lettera da Hawthornden
Le fondazioni che ospitano
scrittori e studiosi sono istituzioni benemerite. In Italia si conosce molto la
splendida Rockefeller a Bellagio, un po’ meno la sua sorella minore, la
Fondazione Bogliasco presso Genova. Spesso l’impulso viene dagli Usa, ma gli
ospiti sono sempre raccolti imparzialmente fra i diversi Paesi, e gli europei e
gli italiani in particolare sono abbastanza avvantaggiati perché è premura di
queste fondazioni dimostrare che esse dialogano con le culture in cui sono
calate. Alla Bogliasco ho mandato un paio di giovani americanisti italiani.
Altra questione è se uno studioso o scrittore italiano maturo sarebbe tentato
da un periodo di lavoro in un luogo magari bellissimo ma in fondo non lontano
da casa. Forse accetterebbe piuttosto l’invito se gli venisse dall’estero.
Negli Stati Uniti sono molte le fondazioni i cui nomi
ricorrono nelle biografie degli scrittori più e meno degli ultimi
cinquant’anni: Yaddo, MacDowell, Virginia Center for the Creative Arts, la
rigorosamente femminista Hedgebrook (creata per offrire alle scrittrici la
libertà dagli impegni domestici che è di solito, dicono, indiscusso privilegio
maschile). Di solito queste oasi sono situate in luoghi appartati, i visitatori
hanno ciascuno a disposizione uno studio isolato e non sono disturbati per
tutto il corso della giornata. A pranzo ricevono un vassoio davanti alla porta,
a cena si riuniscono nella sala comune per confronti, discussioni, letture.
Queste residenze americane, una volta che una domanda è stato accettato,
chiedono al’ospite di contribuire alle spese nel limite delle sue
disponibilità, qualche decina di dollari al giorno ad esempio. Ma non vi è
obbligato.
Io sono alla prima esperienza di questo tipo, in tutt’altro
contesto: la Scozia. A sud di Edimburgo è Hawthornden Castle, famoso perché vi
visse il poeta e poligrafo William Drummond (fra i primi scozzesi a scrivere in
inglese), che nel 1619 vi ospitò il grande Ben Jonson, amico di Shakespeare, il
quale pare abbia fatto il viaggio da
Londra a piedi. (Le sue conversazioni con Drummond, registrate da quest’ultimo,
sono preziosissime e maligne: di Shakespeare si limitò a dire che egli “lacked
art”, mancava d’arte.) Oggi Hawthornden Castle è una comoda villa su un dirupo
circondata da boschi. Ospita da febbraio a dicembre (saltando agosto) gruppi di
sei scrittori per periodi fissi di quattro settimane. Si fa domanda, si chiede
un certo periodo, e ci si augura di trovare dei simpatici compagni di ritiro.
Infatti qui la regola è abbastanza rigorosa: prima colazione alle 8, poi
silenzio fino alle 18.30 quando ci si incontra (tempo permettendo) sulla
terrazza donde la regina Vittoria e il principe Alberto godettero la vista
della boscosa vallata e ascoltarono il mormorio del torrente Elk sottostante.
Alle 19 si cena e poi si resta volendo a conversare nel comodo salotto Laura
Ashley con grandi ritratti di Capote, Calder, Cocteau, Auden... Naturalmente
nel corso della giornata si è liberi di esplorare i dintorni, fare una scappata
a Edimburgo, ma senza interferire con il lavoro degli altri. I messaggi
telefonici e la posta eventualmente giunti vengono lasciati fuori dalla porta con
il vassoio del pranzo. L’opuscolo informativo avverte giustamente di pensarci
bene prima di fare domanda. Le stanze fra l’altro sono piuttosto piccole.
Ognuna porta il nome di un illustre scrittore, e sotto sono aggiunti i nomi di
tutti coloro che vi hanno partiorito le loro opere. C’è una piccola biblioteca,
e una raccolta di tutti i libri scritti a Hawthornden, che ha avuto ospiti
celebri. Ma ho qualche dubbio che gli amici scrittori italiani vorrebbero o
potrebbero sottoporsi a questo regime.
Io sono stato fortunato e mi sono trovato assegnato una
stanza grande, intitolata nientemeno che a W.B. Yeats. Mi ero portato una
traduzioni da rivedere e introdurre, e un lavoro da iniziare: un
volume di poesie di Robin
Robertson, poeta scozzese, quarantacinquenne, che è capitato a pennello, visto
che nel suo libro, Camera obscura (A Painted Field
nell’originale), c’è tutto un poemetto ambientato a Edimburgo, con molti
riferimenti alla topografia e alla storia della città (“latrina fumante”). Sono
stato fortunato anche nei compagni. Carmine Starnino, contrariamente a quanto
il nome fa pensare, è un poeta canadese sui trent’anni, autore di un libro
intitolato Credo in cui parla anche del suo retroterra italiano.
E’ reduce da un soggiorno di tre mesi in una fondazione canadese nello
Yukon (Burton House Writers’ Retreat, Dawson City). Appartiene forse alla
categoria degli scrittori (ce ne sono) che passano la vita trasferendosi di
fondazione in fondazione? No, ma è celibe (ancora per poco: sposa una ragazza
italiana-canadese in autunno) e la possibilità di vivere e lavorare per qualche
settimana a costo zero non gli dispiace. Poi c’è Alison Anderson, narratrice
californiana che sta scrivendo un romanzo ambientato in Grecia, e una
pittrice-narratrice scozzese, Helena McEwen, il cui primo romanzo, The
Big House, è esposto nelle vetrine delle librerie di Edimburgo. Dal
sudest inglese (e fresca dal Virginia Center) viene la poetessa Susan Wicks,
che sta scrivendo un romanzo ambientato lungo la Manica e che sento battere il
suo vecchio word-processor nella stanza accanto. Tutti sono alla prima
esperienza qui tranne Hilary Spurling,
biografa d’eccezione, autrice di volumi molto apprezzati su Ivy
Compton-Burnett, il trascurato Paul Scott e recentemente Matisse. Di questa biografia
– che ha rivelato un Matisse tragico che nemmeno gli storici dell’arte
immaginavano -- ha pubblicato il primo volume, e prima di affrontare il secondo
compone ora un breve saggio biografico sulla moglie di George Orwell, Sonia, di
cui è stata amica, a torto (dice) bistrattata dagli orwelliani. Si sa, la
biografia è un genere in cui gli inglesi eccellono, e si capisce perché vedendo
la serietà e finezza con cui lavora Spurling. Ha scritto tre biografie
importanti, e dice che non ne scriverà più di un altro paio, tanta parte della
sua vita ognuna di esse si è presa. Sogna i suoi personaggi.
Nelle fondazioni c’è sempre naturalmente chi manda avanti
il tutto, si assicura che gli ospiti siano ben sistemati e anche in qualche
modo disciplinati. A Hawthornden è una giovane americana, Amy, studentessa medievista all’Università
di Edimburgo, che è efficiente e decisa nel tenerci tutti in riga. Ha fatto
tante cose, e ora ha trovato un lavoro ideale che le permette di mantenersi
agli studi lontano da casa. Sul Castello aleggia lo spirito della padrona di
casa, Drue Heinz, attuale editrice della gloriosa “Paris Review”,
che divide il tempo fra Londra e New York e ha lasciato istruzioni precise su
come devono essere costruiti i menù e sull’ostracismo alla posta elettronica. E
veramente ci ha offerto un nido comodo e produttivo. Si dice che venga qui ad
agosto per godersi coi suoi amici il Festival di Edimburgo, fra i più ricchi di
offerte che si conoscano (c’è anche un festival letterario, tre settimane intensissime).
Nella stanza di lettura che dà sulla vallata sfoglio i libri
scritti a Hawthornden, con le dediche dei residenti (tenuti a dichiarare
l’ospitalità ricevuta nei libri stessi, pena la non riammissione in questo Eden
brumoso). Fra essi la govanissima Zadie Smith, londinese di madre giamaicana (Denti bianchi). E
l’ironica poetessa Wendy Cope, che in una poesia racconta di aver cercato di
ispirarsi passeggiando nella forra ma di aver solo trovato un coniglio
decapitato accanto a un corvo stecchito e di aver passato foglietti preoccupati
sull’argomento ai compagni di reclusione (“Non ci è permesso di parlare”). E
c’è chi dice che gli scrittori se la passano comoda. Comunque, mi dice Hilary
Spurling, qui almeno scrivere non è considerato una perversione.
“L’Indice
dei Libri del Mese”, 1, gennaio 2002
Informazioni
sul Hawthornden International Retreat for Writers si possono chiedere a The
Administrator, Hawthornden Castle,
Lasswade, Midlothian, Scotland EH18 1EG