Omar Wisyam
il passaggio del tempo e Carlo M. Cipolla (per
tacere degli altri e di Jerome K. Jerome che non sarà nominato!)
Passarono diciassette
anni quando Fruttero e Lucentini ultimarono la trilogia sul cretino (La prevalenza del cretino – 1985, Il ritorno del cretino – 1992, Il cretino in sintesi - 2002) e per il
secondo della ditta F&L quell'anno fu l'ultimo della sua vita terrena. Fu
il risultato più alto della loro produzione?
Senz'altro per Carlo M. Cipolla (la M puntata pare che fosse un falso
per riempire lo spazio del middle name nei moduli dell'università di
Berkeley), Le leggi fondamentali della stupidità umana (“The Basic Laws of
Human Stupidity”, uno scritto del 1976 redatto in inglese e stampato in poche
copie fuori commercio da Il Mulino -
comparendo invece e ironicamente come editori The Mad Millers, ovvero i mugnai pazzi) sono state, una volta
tradotte in italiano e stampate nel 1988 con il titolo complessivo di Allegro
ma non troppo, quando furono riunite insieme al saggio sul ruolo delle spezie (e del pepe in
particolare) nello sviluppo economico del Medioevo (una auto-parodia di uno studio storico redatto in inglese e
stampato fuori commercio nel 1973, quindi tre anni prima delle Leggi), il viatico di un notevole
successo nazionale e internazionale (il Sole
24 ore del 23 ottobre 2011 riporta il dato di 350.000 copie vendute in
Italia e di edizioni in francese, tedesco, spagnolo, galiziano, catalano,
greco, turco, portoghese, ungherese, ceco, rumeno, giapponese e coreano). D'altro
canto, tanto per nominare un illustre precedente del famoso allievo di Fernand
Braudel (Carlo M. Cipolla), Gustave Flaubert con Bouvard et Pécuchet dimostrava di aver studiato a fondo
quell'argomento (la bêtise ovvero la bestialità – letteralmente - dell'idiozia intellettuale), che Oscar Wilde
definì “la Bestia Trionfans che fa uscire immancabilmente la saggezza dalla sua
tana”, sebbene non fosse riuscito a portare a termine l'impresa a causa della
sua smisurata ampiezza (l'opera uscì postuma nel 1881, dopo aver impegnato, a
più riprese, l'autore negli ultimi anni di vita). In fondo l'argomento è
intrinsecamente letterario, come avevano compreso l'umanista olandese Erasmo,
con l'elogio della Moria (la follia),
e lo spagnolo Cervantes, con Don
Chisciotte (nei due volumi del 1605 e 1615 – dieci anni per completare la
seconda parte) e poi il suo imitatore francese Daudet (alla trilogia di Tartarino lo scrittore lavorò dal 1872
al 1890, per diciotto anni). Per la prima edizione commerciale in inglese delle
cinque leggi sulla stupidità di Carlo M. Cipolla bisogna attendere il 2011,
dunque dovettero trascorrere 35 anni
dalla stampa riservata agli amici dello storico. Su certi temi delicati la
pazienza è virtù necessaria. Se si riflette sul ruolo del pepe (o del vino o
della lana) nello sviluppo economico dell'età di mezzo, e quindi su Pietro
l'Eremita che fomentò la crociata per rifornire l'Occidente delle spezie di
cui, nonostante tutto, egli era ghiotto, e poi, come conseguenza sociale non
voluta ma inevitabile del passare del tempo, sulla necessità di ricorrere ai
fabbri per le cinture di castità al fine di garantirsi la fedeltà delle donne
durante le assenze e quindi al germogliare in tutta Europa di una filiera di
cognomi come Smith, Schmidt, Febvre, Lefebvre, Ferrari e Ferrero, non si può
non riconoscere una certa qual plausibilità agli argomenti addotti (d'altronde
la stupidità, più che plausibile, è certa), perciò occorre infine brindare al
buon senso che dimostrò Achille Campanile (al quale Cipolla si era
indubbiamente ispirato), quando discettando di Asparagi e immortalità dell'anima, concludeva che, per quanto si
indaghi approfonditamente sulle loro implicazioni reciproche, non vi era “nulla
in comune”.
Alla stupidità o alla follia
appartengono reami troppo vasti e complessi, scivolosi e proteiformi,
protendendosi ovunque e chiudendosi su ognuno, come può riferire chiunque abbia
letto l'Encomium Moriae di Erasmo
(che con sottile abilità nel titolo elogiava Tommaso Moro – a cui il saggio era
dedicato formalmente -, senza portargli tuttavia l'auspicata fortuna) o Il buon soldato Sc'vèik di Hasek
(sterminato romanzo che l'autore, morendo nel 1923, non riuscì a portare a
termine, dopo undici anni di lavoro), oppure chiunque abbia dimestichezza con
Musil (definito dall'Accademia dei poeti tedeschi “troppo intelligente per
essere un poeta”) e con il suo celebre discorso Sulla stupidità (L'uomo senza
qualità, a cui lavorò dagli anni
Venti fino alla morte nel 1942 lasciandolo incompiuto, è più un romanzo sulle infinite metamorfosi della cretineria che
sul Nulla o sulle Possibilità o sulla Genialità, come taluni dotti invece affermano) o con Ortega y
Gasset, il quale pubblicamente chiedeva perché della stupidità non se ne
affrontassero sistematicamente tutte le ramificazioni (risposta ovvia: perchè è
impresa negataci dalla nostra condizione).
Il titolo del volumetto di Cipolla - Allegro ma non troppo -, orecchiabile
quanto pensoso, rinvia ai due poli del discorso, ma la sua musicalità rischia
di trarre in inganno, perché non si può presumere di venire a capo del
motivetto senza penose conseguenze, come sa bene chi ha frequentato di Jonathan
Swift gli Scritti satirici e polemici.
Quell'allegria, imprudentemente esibita, a noi italiani sembra richiamare il
celeberrimo saluto di Mike Bongiorno per spedirci definitivamente fuori strada
(tra parentesi, appunto, mi domando: perché mai Ungaretti, che dallo splendido Il porto sepolto – 1917 - era passato al
non meno profondo Allegria di naufragi –
1919 -, aveva finito per disancorare il genitivo e confermare infine solo il
vuoto sostantivo de L'allegria del
1931? Dissoluzione dei residui poetici nel dolore quotidiano? Il dolore è del 1947).
Vele e cannoni del nostro
Cipolla, pubblicato in italiano nel 1983 da Il Mulino, fu edito in inglese, nel
1965 (diciotto anni prima), presso Collins Sons & Co. di Londra, con il
titolo Guns and Sails in the early phase
of European expansion, 1400-1700.
Si tratta di uno studio di un
professore universitario (l'autore fornisce agli interessati venti pagine di
riferimenti bibliografici e facilita la compulsazione del testo con gli indici
dei nomi e degli argomenti), che ha poco in comune con la fortunata silloge
citata sopra, se non il fatto che l'espansione oceanica dell'Europa nella
seconda metà del secolo quindicesimo viene ricondotta “anche” al blocco del
commercio delle spezie causato dall'avanzata turca nel Mediterraneo orientale. Il
libro riflette sulla cosiddetta "era di Vasco da Gama" (definita così
da Panikkar), contrassegnata dal predominio europeo sugli oceani a partire dal
momento in cui il navigatore portoghese arrivò a Calcutta (1498) fino al ritiro
britannico dall'India (1947) e a quello delle flotte europee dalla Cina (1949).
Di curioso offre qualche cartolina dell'inesorabile trascorrere del tempo che
tutto cambia, come quella che descrive l'Olanda come “vero catalizzatore dello
sviluppo continentale” in Europa nella produzione di cannoni (quando si è
abituati a ritenere quelle terre basse popolate da pacifisti incalliti,
impegnati casomai in tutt'altre faccende) o la Cina dei mandarini, per la
maggioranza dei quali “nulla poteva esserci di meno attraente che innovazioni
militari e armi assordanti” (quando invece siamo spinti a temere che, dopo furiosi decenni di crescita
economica, la Cina si dedichi altrettanto volonterosamente a moltiplicare la
capacità strategica delle sue forze armate), insieme a qualche conferma che il
tempo non ha stravolto come l'asservimento delle economie non industriali
“mediante la politica del libero scambio”.
E l'economia partecipa della stupidità umana in misura proporzionale al suo
ruolo nella società. Nel Mondo nuovo di
Aldous Huxley si trovano perle come questa: "La civiltà industriale è
possibile soltanto quando non ci sia rinuncia. Concedersi tutto fino ai limiti
estremi dell'igiene e delle leggi economiche. Altrimenti le ruote cessano di
girare" (questa citazione si trova in un articolo del Guardian scritto da George Monbiot, tradotto in italiano nel numero
997 della rivista Internazionale). Se
la rinuncia è necessaria, come quando gli Stati negoziano le riduzioni delle
emissioni globali di gas serra, si pescano degli stratagemmi ingegnosi, come
quello di considerare solo le emissioni prodotte all'interno dei propri
confini, evitando di assumersi le proprie responsabilità derivanti dalla
globalizzazione dei mercati e dal trasferimento delle produzioni industriali
nei paesi più poveri.
Se Cipolla avesse aggiornato il suo
volumetto Vele e cannoni al secolo
ventesimo, non avrebbe parlato di imperi che affrontano le onde degli oceani,
ma che signoreggiano sui cieli e sfidano le solitudini della volta stellata. Non
è da escludere l'ipotesi che l'avrebbe intitolato Astronavi e missili o qualcosa del genere.
Forse non tutti sanno che l'anziano
Carl Gustav Jung si occupò di UFO (Unidentified Flying Objects) ovvero
“saucers, dischi, soucoupes, disks” in Su
cose che si vedono in cielo pubblicato da Bompiani nel 1960 due anni dopo
l'edizione zurighese dal titolo Ein
Moderner Mythus (che è titolo più sobrio e neutro). Nella nota di copertina
dell'edizione italiana era scritto che
“si trattava di una vertiginosa discesa nella notte dell'inconscio
collettivo, per cercare le radici archetipe di una suggestione ricorrente”,
dove convergono “religione, alchimia, arte, storia, etnologia, psichiatria e
filosofia” (non è poco!). Nel capitolo “L'Ufo considerato sotto l'aspetto non
psicologico”, Jung afferma quella che è la sua opinione sull'esistenza degli
stessi: “gli Ufo sono reali apparizioni materiali, entità di natura
sconosciuta, che provengono probabilmente dagli spazi e che erano già visibili,
forse da lungo tempo, agli abitanti della Terra”. Dalla fine della seconda
guerra mondiale “la loro presenza sembra essersi fatta più frequente di prima”.
È chiaro che “contenuti dell'inconscio si sono proiettati negli inspiegabili
fenomeni celesti”, dice l'analista. L'incremento delle visioni è legato da un
lato alle ipotesi di un “possibile viaggio nello spazio” (nota bene: siamo nel
1958), dall'altro alla “minaccia vitale che pesa sull'esistenza terrestre”. Le
forme rotonde e cilindriche degli Ufo rappresentano l'unificazione dei
contrari. A questo punto Jung parla dei contrassegni dei velivoli in Usa e in
Urss: “I primi hanno una stella bianca, gli altri una rossa a cinque punte. Per
circa un millennio, il rosso ha rappresentato il colore maschile e il bianco
quello femminile. Gli alchimisti parlavano di servus rubens (schiavo rosso) e della femina candida (donna bianca) che copulavano effettuando così la
suprema unificazione dei contrari”. A conferma della sua suggestiva intuizione
aggiunge che “quando si parla della Russia si ricorda volentieri il Piccolo Padre Stalin e si farfuglia di
matriarcato americano, dato che gran parte del capitale americano è in mano a
donne”. Conclude “argutamente” (termine suo) che rosso e bianco sono colori
nuziali e che essi gettano una luce “divertente” (idem) “sulla Russia nella
parte dell'amato riluttante o inascoltato della femina candida alla Casa
Bianca”. E dire che tanti, a suo tempo, ironizzavano su Peter Kolosimo
(1922-1984) autore di Non è terrestre
del 1968 (vincitore del Premio Bancarella) e Astronavi sulla preistoria (1972), ma anche dei precedenti Il pianeta sconosciuto (1957), Terra senza tempo (1964), Ombre sulle stelle (1966), e di vari
altri testi negli anni successivi fino a I
misteri dell'universo del 1982 (le sue opere sono state diffuse e tradotte
in sessanta paesi). Forse non tutti ricordano che pure la moglie di Peter,
Caterina Kolosimo, aveva scritto numerosi saggi di divulgazione scientifica,
tra cui Sopravviveremo al 1982?, in cui nei capitoli nono e decimo si
parla di UFO ed extraterrestri ed in particolare nel paragrafo La CIA,
l'URSS e gli UFO. Il volume che possedevo del Pianeta sconosciuto di Peter Kolosimo (un esemplare ammuffito della
dodicesima edizione, del 1974) era
collocato in una collana di Sugarco dove compariva un altro personaggio che
leggevo avidamente, a quel tempo, ovvero Leo Talamonti, ma anche altri autori
piuttosto suggestivi come Levy Howard (L'erotismo dei piedi cinese),
Tobias Schneebaum (Sono stato un cannibale), Alfredo e Angelo
Castiglioni (Africa ama) ed infine il nome celeberrimo, tra il 1971 e il
1972, del parapsicologo Massimo Inardi che vinse, partecipando alla
trasmissione a quiz Rischiatutto
condotta da Mike Bongiorno, più di 48 milioni di lire, un record assoluto
dell'epoca!
L'ottavo capitolo de Il pianeta sconosciuto (pubblicato la
prima volta nel 1957, un anno prima del libro del tardo Jung) si intitola I figli delle stelle (Alan Sorrenti, nel
1977, vent'anni dopo, canterà "Noi siamo figli delle stelle - senza
storia, senza età, eroi di un sogno" forse imitando l'altrettanta felice
sintesi che aveva dimostrato Emily Dickinson quando aveva scritto: “Per fare un
prato / basta un trifoglio e un'ape / un trifoglio, un'ape, e il sogno / Il
sogno basterà se l'ape se ne va”) e parla, tra l'altro, dei leggendari Kappas: "bipedi dagli arti palmati
e muniti ognuno di tre dita terminanti ad uncino, con il dito centrale
notevolmente più lungo", la cui "pelle è bruna, liscia, serica e
lucida, il loro capo sottile, le orecchie grosse, gli occhi stranamente grandi
e triangolari", che sulla testa portano un curioso cappello a quattro aghi
(antenne?) e il cui naso ha "l'aspetto di una proboscide che termina dietro
le spalle dove si unisce a una gobba a forma di cassetta", con molteplici
richiami alle forme che assumeranno in seguito vari celebri extraterrestri
cinematografici, ma che erano stabilmente presenti nel vasto arcipelago
dell'immaginario fantascientifico. I civilizzatori di Mu (il continente
scomparso che sorgeva nel Pacifico) sarebbero stati degli extraterrestri, dice
Kolosimo che, nel dodicesimo capitolo del suo libro, dichiarava di essersi
messo con successo Sulle tracce dello
Yeti e del suo omologo americano. Questo capitolo fa da contrappunto a
quello sopra citato sulle nostre ascendenze stellari, presentando i risultati
di accurate ricerche sull'esistenza reale degli "schiavi villosi"
(gli Yeti), sulla scorta anche degli studi della "Commissione per lo studio dell'uomo delle nevi", che
si era costituita presso l'Istituto antropologico a Mosca (ma erano i tempi
dell'URSS). Si intuisce facilmente che la coppia figli delle stelle/yeti si
approssima a quella che Jung unirà nello sposalizio alchemico un anno dopo.
Si deve riconoscere che, se poteva
apparire un fatto curioso e originale il matrimonio di Usa e Urss sotto il
segno degli UFO, si è assistito più volte, nel corso del secolo scorso, a
simili cerimonie, sotto gli auspici, di volta in volta, dell'imperialismo,
della burocratizzazione, della repressione, dello spettacolo etc. celebrate
spesso da distinti e talvolta esclusivi, se non settari e sinistri, ministri
del culto.
D'altronde già William Blake
(1757-1827) sosteneva che "l'immaginazione non è uno stato mentale: è
l'esistenza umana stessa" (the imagination is not a State: it is the Human
existence itself), ed egli era stato l'autore de The Marriage of Heaven and Hell (Il matrimonio del Cielo e
dell'Inferno) nel 1790/1793 (e Fernando Pessoa completava così: “Il poeta è un
fingitore / finge così completamente / che arriva a fingere che dolore è / il
dolore che prova davvero,”). Giuseppe Ungaretti è stato un appassionato
traduttore di poeti, da Luis de Gongora a Mallarmé (come si intitola una
raccolta di traduzioni del 1961) passando per Shakespeare, Racine, Esenin
(attraverso il francese) e, ciò che è notevole, William Blake. La casa editrice
Einaudi, nel 1996, aveva pubblicato una raccolta di William Blake, dal titolo Selected Poems, nella collana
"Scrittori tradotti da scrittori - Serie trilingue" in cui si poteva
leggere l'originale inglese, la traduzione italiana di Ungaretti (Ungaretti
aveva già pubblicato la sua traduzione "Visioni di William Blake" nel
1965) e la versione francese di Georges Bataille. Tra i Proverbi dell'Inferno (Proverbs of Hell - Proverbes de l'Enfer) si
trovava il seguente: "La strada dell'eccesso porta al palazzo della
saggezza" (The road of excess leads to the palace of wisdom - Le chemin de
l'excès mène au palais de la sagesse), che doveva piacere molto al francese.
La dimostrazione si trova ne La part maudite (La parte maledetta),
del 1949, e ne La nozione di dépense
(termine che si traduce più o meno con "dispendio" e che Bataille
adopera facendo riferimento alla mitologia del potlatch arcaico), il cui
concetto Bataille trasse dal Saggio sul
dono di Marcel Mauss (e che influenzerà in seguito, tra gli altri, Jean
Baudrillard, de Lo scambio simbolico e la
morte e Peter Sloterdijk, di Ira e tempo). Annamaria Laserra nel
saggio su Bataille lettore e traduttore
di William Blake, incluso nel citato volume Einaudi, afferma che la lettura
di Blake promosse "il momento inaugurale, il presagio della nozione di
dispendio", e che il detto "Exuberance is Beauty" (Esuberanza è
Bellezza), espresso in tre parole di purezza adamantina, potrebbe costituire
l'epigrafe de La parte maledetta e,
forse, "di tutta l'opera di Bataille".
Anche Jung si servì di Blake (in Tipi psicologici - Psychologische
Typen, 1921) interpretandone la psicologia nella categoria dell'introversione. Secondo Jung
"l'intuizione introversa percepisce tutti i processi che sono nel fondo
della coscienza in modo distinto quasi quanto la sensazione estroversa
percepisce gli oggetti esterni. In conseguenz, per l'intuizione le immagini dell'inconscio
non hanno minore dignità delle cose o degli oggetti". Queste parole sono
riportate da Georges Bataille nel saggio dedicato a Willam Blake (presente nel
già citato volume Einaudi), ma il concetto analitico di introversione lasciò
insoddisfatto il francese, per il quale l'interpretazione iunghiana informava
"più sulla teoria di Jung che sulle intenzioni di Blake" (come se
questa affermazione non avesse una sua ampia validità ed egli fosse
sicuro che non riguardasse anche la sua stessa interpretazione). Il
tratto interessante per Bataille era costituito dall'esuberanza della
fantasia di Blake, dal suo eccesso incoerente che andava enfatizzato e
"sottolineato" piuttosto che ridotto alla "chiarezza che la
psicoanalisi ha lo scopo di introdurre".
Bataille fu un intellettuale attratto
da una vasta congerie di interessi e tra di essi occupava un posto di qualche
rilievo anche l'economia, perché, seppure in modo obliquo ed eterodosso, di
essa si trattava in La parte maledetta, da cui è ricavata la seguente
dichiarazione: “l’attività umana non è interamente riducibile a processi di
produzione e di conservazione, e il consumo dev’essere diviso in due parti
distinte. La prima, riducibile, è rappresentata dall’uso del minimo necessario,
agli individui di una data società, per la conservazione della vita e per la
continuazione dell’attività produttiva: si tratta dunque della condizione
fondamentale di quest’ultima. La seconda parte è rappresentata dalle spese
cosiddette improduttive: il lusso, i lutti, le guerre, i culti, le costruzioni
di monumenti suntuari, i giochi, gli spettacoli, le arti, l’attività sessuale
perversa (cioè deviata dalla finalità genitale) rappresentano altrettante
attività che, almeno nelle condizioni primitive, hanno il loro fine in se stesse”.
Qualcosa come il limite dell'utile, come furono intitolati gli appunti
preparatori pubblicati in seguito e separatamente, cioè il potlatch, la
dépense, il dispendio. Un altro intellettuale irregolare, un poeta come Ezra
Pound (Bataille fu accusato di simpatizzare occultamente con il nazismo, mentre
Pound esplicitamente appoggiò il fascismo e, in quanto sua derivazione, il
nazismo), negli stessi anni, si interessò attivamente di economia ricavandone
una vasta gamma di giudizi piuttosto sprezzanti (dai direttori di giornali
riceveva inviti a collaborare di questo tenore: “Può scrivere qualche cosa
purché non di economia?”), a parte le consuete e più che note accuse di
demenza.
Al contrario di quanto accadde a
Bataille, le ipotesi e le suggestioni di Pauwels e Bergier a proposito del
nazismo mistico contribuirono al successo de Il mattino dei maghi, mentre
le esperienze dell'archelogia nazista con l'Ahnenerbe Forschungs und
Lehrgemeinschaft (Società di ricerca ed
insegnamento dell'eredità ancestrale) hanno fornito a I predatori
dell'arca perduta uno stereotipo narrativo.
Ezra Pound apparteneva al ristretto
gruppo di coloro che nell'introduzione al libro L'ABC dell'economia curata da Giorgio Lunghini sono definiti monetary
cranks, cioè degli economisti eretici per i quali il denaro ha
un'importanza essenziale (soprattutto nel causare i peggiori mali della
società), e non poteva essere marxista perché Marx “non trovò nulla da
criticare nel denaro”. Tuttavia quando Pound scriveva che è “innegabile che se
a nessuno venisse permesso di lavorare (in quest'anno 1933) più di cinque ore
al giorno, non ci sarebbe quasi più alcun disoccupato e alcuna famiglia priva
di titoli cartacei sufficienti per consentirle di mangiare” scriveva qualcosa
che oggi (ottant'anni dopo) piacerebbe (se lo sapessero, e forse è questa la
soluzione dell'enigma) agli estremisti nostrani. Paul Lafargue, che sicuramente
fu marxista e genero di Karl, avendo sposato Laura Marx, scrisse Le Droit à
la paresse (Il diritto all'ozio) mentre era imprigionato nel 1883, ed Ezra
Pound, cinquant'anni dopo, scrisse in ABC of economics (L'ABC
dell'economia) che “l'ozio è tempo libero liberato dall'ansia”. Neanche
I situazionisti avrebbero saputo definirlo meglio. Carlo M. Cipolla (per
tornare al nostro autore) aveva dimostrato di essere un appassionato di monete
(ma non nel senso di Ebenezer Scrooge o di Paperon de' Paperoni ovvero, nella
lingua originale, Scrooge McDuck) essendo l'autore de Le avventure della
lira (e di saggi come Il governo della moneta a Firenze e a
Milano nei secoli XIV-XVI e di vari e numerosi altri), in cui, con
erudizione ed arguzia, tracciava la storia della nostra moneta (“La lira moneta
nacque come moneta materialmente inesistente, come pura unità ideale di conto. La
gente cominciò a parlare di lire, a trattare e vendere in lire, senza che
alcuno mai avesse visto o toccato una lira in forma di moneta. La lira venne al
mondo come moneta-fantasma. Il curioso è che rimase un fantasma per quasi mille
anni.”) tornata ad essere di nuovo un fantasma o addirittura uno spauracchio
utile nei comizi politici. Ezra Pound partecipò al programma radiofonico American
Hour con Radio Roma nel 1940/41 e collaborò con Radio Tevere (Milano)
durante la Repubblica Sociale Italiana. Quando, dopo essere stato catturato dai
partigiani, fu consegnato alle autorità americane venne rinchiuso in una gabbia
all'aperto per tre settimane (ed in seguito ad un collasso fu trasferito in
infermeria) all'interno di un campo di concentramento presso Pisa (una versione
primitiva di Guantanamo). P.G. Wodehouse, dopo un anno di internamento in
Francia, fu condotto dai tedeschi a Berlino, alloggiato all'Hotel Adlon, ed
invitato a parlare “liberamente” (le virgolette non sono mie) alla radio delle
sue esperienze di prigioniero. Dopo cinque discorsetti dei suoi ai microfoni
della radio fu liberato e poté tornare in America, proprio in coincidenza con
l'avvio dell'operazione Barbarossa (e che, nell'invasione dell'URSS,
Wodehouse possa aver avuto un qualsiasi ruolo, anche se del tutto marginale,
suscita un effetto più sbalorditivo dei vertiginosi trucchi del mestiere
dell'umorista inglese; non è un giudizio mio, e se lo integro nel discorso è
solo perché vi si inserisce bene). Tuttavia quanto meno il fatto che si fosse
prestato alla propaganda goebbelsiana fece sdegnare i fieri britannici che
boicottarono i libri dello sprovveduto chiacchierone (è il meno che si può
dire). Coraggiosamente (e inaspettatamente per chi non lo conosceva) fu George
Orwell, nel 1945, pubblicando In difesa di P.G. Wodehouse, ad aprire la
via della riabilitazione tra i connazionali ancora frementi. Questo scrivevano
Fruttero e Lucentini nell'introduzione al meraviglioso Lampi d'estate.