagesse), che doveva piacere molto al francese.

La dimostrazione si trova ne La part maudite (La parte maledetta), del 1949, e ne La nozione di dépense (termine che si traduce più o meno con "dispendio" e che Bataille adopera facendo riferimento alla mitologia del potlatch arcaico), il cui concetto Bataille trasse dal Saggio sul dono di Marcel Mauss (e che influenzerà in seguito, tra gli altri, Jean Baudrillard, de Lo scambio simbolico e la morte e Peter Sloterdijk, di Ira e tempo). Annamaria Laserra nel saggio su Bataille lettore e traduttore di William Blake, incluso nel citato volume Einaudi, afferma che la lettura di Blake promosse "il momento inaugurale, il presagio della nozione di dispendio", e che il detto "Exuberance is Beauty" (Esuberanza è Bellezza), espresso in tre parole di purezza adamantina, potrebbe costituire l'epigrafe de La parte maledetta e, forse, "di tutta l'opera di Bataille".

Anche Jung si servì di Blake (in Tipi psicologici - Psychologische Typen, 1921) interpretandone la psicologia nella categoria dell'introversione. Secondo Jung "l'intuizione introversa percepisce tutti i processi che sono nel fondo della coscienza in modo distinto quasi quanto la sensazione estroversa percepisce gli oggetti esterni. In conseguenz, per l'intuizione le immagini dell'inconscio non hanno minore dignità delle cose o degli oggetti". Queste parole sono riportate da Georges Bataille nel saggio dedicato a Willam Blake (presente nel già citato volume Einaudi), ma il concetto analitico di introversione lasciò insoddisfatto il francese, per il quale l'interpretazione iunghiana informava "più sulla teoria di Jung che sulle intenzioni di Blake" (come se questa affermazione non avesse una sua ampia validità ed egli fosse sicuro che non riguardasse anche la sua stessa interpretazione). Il tratto interessante per Bataille era costituito dall'esuberanza della fantasia di Blake, dal suo eccesso incoerente che andava enfatizzato e "sottolineato" piuttosto che ridotto alla "chiarezza che la psicoanalisi ha lo scopo di introdurre".

Bataille fu un intellettuale attratto da una vasta congerie di interessi e tra di essi occupava un posto di qualche rilievo anche l'economia, perché, seppure in modo obliquo ed eterodosso, di essa si trattava in La parte maledetta, da cui è ricavata la seguente dichiarazione: “l’attività umana non è interamente riducibile a processi di produzione e di conservazione, e il consumo dev’essere diviso in due parti distinte. La prima, riducibile, è rappresentata dall’uso del minimo necessario, agli individui di una data società, per la conservazione della vita e per la continuazione dell’attività produttiva: si tratta dunque della condizione fondamentale di quest’ultima. La seconda parte è rappresentata dalle spese cosiddette improduttive: il lusso, i lutti, le guerre, i culti, le costruzioni di monumenti suntuari, i giochi, gli spettacoli, le arti, l’attività sessuale perversa (cioè deviata dalla finalità genitale) rappresentano altrettante attività che, almeno nelle condizioni primitive, hanno il loro fine in se stesse”. Qualcosa come il limite dell'utile, come furono intitolati gli appunti preparatori pubblicati in seguito e separatamente, cioè il potlatch, la dépense, il dispendio. Un altro intellettuale irregolare, un poeta come Ezra Pound (Bataille fu accusato di simpatizzare occultamente con il nazismo, mentre Pound esplicitamente appoggiò il fascismo e, in quanto sua derivazione, il nazismo), negli stessi anni, si interessò attivamente di economia ricavandone una vasta gamma di giudizi piuttosto sprezzanti (dai direttori di giornali riceveva inviti a collaborare di questo tenore: “Può scrivere qualche cosa purché non di economia?”), a parte le consuete e più che note accuse di demenza.

Al contrario di quanto accadde a Bataille, le ipotesi e le suggestioni di Pauwels e Bergier a proposito del nazismo mistico contribuirono al successo de Il mattino dei maghi, mentre le esperienze dell'archelogia nazista con l'Ahnenerbe Forschungs und Lehrgemeinschaft (Società di ricerca ed insegnamento dell'eredità ancestrale) hanno fornito a I predatori dell'arca perduta uno stereotipo narrativo.

Ezra Pound apparteneva al ristretto gruppo di coloro che nell'introduzione al libro L'ABC dell'economia  curata da Giorgio Lunghini sono definiti monetary cranks, cioè degli economisti eretici per i quali il denaro ha un'importanza essenziale (soprattutto nel causare i peggiori mali della società), e non poteva essere marxista perché Marx “non trovò nulla da criticare nel denaro”. Tuttavia quando Pound scriveva che è “innegabile che se a nessuno venisse permesso di lavorare (in quest'anno 1933) più di cinque ore al giorno, non ci sarebbe quasi più alcun disoccupato e alcuna famiglia priva di titoli cartacei sufficienti per consentirle di mangiare” scriveva qualcosa che oggi (ottant'anni dopo) piacerebbe (se lo sapessero, e forse è questa la soluzione dell'enigma) agli estremisti nostrani. Paul Lafargue, che sicuramente fu marxista e genero di Karl, avendo sposato Laura Marx, scrisse Le Droit à la paresse (Il diritto all'ozio) mentre era imprigionato nel 1883, ed Ezra Pound, cinquant'anni dopo, scrisse in ABC of economics (L'ABC dell'economia) che “l'ozio è tempo libero liberato dall'ansia”. Neanche I situazionisti avrebbero saputo definirlo meglio. Carlo M. Cipolla (per tornare al nostro autore) aveva dimostrato di essere un appassionato di monete (ma non nel senso di Ebenezer Scrooge o di Paperon de' Paperoni ovvero, nella lingua originale, Scrooge McDuck) essendo l'autore de Le avventure della lira (e di saggi come Il governo della moneta a Firenze e a Milano nei secoli XIV-XVI e di vari e numerosi altri), in cui, con erudizione ed arguzia, tracciava la storia della nostra moneta (“La lira moneta nacque come moneta materialmente inesistente, come pura unità ideale di conto. La gente cominciò a parlare di lire, a trattare e vendere in lire, senza che alcuno mai avesse visto o toccato una lira in forma di moneta. La lira venne al mondo come moneta-fantasma. Il curioso è che rimase un fantasma per quasi mille anni.”) tornata ad essere di nuovo un fantasma o addirittura uno spauracchio utile nei comizi politici. Ezra Pound partecipò al programma radiofonico American Hour con Radio Roma nel 1940/41 e collaborò con Radio Tevere (Milano) durante la Repubblica Sociale Italiana. Quando, dopo essere stato catturato dai partigiani, fu consegnato alle autorità americane venne rinchiuso in una gabbia all'aperto per tre settimane (ed in seguito ad un collasso fu trasferito in infermeria) all'interno di un campo di concentramento presso Pisa (una versione primitiva di Guantanamo). P.G. Wodehouse, dopo un anno di internamento in Francia, fu condotto dai tedeschi a Berlino, alloggiato all'Hotel Adlon, ed invitato a parlare “liberamente” (le virgolette non sono mie) alla radio delle sue esperienze di prigioniero. Dopo cinque discorsetti dei suoi ai microfoni della radio fu liberato e poté tornare in America, proprio in coincidenza con l'avvio dell'operazione Barbarossa (e che, nell'invasione dell'URSS, Wodehouse possa aver avuto un qualsiasi ruolo, anche se del tutto marginale, suscita un effetto più sbalorditivo dei vertiginosi trucchi del mestiere dell'umorista inglese; non è un giudizio mio, e se lo integro nel discorso è solo perché vi si inserisce bene). Tuttavia quanto meno il fatto che si fosse prestato alla propaganda goebbelsiana fece sdegnare i fieri britannici che boicottarono i libri dello sprovveduto chiacchierone (è il meno che si può dire). Coraggiosamente (e inaspettatamente per chi non lo conosceva) fu George Orwell, nel 1945, pubblicando In difesa di P.G. Wodehouse, ad aprire la via della riabilitazione tra i connazionali ancora frementi. Questo scrivevano Fruttero e Lucentini nell'introduzione al meraviglioso Lampi d'estate.