Carlo Luigi Lagomarsino
anarChomsky
Per quanto alcuni saggi sembrino rimbalzare con troppa disinvoltura da
una raccolta all’altra, leggo sempre con piacere i libri di Noam Chomsky,. Mettere
insieme diversi testi variamente dedicati all’anarchismo è stata comunque una
bella idea (della AK Press, e adesso, in traduzione italiana, della Tropea: Anarchismo. Contro i modelli culturali
imposti). Ciò che impressiona di Chomsky è la sempre ragguardevole
documentazione. Tuttavia, l’ampiezza dei riferimenti e la menzione dei testi
sembra a volte chiudere la discussione anziché aprirla o, perlomeno, rischia di
ridurla a una valutazione di attendibilità e pertinenza circa le affermazioni
che dovrebbero asseverare. L’impressione è che nei testi radicali Chomsky
preferisca far parlare detta documentazione (e se ben ricordo, da qualche parte
l’ha pure confermato) poco curandosi, se non per quel tanto che essa
suggerisce, dei nodi teorici implicati, la qual cosa comporta un’attenzione ai
fatti reali che via via va a confondersi coi fatti testuali. Se c’è (o ci possa
generalmente essere) una stretta coincidenza fra i due non vuol però dire che
si sia fatta chiarezza o che la logica di questi fatti, rigorosa quanto si
vuole, tenda di per sé a far comprendere in modo più preciso le scelte di
Chomsky. Così, nel momento in cui rende sensibile la sua inclinazione alla
“democrazia diretta” (di sindacalisti rivoluzionari, marxisti consigliaristi e
anarchici) non ci viene detto in che maniera concretamente la concepisca,
quanto sia efficace e desiderabile, quanto sia – e come – condivisa dai vari
soggetti che compongono i gruppi ai quali si riferisce.
Non viene ben chiarito prima di tutto se essa debba ritenersi fondata
su basi territoriali o di mestiere, elemento decisivo e carico di conseguenze
pratiche. Maggior luce sulla questione, per esempio, migliorerebbe la lettura
della parte dedicata agli avvenimenti della guerra civile spagnola di quello
che è il saggio più noto, lungo e interessante (nonostante quanto si va rimarcando) di questa raccolta: Obiettività e cultura liberale. Chomsky
non sciorina, come invece ci si potrebbe aspettare tanto pare ormai scontata,
la solita verbosità sui crimini stalinisti. Ritiene viceversa, finché ci si
limiti ad analizzare come obiettivo la difesa della Repubblica, la politica
stalinista una politica realista. In un certo qual modo, così facendo, Chomsky
rigetta “anarchicamente” ogni difesa dello Stato per volgere la sua attenzione
alla rivoluzione sociale quale unica vera difesa del campo repubblicano, per
una “repubblica” d’altro segno ovviamente. In questo senso un ben diverso
realismo lo ritrova nelle posizioni di Camillo Berneri. Anche codesta
indicazione non porta in ogni caso all’auspicato “chiarimento”, cosicché il suo
collocarsi dalla parte delle collettivizzazioni messe in atto da marxisti del
POUM e anarchici (ma trascura le analisi di “Bilan”)
ha l’aria di minimizzare gli eventi drammatici di quei giorni (e il diffuso
clima di omicidio) nella riduzione a una semplice scelta di campo della quale
poco o nulla si viene in realtà a sapere. Forse è un suo modo per far pensare.
“Licéntia”, gennaio 2009