Wendy McElroy

prostituzione: decriminalizzare, non legalizzare

intervista a cura di Giorgio Bianco

con una segnalazione a cura di Francesco Rocchio

Boystown - la zona de tolerancia

con saggi di Keith Carter, Dave Hickey, Cristina Pacheco e una postfazione di Bill Witliff, Aperture, New York 2000*

In collaborazione con la Witliff Gallery of South Western and Messican Photography presso la South West Texas State University

Nei primi anni settanta con il nome di Boystown-la zona de tolerancia era indicato, lungo il confine fra Texas e Messico, un agglomerato di bordelli . Il mito della vita notturna attirava in questo luogo legioni di cowboys, studenti, braccianti, camionisti, criminali, religiosi e padri di famiglia. Qui, ascoltando la musica delle tejano bands, si davano ai bagordi,tracannando liquori dozzinali, per finire col sesso a pagamento. La zona era circondata da un alto muro di mattoni sormontato da filo spinato e cocci di vetro. Una volta varcato l'ingresso, sempre piantonato, l'avventore aveva la possibilità di scegliere tra diversi postriboli. In mezzo a questa folla gaudente, un piccolo gruppo di fotografi ebbe modo di lavorare documentando il tutto. Nel 1974 lo sceneggiatore e fotografo Bill Wittliff arrivò a Boystown, contattò alcuni di questi fotografi e raccolse migliaia di negativi. Una scelta di queste foto compoare per la prima volta in questo volume di Aperture.

Francesco Rocchio

* visita qui il catalogo di Aperture

Femminista libertaria, Wendy McElroy è la curatrice di Freedom, Feminism and the State (Cato, 1983), che fornisce una prospettiva storica del femminismo individualistico negli Stati Uniti, e ha pubblicato, tra l’altro, XXX: A Woman's Right to Pornography (St. Martin's Press,1995), Sexual Correctness (McFarland, 1996), e The Reasonable Woman: A Guide to Intellectual Survival (Prometheus Books, 1998).

Recentemente, la rivista dei gesuiti, "Civiltà cattolica", ha riproposto la riapertura delle "case chiuse", che erano state abolite circa quarant’anni or sono dalla "legge Merlin". La prostituzione - sostengono i gesuiti – non potrà mai essere completamente abolita, e dunque questo sarebbe il male minore. Di fatto, sembra che, in Italia, il dibattito riesca a prendere in considerazione due sole alternative: o il proibizionismo, o la "prostituzione di Stato". Che ne pensi?

Sia la proibizione che la legalizzazione (ossia, la prostituzione di Stato) sono forme di controllo governativo sulla sessualità e sui corpi delle donne. Come femminista individualista, propendo per la terza alternativa, quella della decriminalizzazione. La differenza tra legalizzazione e decriminalizzazione è questa: la legalizzazione comporta quasi sempre una regolamentazione governativa, come la registrazione obbligatoria presso la polizia, mentre decriminalizzazione implica che il governo non è in alcun modo coinvolto.

In America, alcune aree dello stato del Nevada hanno bordelli legali. Ho intervistato personalmente prostitute che lavoravano in due di essi, e si lamentavano amaramente delle loro condizioni lavorative. Per esempio, avevano perduto ogni autonomia nel determinare i loro orari e le percentuali da pagare. Allo stesso tempo, le prostitute che volevano essere indipendenti e lavoravano al di fuori dei bordelli erano oggetto di particolari maltrattamenti da parte della polizia. Chiaramente, a Las Vegas, la prostituzione legale è un sistema con cui il governo può lucrare alle spalle delle donne. Non è un caso che il Movimento Americano per i Diritti delle Prostitute, che è composto in larga misura da lavoratrici del sesso, sia contrario alla legalizzazione e favorevole alla decriminalizzazione.

I gesuiti chiedono però che venga mantenuta la proibizione di esercitare la prostituzione in luoghi esposti al pubblico. Pensi che una ri-privatizzazione dei luoghi, pubblici, ovvero delle aree requisite dal demanio statale (strade, piazze, ecc.) possa contribuire alla soluzione del problema, sia per i cittadini che – comprensibilmente – non vogliono assistere ad atti di mercimonio sessuale, sia per le prostitute che vogliono organizzarsi?

E’ certo vero che privatizzare gli spazi pubblici eliminerebbe, in gran parte, il problema del "disagio pubblico", non solo in relazione alla prostituzione, ma anche ai mendicanti e ad altri soggetti il cui accesso potrebbe essere negato dai proprietari. Un modo più immediato di mantenere le prostitute al di fuori delle strade, comunque, è quello di consentire loro di creare i loro business o di operare liberamente dalle proprie abitazioni.

Non conosco la situazione della prostituzione in Europa così bene come quella del Nord America. Qui, solo una piccola percentuale delle prostitute lavora in strada. Sebbene le stime non siano concordi, dal 5 al 15% delle prostitute sono "passeggiatrici". Per il resto, sono ragazze squillo, accompagnatrici, operatrici di saloni di massaggi, o donne (come le spogliarelliste) che fanno le prostitute solo occasionalmente. Per la maggior parte, esse scelgono di non andare sulla strada, perché si tratta di un luogo pericoloso, dove le condizioni di lavoro possono essere terribili. Queste donne preferiscono di gran lunga la sicurezza, l’atmosfera professionale e le condizioni confortevoli (per esempio, il caldo) degli appartamenti privati. Se si vogliono togliere le prostitute dalla strada, allora bisogna consentire loro di mettere in piedi attività in proprio.

Poi, ci sono altri fattori in gioco. Qualunque cosa la legge dica della prostituzione, io mi aspetterò sempre una disapprovazione sociale nei confronti delle prostitute. E’ nell’interesse delle prostitute stesse - specialmente di quelle che hanno famiglia o altri lavori – essere più discrete possibile, per evitare le ostilità di coloro che costantemente le condannano. Anche per questo, è nel loro interesse togliersi dalla strada.

Una proposta del ministro italiano per le Pari Opportunità, Livia Turco, parlava di consentire alle prostitute di organizzarsi in aziende, ma solo sotto forma di cooperative. Non ritieni che, invece, le prostitute dovrebbero essere libere di creare aziende di servizi sessuali, secondo le forme e gli assetti societari che preferiscono, e non solo in cooperative?

Assolutamente sì. In Australia, un bordello sta seriamente prendendo in considerazione l’ipotesi di diventare "pubblico", nel senso che sta cercando di quotarsi in borsa, e ha annunciato l’intenzione di emettere azioni. In Nord America, i lavoratori del sesso già si associano in varie forme, allo scopo di proteggersi dai maltrattamenti della polizia e da altri aspetti negativi del lavoro. Per esempio, molte ragazze squillo che ho intervistato hanno una rete di amiche, e si tengono informate tra loro riguardo ai clienti che non pagano o che le trattano male. Sulla strada, le donne hanno spesso un amico che prende nota del numero di targa dell’auto su cui salgono, in modo che la macchina possa essere rintracciata se accade loro qualcosa di violento.

La prostituzione è come qualunque altro business. Non c’è un solo modo di organizzarla. La forma che assume dipende da molti fattori, come le varie personalità dei soggetti coinvolti e ogni circostanza soggetta a cambiamenti.

Wendy, tu ti definisci una "femminista individualista", e contrapponi questa forma di femminismo a ciò che chiami "femminismo di genere". In che cosa queste due interpretazioni differiscono?

Le femministe individualiste ritengono che lo slogan "il corpo di una donna, il diritto di una donna" debba essere esteso ad ogni scelta che una donna possa compiere, purché questa non leda i diritti altrui. Noi riteniamo che la libertà e la differenza siano un beneficio per la donna, indipendentemente dal fatto che le scelte compiute dalle donne siano "politicamente corrette". Le femministe individualiste rispettano tutte le scelte sessuali, dalla maternità alla pornografia. Come prezzo della libertà, le "ifeminists" (femministe individualiste, n.t.) accettano di essere individualmente e personalmente responsabili delle proprie stesse vite. Esse non chiedono al governo privilegi più di quanto accettino che il governo abusi di loro. Al contrario, esse guardano al privato e al "libero mercato" come soluzioni per i problemi politici. In breve, il femminismo individualista rivendica libertà, possibilità di scelta e responsabilità personale. Nel far questo, noi abbracciamo calorosamente gli uomini come compagni di strada da stimare e come partner di vita.

Il "femminismo di genere" è profondamente anti-individualistico, in quanto divide la società in due classi, uomini e donne. Esso ritiene che le donne siano vittime degli uomini che usano il sistema patriarcale – un miscuglio di cultura maschile bianca e di capitalismo – come strumento di oppressione. Così, le femministe contemporanee hanno finito per coalizzarsi rabbiosamente contro gli uomini. Molte "femministe di genere", inoltre, attaccano le donne che dissentono da loro, per esempio le donne che amano consumare pornografia, o posare per essa. Queste femministe, per di più, attaccano il libero mercato e le soluzioni privatistiche, chiedendo invece al governo di limitare la libertà attraverso codici di linguaggio come quelli che pretendono di vietare le molestie sessuali verbali. In breve, le "femministe di genere" rivendicano il controllo governativo, la limitazione di scelte "inaccettabili", e ritengono che le donne siano vittime, e non esseri umani indipendenti.

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