Charles de Jacques

autunno a Parigi

Con la mostra D’un regard l’Autre – dove lo sguardo è quello degli europei sull’Africa, le Americhe e l’Oceania – si è inaugurata a Parigi la “galleria-giardino” del nuovo Muséè du Quai Branly aperto in giugno. Fino al gennaio 2007, tante opere di arte “altra” appartenute agli artisti delle avanguardie storiche e un percorso che ha allineato reperti come quelli collezionati nelle wunderkammern dell’età moderna ai prodotti degli interscambi afro-portoghesi. Pregevole l’autunno scorso a Parigi è stata l’offerta di mostre fotografiche. Partendo da un fondo di circa 500 lastre fotografiche ritrovate fra le raccolte della Bibliothèque historique de la Ville de Paris, è stata allestita, presso la stessa,  sotto la direzione di Jean Barronet, una mostra dedicata a  Les Parisiens du temps de la commune, 1871 (9 novembre 2006-4 febbraio 2007). Le fotografie furono scattate da un ricco farmacista appassionato della ancor nuova tecnica di riproduzione, Hyppolite Blanchard (1843-1924), che si è rivelato un artista efficace nel riprendere sia lo svolgimento della vita nel corso di quegli avvenimenti sia nel tratteggiare la città e le sue periferie. Altra mostra fotografica che ha avuto inizio in autunno è quella dedicata al settimanale Vu (Maison Européenne de la Photographie, 2 novembre. 2006-25 febbraio 2007) che negli anni venti prese ad utilizzare largamente il mezzo fotografico, adeguandovi le pagine con invitanti soluzioni visive. La rivista allineava una profusione di immagini d’agenzia al lavoro di fotografi indipendenti del calibro di Kertész, Man Ray e Brassaï rivoluzionando in Francia il profilo della stampa periodica.

Per quanto eccezionale sia stato il ritrovamento delle foto di Blanchard e interessanti le altre mostre, l’autunno parigino del 2006 si è svolto prima di tutto all’insegna di Walt Disney  attraverso ciò che gli hanno dedicato al Grand Palais, vale a dire Il était une fois Walt Disney. Aux sources de l'art des studios Disney, la mostra curata da Bruno Girveau per illustrare le fonti soprattutto iconografiche, ma anche letterarie e folcloristiche, della fantasia del “genio di Burbank”, Walter Elias Disney altrimenti detto “uncle Walt”. Qualcosa del genere era stato allestito tempo fa al Pompidou attorno ad Alfred Hitchcock e ci sarebbe da sperare che, sempre qualcosa del genere, venisse dedicato al cinema in toto. Ci sarebbe molto da scavare, ma ci sarebbero anche reperti assai evidenti come, ad esempio, quelli “metafisici” di un film troppo poco ricordato come l’incommemsurabile Pandora (1951) diretto da Albert Lewin.

A parte le coordinate immaginifiche, la mostra parigina ha il merito indiscutibile (e in qualche modo involontario) di portare alla ribalta “come autore” (in un certo senso come  primo “regista”) un produttore cinematografico, ovvero la sua compagnia di produzione. Il fatto è che si tratta di Walt Disney che, come ad esempio Mack Sennet, è la firma principale e riconosciuta delle opere uscite dai suoi studios. Già con un  produttore pur con una forte personalità come Selznick il discorso cambia: considerato autore, o co-autore con Victor Fleming, di Via col vento, passa in secondo piano con Rebecca di cui pare indiscutibile l’autorialità di Hitchcock. E gli Zanuck, i Ponti e tutti gli altri? E gli sceneggiatori? La questione non è nuova, ma anche le mostre potrebbero dare un contributo a porla nel verso giusto.

Al cinema, o meglio a una metafora cinematografica, si richiama uno dei libri che hanno marcato la stagione francese, Rosebud. Éclats de biographies di Pierre Assouline, edito da Gallimard. Come biografo Assouline è noto in special modo per la vita di Simenon (Gallimard, 1996), ma al suo attivo ne ha diverse, tutte voluminose. Preziosa quella di Albert Londres. Vie et mort d'un grand reporter  (Gallimard 1990) e non si possono non ricordare almeno quelle dedicate a Hergé  (Gallimard, 1998), il creatore di Tin Tin, e a Henri Cartier-Bresson (Gallimard, 2001). La metafora del nuovo libro, Rosebud, è quella del Citizen Kane di Orson Welles, una parola pressoché equivalente alla “madeleine” proustiana (si ricorderà, Rosebud, bocciolo di rosa, era scritto sullo slittino sul quale gioca Kane bambino, ma si saprà alla fine del film quando dopo la morte del protagonista vengono bruciati alcuni manufatti presenti nella sua imponente e gelida magione). Le “schegge” di biografia improntate al senso di questa metafora, “ombre di verità” dice Assouline, riguardano personaggi diversi come Rudyard Kipling, Henri Cartier-Bresson, Paul Celan, Jean Moulin, Lady Diana, Picasso, Pierre Bonnard.

In campo biografico voglio segnalare anche “l’Artaud” di Florence de Meredieu, C’était Artaud , pubblicato da Fayard (che, fra l’altro, ripropone in una nuova edizione anche la biografia di Claude Cahun dovuta a François Leperlier). Florence de Meredieu è insegnante universitaria specializzata in arte moderna e contemporanea. Ad Artaud aveva consacrato, editi con Blusson, altri quattro libri: Antonin Artaud, Portraits et Gris-gris (1984), Antonin Artaud, Voyages (1992), Antonin Artaud, les couilles de l'Ange (1992) e Sur l'électrochoc, le cas Antonin Artaud (1996).

Ricordo inoltre che Fayard continua la saga di Sanantonio con i romanzi di Patrice Dard, figlio di Frédéric, l’indimenticato creatore del frizzante personaggio e del suo aiutante Béru. Sanantonio si avvia a diventare qualcosa come Nick Carter, Sexton Blake o James Bond. Il nuovo romanzo si intitola San-Antonio contre San-Antonio. Nella serie delle “nuove avventure di Sanantonio” di Patrice Dard, Fayard ha già pubblicato Corrida pour une vache folle, Un Pompier nommé Béru, Les Escargots ne savent plus baver, Ça se corse, Le Silence des anneaux, San-Antonio tient le bambou, San-Antonio priez pour nous!, Le San-Antonio Code e San-Antonio Shocking!.