Carlo Luigi Lagomarsino
arti variamente intese
Alessandro Dal Lago -
Serena Giordano: GRAFFITI. Arte e ordine pubblico. Il Mulino, 2016 |
Roberto Cotroneo: LO SGUARDO ROVESCIATO. Come la fotografia sta cambiando le
nostre vite. UTET, 2015 | Arthur C. Danto: CHE
COS'È L'ARTE. Johan & Levi, 2014 | Massimiliano Parente: IL PIÚ
GRANDE ARTISTA DEL MONDO DOPO ADOLF HITLER. Mondadori, 2014
Se c'è un libro sull'arte contemporanea che non solo ho letto con spasso - e già questo non è poco - ma con ampio favore e convinta adesione agli assunti di base, questo non è un trattato di filosofia e sociologia dell'arte - di norma poco attraente - ma un romanzo di Massimiliano Parente: Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler. Intendiamoci, ma penso sia già chiaro, le importanti citazioni e quella solennità d'insieme che si nutre di grandi fatti, enormi conseguenze e pensiero smisurato che caratterizza gli studi specialistici, convincenti il più delle volte solamente nel caso si voglia essere convinti per l’appunto dalle citazioni e dagli ammiccanti rinvii alla grandiosità del contesto, rimangono fuori dal raggio del libro, che cede piuttosto alle inclinazioni comicamente autolesionistiche ma megalomani del suo autore, che qui fa parlare un signor nessuno grande artista per caso, furbizia e insolenza.
Gli storici e i critici d'arte hanno fissato una serie di punti fermi "progressivi" sui quali convengono anche coloro che sarebbero portati a criticarli per gusti e orientamento ma che, non avendo di solito la forza per farlo, si limitano ad aggiungerne altri di altra tendenza. Ognuno di questi punti, che altro non sono che dei nomi, viene giustificato attraverso un ambiente storico dove la storia è a sua volta una serie di punti che non ne rispettano la complessità. Benché la trama sia ingarbugliata da soluzioni tenacemente sofisticate, il canovaccio è modesto al limite dell'ingenuità.
Storici e critici dicono di preoccuparsi di riconoscere l'opera d'arte quando si manifesta ma in realtà accertano di solito soltanto quello che è già stato riconosciuto attraverso un concerto di modalità e interessi non sempre puliti. Un teorico come Arthur C. Danto - non dei peggiori e al quale, se non altro, va riconosciuto più che a tanti suoi colleghi il pregio di un'ammirevole linearità - risolve ogni questione in proposito distinguendo fra espistemologia - che si occuperebbe del riconoscimento in senso stretto ma cosa riconosca in quanto arte non è per niente chiaro se non affidandosi al cosiddetto "intenditore" - e ontologia - ciò che l'arte è per potersi riconoscere e finire nei musei, e preciserei, come ciliegina sulla torta, la lettura fenomenologica attraverso la quale l'opera d'arte stessa, una volta interrogata, ci direbbe qual è la sua essenza. A me paiono soltanto paroloni e la distinzione speciosa.
Al riconoscimento dell'arte non sono estranee le procedure di esclusione legate alla distinzione e al censo. Negli anni Sessanta del secolo scorso non mancava la convinzione che l'arte partecipasse alle trasformazioni in atto e, nei suoi più infiammati partigiani, che ne fosse addirittura la punta avanzata ancorché gli attori maggiormente implicati in quelle trasformazioni la tenessero in scarsa o nulla considerazione. Oggi come oggi sembra essersi tuttavia ridotta, senza perdere di vista come sempre la posizione sociale, ai soliti poco passionali investimenti. Il riconoscimento dell'arte passa per quello sociale, come la Ferrari o la villa in Sardegna. Fortunato chi se la gode? Non è facile rispondere, poiché non è chiaro ciò di cui si dovrebbe godere.
Si guardi alla fotografia, che è sempre citata fra le cause dell'allontanamento dell'arte dall'imitazione del reale e che è oggi uno strumento talmente disponibile a tutti (Roberto Cotroneo ne ha fatto un racconto accurato dei suoi sviluppi estetici, massivi e coatti) da poterne dedurre la fine come elemento di distinzione. Invece è proprio adesso che la fotografia ha fatto un salto di posizione combinandosi in maniera prepotente con tutta quell'arte visuale che non è più, quantomeno non completamente, il sapere tecnico di un tempo, ma che assurdamente non è in ogni caso di tutti (e se lo fosse nessuno, per distinguersi, ragionevolmente la vorrebbe). "Il problema in un contesto dove puoi trovare opere di arte contemporanea, dice il più grande artista del mondo dopo Adolph Hitler raccontato da Massimiliano Parente, "è che tutto può essere un’opera: credi che sia un secchio della spazzatura e butti una gomma dentro un Arman, ti sembra un Twombly e invece è solo uno scarabocchio del nipotino."
Ma è arte, cribbio, cosa credete?
In questa situazione la
venuta di artisti in fieri come i "graffitisti" ha posto molte
velleità in una posizione mediana che vede molti aspiranti trasformarsi in una
specie di uomini d'azione tinti di sovversivismo, ma relegati comunque in un
anonimato dal quale "la firma", a parte celebrità come Bansky, non li solleva (mentre certi loro lontani colleghi
sfruttano nelle gallerie e nei musei ciò che è stato intessuto scarabocchiando
sui muri delle città). Ne sono nati dei problemi non soltanto estetici ma di
ordine pubblico - con rimostranze dei cittadini e talvolta con insoddisfacenti
condiscendenze amministrative - e di imbarazzo critico. Dal Lago e Giordano in Graffiti
delineano l'estensione di questi problemi fin nelle conflittualità che generano
come il problema dei problemi - e con molte e dettagliate ragioni - dell'arte
contemporanea e del suo stare in società. "Se c'è un fenomeno che illustra
a meraviglia il funzionamento tautologico e circolare dei meccanismi sociali in
un mondo complesso", dicono, "si tratta proprio dei graffiti e delle
campagne per cancellarli".
“Fogli di Via, novembre 2016