Nicola Caricola
The Penitent
Trarre un film da un dramma di David Mamet è
consuetudine per Luca Barbareschi, che, nemmeno trentenne, col Teatro Stabile
di Genova il 20 dicembre 1985 firmava la regia di Glengarry
Glen Ross, con cui Mamet aveva vinto il
premio Pulitzer.
Quasi 40 anni dopo, il sodalizio Mamet-Barbareschi funziona anche con The
Penitent, film presentato alla Mostra di Venezia
del 2023, che sarà nelle sale dal 30 maggio. A fine stagione, cioè, come se si
volesse nasconderlo.
The Penitent racconta le conseguenze personale
su un esponente della maggioranza silenziosa del terrorismo intellettuale di
una minoranza sediziosa.
Psichiatra di successo a New York City, sebbene di origine
latino-americana, Carlos Hirsch (cognome della madre
di Barbareschi, nato a Montevideo nel 1956) è attaccato dal più noto quotidiano
cittadino. Infatti un suo giovanissimo paziente ha fatto una strage, ma
soprattutto l’ha fatta motivata col disprezzo del suo medico per lui. Il
quotidiano insiste per giorni sulla vicenda, fino a sostenere, falsificando un
testo, che lo psichiatra avesse definito aberrante l’omosessualità. Ciò induce
alcuni attivisti ad assediare lo studio del medico. Peggio: la difesa dello
stragista chiama il medico a testimoniare nel processo. Un giovane e azzimato sostituto
procuratore di colore interroga, in fase istruttoria, il medico e gli nega il
diritto al segreto professionale, contestandogli di aver subito l’influenza del
giudaismo.
La macchia umana di Robert Benton (2002), tratto dal romanzo di Philip Roth (Einaudi),
è l’unico precedente importante sul grande schermo ad aver raccontato i
risvolti del clima da incubo degli Stati Uniti nel dopo-guerra fredda, che ha
sostituito il clima da incubo della guerra fredda.
Più asciutto di Benton, con The Penitent Barbareschi
non cede all’autocompatimento, sebbene il titolo suggerisca nel personaggio un
senso di colpa che affiora solo nel finale e per tutt’altre ragioni rispetto a
quelle per le quali viene perseguitato. Il film pone una questione per lo più
rimossa: si può ancora manifestare una fede religiosa contro una laicità ormai
intollerante quanto i monoteismi?
In un’opera personalmente sentita, Barbareschi-attore è sobrio come lo
vuole Barbareschi-regista. Il film, quasi tutto girato in interni, ha
un’impronta teatrale solo nella seconda parte. E anche se all’inizio lo sembra,
non è un film a tesi.
Se vi annoiano i luoghi comuni; se nella semplicità riconoscete l’inganno
dei semplificatori, questo è il film per voi.
“barbadillo”, maggio 2024