Wolf Bruno

larte cruda 5

“Se Dio esistesse andrebbe abolito” scriveva Bakunin capovolgendo una celebre frase ascritta a Voltaire. L’uomo aveva bisogno di libertà e non di padroni, fossero anche celesti. Ma la vita, in presenza di autorità non richieste, va anche resa tollerabile e “l’oppio dei popoli” ha svolto fin qui con irragionevole efficacia la sua funzione. Quando il giovane socialista Benito Mussolini diede un po’ del tempo segnato sull’orologio al Signore dei cieli affinchè si mostrasse, e non si mostrò, convinse forse lì per lì il suo pubblico, chissà poi se tutto, ma in fin dei conti esibì semplicemente un debutto nella teatralità della quale in seguito avrebbe abusato.

Dio è ancora dov’era, può darsi con qualche acciacco in più e un trono malfermo, viene magari da pensare, ma c’è, lo dimostrano i suoi rappresentanti in terra, per quanto vacillanti possano essere anche loro. E c’è anche l’oppio, che d’altro canto non deve dimostrare la propria esistenza.

Chi si iniettasse in vena l’agente principale dei suoi effetti, vale a dire la morfina, proverebbe facilmente un orgasmo che a fatica troverebbe paragone. Questo le prime volte, poi, quando subentrasse la dipendenza, l’interesse nei confornti della sostanza cambierebbe. Associata di norma al sonno, fin dal nome che evoca un’antico nume, la morfina – come gli oppiacei in genere – sorprenderà il neofita per la raffica di energia dalla quale si sentirà investito. Sarà un’energia particolare che influirà sull’intuizione dell’intelligenza e avrà speciale quella caratteristica che i somelliers attribuiscono a certi vini definendoli “da meditazione”. A differenza del vino che si assume volentieri in  compagnia, tanto da aver rastrellato nei secoli vari rituali che ne sottolineano la sociabilità, gli oppiacei quel che hanno di ritualistico lo esprimono su un piano strettamente individuale. L’immagine della fumeria d’oppio gremita di consumatori che stanno ognuno per sé è eloquente.

Comunque sia, questa energia conferirà al favorito la sensazione di aver raggiunto una condizione che tende a svalutare quella del resto dell’umanità  (estendere a quest’ultima i benefici del vizio o mantenere quella distanza così propizia al proprio io saranno consueti ma conflittuali propositi).  Certi "quietisti" del 6-700, rifacendosi a Miguel de Molinos (che rimaneva in ogni caso un teologo, ancorché scomunicato) e a Madame Guyon (che però pare fosse donna pia) si spingevano a sostenere che l'immersione profonda nella devozione portava a uno stato di quiete contemplativa che li affrancava da ogni obbligo morale esteriore così che gli atti illeciti, soprattutto quelli sessuali, non avrebbero più costituito  peccato - come per adamiti, begardi e beghine, ranters, frankisti ecc. Questa idea è una buona illustrazione dello stato d'animo del licenzioso adepto della droga al quale si accorpa inoltre una mistura endovenosa di scetticismo.

Messe così le cose, la riflessione sembrerebbe doversi spostare sulla suscettibilità deterministica del mondo psichico. Senza che questo lo si debba escludere aprioristicamente, mi pare più congruo considerare le aperture naturali, o naturalmente umane, al nichilismo, parola più ancora che condizone sottoposta a ogni sorta di trattamento e ricoperta dal disprezzo fin dalle sue prime formulazioni. Il bello è che tutti si lanciano reciprocamente l’accusa di esserlo, nichilisti, in un calderone dove tutto si ingarbuglia: gli scettici antichi e moderni, la Chiesa, il kitsch, gli illuministi, Machiavelli, i moralisti, le trasfusioni, Paolo di Tarso, l’arte moderna, la filosofia analitica, i buddisti, Nietzsche, la scienza, Louis Ferdinand Céline, i gesuiti, i vegetariani, Stalin, Hitler, i mistici, l'estenuazione, i politeisti, Spinoza, gli individualisti, i ladri di polli, Lutero, gli omosessuali, Leopardi, la società, le multinazionali, gli epicurei, i fideisti, i capi, la liturgia, i premoderni, Kant, i postmoderni, i burocrati, gli atei, la democrazia, gli gnostici, i relativisti, Giuseppe Garibaldi, i musulmani, gli impotenti, il rock and roll, i pastori protestanti, i presidenti degli Stati Uniti d’America, gli esteti, Platone, gli occultisti, me stesso per averne già abbastanza e me stesso per partito preso.

Ma a chi volesse farsi un’idea più precisa il consiglio è sempre lo stesso: vada a leggersi Dostoevskij o, in sottordine, Camus. Kirillov, Raskòlnikov e al massimo grado Ivan Karamazov sembrano possedere una qualità didascalica cui volentieri ricorrono i filosofi, così frequentemente votati all'oscurità. In realtà tutta la letteratura, si tratti di Federigo Tozzi o di Niente orchidee per miss Blandish, è zeppa di esempi altrettanto o più ancora significativi, ma vaglielo a spiegare! Quella che si vuol spargere è in realtà la "leggenda nera" del nichilismo. Non tutti i filosofi cedono tuttavia al richiamo di questa sirena, nemmeno fra coloro la cui remota formazione farebbe supporre il contrario, come Dario Antiseri che, non esitando a definirsi "vecchio cattolico" (pur se in amorevoli intese con Karl Popper) riconosce nel nichilismo "un presupposto della tolleranza" e lo vede perfino "configurarsi come una spia a servizio dell’Altissimo" (Dario Antiseri: Relativismo, nichilismo, individualismo. Fisiologia o patologia dell’Europa? Rubbettino, 2005).  Skrjabin, chissà se più musicista o teosofo, imaginava che dalla distruzione universale si potesse risorgere felici senza avere più il fastidio di un corpo. Il "nichilista" Bazarov del Padri e figli di Turgenev,  prima di morire tisico, è in grado di provare sentimenti romantici e risparmia perfino lo sgradevole oscurantista che vince a duello. Turgenev, al quale si deve la diffusione del termine, apprezzò l'intelligenza del pluriomicida Troppmann, che sterminò un'intera famiglia, e ciò lo convinse addirittura a scrivere contro la sua condanna a morte. Il nichilismo, sembrerebbe, è fatto di speranza e compassione.

Ma la "leggenda nera" ha dei meriti. Come quel medico che dopo aver assistito alla Salome di Strauss e Wilde scrisse al "New York Time" che erano state rappresentate le imprese di Jack lo Squartatore i propagatori di tale leggenda nelle loro deprecazioni guardano dentro al cuore degli uomini con la stessa morbosità che vorrebbero allontanare da se stessi riconoscendone però la concretezza, benchè separata. Quindi, si potrebbe dire, ne intuiscono la malvagia sacralità dalla quale si vorrebbero accomiatare. Alla stessa maniera di quei riformatori sociali che vorrebbero riformare anche l'uomo, dividono il bene dal male con mezzi che se non sono utopistici setacci sono leggi e osservanze perentorie. Diceva il moribondo di Sade al prete: "il tuo dio non conosceva la sua creatura?"

“Fogli di Via”, marzo-luglio 2016