Stefano Verdino
“AngloLiguria”,
la terra amata dai grandi scrittori
Chissà se un
attento lettore di questo libro potrà aiutare l’autore a fornirgli notizie di
un disegno perduto sull’Intercity da Rapallo a La Spezia delle 17.45 del 30
luglio 1992? un disegno di Lele Luzzatti, con un
vecchio ebreo e “un coloratissimo Cocò”, cioè un
pappagallo. E’ la storia da chiudere, l’unica tra le 43 storie o istantanee –
cui vanno aggiunte le 68 bellissime foto con didascalie del percorso per
immagini – che compongono AngloLiguria. Da Byron
a Hemingway (Il canneto 2017, pp. 285), il nuovo libro di Massimo Bacigalupo. Libro piacevolissimo, perché scritto con levità
e “sprezzatura”, ovvero nonchalance, come fosse un’amabile conversazione, ricca
di ironia e curiosità con cui annodare una miriade di notizie e rarità
letterarie, di grandi e minimi.
I grandi apicali
sono quelli del sottotitolo, da Lord Byron a Hemingway, rievocati nei loro
soggiorni liguri, senza agiografie: per Byron merita soffermarsi sulla foto 9,
un disegno che lo ritrae a Genova nella primavera del 1823, decisamente
stempiato, con disappunto del soggetto che chiede al ritrattista di
“aggiungere” un berretto, ad attutire il troppo realismo di quella fronte. Di
Hemingway si fa cenno alle sue sparate da crucchicida
(uccisore di tedeschi) in guerra, degne delle millanterie di un Falstaff,
motteggia Bacigalupo. Ma l’attenzione al dettaglio
non ha certo lo spirito di guardare i grandi con l’occhio del maggiordomo.
Anzi, questi dettagli di debolezza umana rendono vivi e non monumentali quei
classici, agevolano il contatto con loro, con qualche notizia sulla loro carne
debole, ma nel pieno rispetto del fascino della loro scrittura e spesso sottile
sperimentazione, come Bacigalupo ci spiega per
Hemingway, ad esempio.
Il libro si
presenta in quattro sezioni: All’albergo
croce di Malta, il grande albergo ottocentesco di Sottoripa frequentato da
quasi tutti i viaggiatori insigni d’epoca, raccoglie le note più storiche degli
inglesi in città e regione, da Mary Shelley, da poco vedova, in Albaro a villa Negrotto, vicino a
Byron, a Dickens ospite del marchese Di Negro nella celebre villetta, con tanto
di scorciato racconto dalle lettere dell’autore del Copperfield, davvero esilarante nella scena: alle tre di mattino
nel vuoto salone il vecchio marchese, imprigionate nelle proprie mani quelle
del suo ospite inglese, lo fa camminare in su e in giù mentre improvvisa versi
sugli spassi dell’Inghilterra, di cui l’altro non intende verbo. Ma sono molto
interessanti anche portraits non strettamente inglesi: penso al
dittico Camilla e Paqui, sulle due grandi scrittrici
e amiche Camilla Salvago Raggi e Beatrice Donghi, o ai tre ritratti di tre liguri, purtroppo
sommersi, ma quanto mai intriganti, il romanziere sperimentale Piero Carlini,
il poeta in genovese Roberto Giannoni, buon lettore
di Eliot e Pound, ed Alberto Pescetto, traduttore dal
russo ed epistolografo smagliante (qui ci sono alcuni esempi) quanto bizzarro:
amava reindirizzare le lettere ricevute ad altri con giunte e postille.
Nel Ritratto ritrovato ci sono piuttosto
istantanee, storie a partire da un dettaglio come quella che dà il titolo alla
sezione: la riapparizione – agli occhi di Massimo – in un castello scozzese nel
2001 di un bel disegno di Pound quarantenne fatto a
Rapallo negli anni ‘20 dal reverendo Desmond Chute,
altro angloligure ignoto ai più, la cui figura viene
con gusto tratteggiata in un bel concertato della Rapallo internazionale
d’epoca. Ed al suo golfo, al Tigullio l’autore dedica
la terza sezione (Alla ricerca di Casa Beata),
con illustri (Pound e Heaney)
ma anche minimi: molto divertente il reperimento in una casa dismessa, su una
frazione in costa, di un quaderno di compiti scolastici di Augusto, un bambino
degli anni ’50, da cui Massimo si congeda con molto spirito: “Il quaderno si
interrompe il 14 giugno 1952, all’inizio del tema ‘La guerra del 15-18’. Forse
perché erano ormai arrivate le vacanze e Augusto era corso fuori nei boschi?
Glielo auguriamo”.
Ma vale anche la
pena soffermarsi sulla sezione Tradurre
poesia, dove Bacigalupo riflette sull’annoso tema
della traducibilità o no della poesia: in questo caso ai rovelli della teoria
della traduzione preferisce alcune considerazione assai pratiche sulla base
della sua lunga esperienza di traduttore, e di traduttore davvero al servizio
della poesia, per cui conta maggiormente la fedeltà al senso dell’originale che
la contraffazione stilistica, in una sorta di ricreazione poetica. Bacigalupo – a servizio di Pound,
Eliot, Dickinson, Stevens, Wordsworth, Shakespeare,
ecc. – qui ci fa entrare nella sua cucina e ci mostra come la scelta o le
scelte si impongano anche all’improvviso e il momento della rilettura delle
bozze, con quel testo già a stampa, vis a vis, è spesso cruciale, per un
correttivo migliore nella lingua di arrivo. A volte basta poco come
nell’interminabile Preludio di Wordsworth (8000 versi) il passaggio da un “ha dimora” in
“dimora” per rendere fluido e come dice Massimo “parlante” anche il verso
italiano.