Il saggio che segue – privo
tuttavia delle scrupolose note presenti nell’originale - è tratto dal volume
collettizio Guerra e
culture tra età moderna e contemporanea curato da Susanna Delfino e
Pierangelo Castagneto. Realizzato dall’editore Brigati (Genova, 2001) col concorso
dell’ateneo genovese e della Commissione per le Relazioni Internazionali, reca,
nell’ordine, i contributi di Loretta Valtz Mannucci, Susanna Delfino, Don H. Doyle, Pierangelo Castagneto,
Augusta Molinari, Enrica Bricchetto, Ferdinando Fasce, Daria Frezza, Suzanne
Branciforte, Massimo Bacigalupo, Luigi Surdich.
Pierangelo Castagneto
piccole donne in guerra: l’esperienza di Louisa May
Alcott nella guerra civile americana
Nel novembre del
1859, Louisa May Alcott poteva riportare nel suo diario la notizia che
da tempo, con febbrile trepidazione, stava aspettando; uno dei suoi racconti
era stato finalmente accettato dall’«Atlantic Monthly Magazine». Purtroppo un
evento minaccioso era giunto a disturbare quel momento di grande soddisfazione
per la giovane scrittrice, gettando una luce sinistra sul futuro del paese:
«La tragedia dell’Harper’s Ferry ha reso questo mese memorabile. Sono
felice di essere vissuta per vedere quest’ultima eroica azione del movimento
antischiavista. Vorrei poter fare la mia
parte».
Sarebbe trascorso
poco più di un mese dalla proditoria azione di John Brown, che nel diario della
Alcott avrebbe trovato spazio un’annotazione sul-l’epilogo della drammatica
vicenda:
«L’esecuzione di Saint John il Giusto ha
avuto luogo il giorno due. Tutta la comunità di Concord si è riunita. Emerson,
Thoreau, mio Padre e Sanborn hanno
parlato e tutti hanno avuto parole di rispetto e ammirazione il martire».
.
Non deve certo destare stupore che, allo
scoppio della Guerra Civile, la Alcott si trovasse già mentalmente disposta a
perorare una causa che, nella famiglia, aveva da sempre avuto fervidi
sostenitori. Nelle sue vene, come amava ricordare, scorreva sangue di due
generazioni di abolizionisti. Lo zio Samuel May aveva acquistato notorietà in
tutto il paese come uno dei più attivi promotori del movimento anti-schiavista
e, una volta divenuto segretario d Massachussetts Antislavery Society, non
aveva esitato a trasformare la sua dimora in una stazione della Underground
Railway. Suo padre, Bronson Alcott, «aveva anticipato di qualche anno la
protesta di Thoreau del 1845, preferendo il carcere al pagamento di tasse che
andavano nelle casse di un governo schiavista» (4), e in numerose occasioni aveva
messo in scena plateali forme di protesta contro l’applicazione della Fugitive
Slave Act.
Forte di quello che potrebbe essere definito
un patrimonio genetico a forte impronta umanitaria, la Alcott, nell’inverno del
1862, quando da ormai più di un anno lo scontro militare tra Nord e Sud era
iniziato, decise di offrire il suo personale contributo alla causa unionista,
inoltrando domanda per servire come infermiera in uno degli ospedali militari
di Washington ~. La sua richiesta venne rapidamente accolta e nei primi giorni
di dicembre la Alcott fu
pronta per
partire. La destinazione non risultò essere quella desiderata, il moderno
Armory Square Hospital, bensì l’assai meno confortevole Union Hotel Hospital, a
Georgetown, D.C., una vecchia taverna trasformata in ospedale, in un primo
momento abbandonato, ma rimesso in funzione in ragione del crescente numero di
feriti.
All’inizio della guerra il U.S. Army Medical
Department era in condizioni decisamente sottodimensionate. L’ultra ottantenne
colonnello Thomas Lawson, veterano della Guerra del 1812, ne era a capo e,
durante il suo lungo regime, non aveva certo brillato per intraprendenza. Le
cifre del personale a disposizione erano del resto eloquenti: se nel gennaio
del 1861 l’esercito degli Stati Uniti poteva contare su 16.000 soldati, il suo
staff medico era composto unicamente da un surgeon general, 30
chirurghi, e 83 assistenti chirurghi. A questo numero andavano però sottratti
tre chirurghi e ventuno assistenti di origine meridionale che avevano
presentato le loro dimissioni, e altri cinque chirurghi e ventuno assistenti
che furono consegnati, poiché le loro abitazioni si trovavano in stati che
avevano aderito alla secessione. Se a queste defezioni si aggiunge l’allontanamento
di altri tre chirurghi accusati di slealtà, l’organico del Medical Department
si riduceva a soli 98 ufficiali, una struttura «miseramente piccola se
paragonata alla mole di lavoro che presto sarebbe stata chiamata a svolgere».
Ugualmente critica era la situazione ospedaliera. Prima del la
guerra non esistevano infatti ospedali militari; c’erano solo post hospital,
più grande dei quali, a Fort Leavenworth, aveva una capacità di appena
quaranta letti. L’emergenza bellica costrinse così i responsabili del Medical
Department alla requisizione di ogni tipo di edificio adattabile ad ospedale,
senza per altro riuscire a soddisfare le crescenti necessità. Accanto a questi
problemi di ordine organizzativo se ne presentarono altri, più specifici, quali
l’inadeguata preparazione del personale medico in servizio, la maggior parte
del quale non aveva mai eseguito un’operazione, o la scarsa disponibilità di
farmaci, cui per altro frequente cattiva utilizzazione, avrebbe finito per
provocare agli ospedalizzati
danni ulteriori.
Il
primo impulso alla creazione di un nuovo organismo, esplicitamente dedicato a risolvere le questioni
sanitarie del conflitto, giunse dalla nascita della Women’s Centrai Association
of Relief for the Sick and Wounded the Army, e da una serie di iniziative pubbliche
di questo movimento, che culminarono in un meeting svoltosi a New York
nell’ aprile del 1861, pochi giorni dopo l’inizio della guerra. A rappresentare
ufficialmente l’organizzazione, data la prevedibile diffidenza che un’iniziativa
partita da donne avrebbe suscitato presso il Medical Department, furono
chiamati il reverendo Henry W. Bellows, un noto ministro Unitariano, e Elisha
Harris, nativo di Westminster, Vt., figura di primo piano nel campo della
medicina preventiva. e dell’igienistica. Entrambi erano a conoscenza degli
orrori sanitari di Guerra in Crimea derivati dai devastanti effetti delle
epidemie e, in particolare, erano ben informati sulla pionieristica attività
svolta sul campo da Florence Nightingale.
Nel
maggio di quello stesso anno una delegazione che comprendeva Bellows, Harris e
i rappresentanti di altre due organizzazioni, il dottor W.H. Van Buren per la
Physicians and Surgeons of the Hospitals of New York e il dottor J. Hanson a
nome della New York Medical Association for Furnishing Supplies in Aid of the
Army, giunse a Washington per verificare la disponibilità del governo a discutere della
questione. Vinto lo scetticismo del presidente Lincoln sull’utilità di
aggiungere una «quinta ruota al carro», nel giugno venne infine ufficialmente
istituita la United Statcs Sanitary Commission (USSC).
Furono i rapporti
degli ispettori della USSC, dopo la prima battaglia di
Bull Run (21luglio 1861), ad evidenziare la necessità di una riforma radicale
del Medical Department, e le nomine di William Alexander Hammond come surgeon
general e di Jonathan Letterman come direttore sanitario dell’Armata del
Potomac segnarono l’inizio di una nuova fase in questo settore nevralgico.
I programmi della USSC erano piuttosto ambiziosi e riguardavano diversi
aspetti dell’organizzazione sanitaria: «una verifica sui metodi di arruolamento
dei vari stati, un’indagine sull’alimentazione, le cucine, l’abbigliamento, le
tende, gli accampamenti, i trasporti, e altre materie di interesse igienico
sanitario, uno studio sugli ospedali militari e le possibilità di impiegare le
donne come infermiere, un’ispezione sulla qualità e sui metodi di
approvvigionamento delle forniture ospedaliere, e un esame sul servizio. di ambulanze e di
soccorso».
Il non facile compito di trovare un adeguato spazio
alle donne in uno scenario militare fu affidato a
Dorothea Dix, che, il 10 luglio 1861, venne nominata Supervisor of Nurses Women. Figura
leggendaria del filantropismo americano del primo
Ottocento, Dorothea Dix già all’indomani di
Fort Sumter si era prodigata nella raccolta di
generi utili per l’esercito, riuscendo a coinvolgere in
questo tipo di iniziative un considerevole numero di
donne in diverse città dell’Unione. L’ incarico
ottenne ufficialità attraverso due circolari emanate
da Hammond e redatte dalla stessa Dix nelle
quali venivano definiti i criteri e le attitudini
fisiche e morali indispensabili per il reclutamento delle infermiere. L’età
delle candidate doveva essere compresa tra i trentacinque e i cinquanta anni,
era
richiesta una «sana e robusta costituzione», in ragione
del non certo lieve servizio previsto.
Prerequisiti fondamentali erano comunque da
considerarsi «buona condotta, educazione
superiore e serietà», unitamente a «pulizia, ordine,
sobrietà e diligenza». Due persone di fiducia
dovevano garantire le qualità delle candidate.
Nessuna domanda per un periodo inferiore ai tre
mesi di servizio sarebbe stata presa in
considerazione, mentre preferenza veniva accordata a chi
avesse accettato un periodo di servizio più lungo.
La paga era fissata in quaranta centesimi
giornalieri in aggiunta al vitto. Veniva infine raccomandato un
abbigliamento appropriato e un bagaglio assai limitato.
Di sana Costituzione, tanto da vantarsi di aver percorso
le venti miglia che separavano Boston da Concord per partecipare ad una festa
in sole cinque ore, la Alcott disponeva di tutti i requisiti necessari per
essere arruolata: non troppo giovane - aveva appena compiuto trent’anni -
curava la sua forma seguendo gli insegnamenti del celebre profeta della cultura
fisica, il dottor Dio Lewis che, proprio a Concord nell’autunno del 1860, aveva
dato dimostrazione delle sue pionieristiche tecniche di allenamento. Fortemente
motivata un punto di vista ideale, poteva inoltre vantare conoscenze specifiche
per il compito che le sarebbe stato assegnato: il trattato sulle ferite del
dottor Home era stata infatti una delle sue letture preparatorie, mentre «dalle
Noes’s on Nursing di Florence Nightingale, aveva imparato le regole
della professione.
La
Alcott prestò servizio presso l’Union Hotel Hospital dal dicembre 1862 per un periodo di circa sei settimane,
prima di essere congedata per motivi di salute. Le lettere scritte ai familiari
e un diario costituiscono il resoconto di questa esperienza. L’idea di
pubblicare, in forma quasi integrale, le lettere inviate a casa le fu suggerita
da F.B. Sanborn, editore del «Commonwealth», un giornale noto per la sua
militanza anti-schiavista. Il primo degli Hospital Sketches apparve il 22 maggio 1863,
gli altri, in ordine, il 29 maggio, il 12 e il 26 giugno. Il successo fu
immediato: rapidamente furono ripubblicati su vari giornali in tutto il Nord e,
alla fine di giugno, l’amico James Redpath ne preparò un’edizione a stampa.
Nella
biblioteca della Guerra Civile, dove trovano posto tutti quei documenti -
lettere, diari, memorie - di carattere e qualità eterogenei che descrivono
l’esperienza delle donne in questo evento bellico, gli Sketches della Alcott senza dubbio si
distinguono per la loro spontaneità letteraria, per la loro prosa abilmente
misurata, dove pathos
e humor sono ben bilanciati, per la
capacità di saper concentrare una così ampia varietà di sentimenti e
impressioni.
Proprio la
scelta di rendere una vicenda così terribile attraverso diversi registri
narrativi ha reso gli Hospital Sketches un testo decisamente unico nel suo genere. Già nelle prime pagine, dove
Miss Tribulation, come la Alcott veniva scherzosamente chiamata dai suoi familiari,
deve rendere conto al lettore della sua coraggiosa decisione, qualsiasi tono
di drammaticità viene accuratamente evitato. I preparativi della partenza, con
la surreale raccolta delle opere di Dickens, destinate ad alleviare le
sofferenze dei soldati, la lunga serie di inconvenienti burocratici, e le
difficoltà del viaggio per raggiungere la capitale, sembrano essere dominati da
un’ignara incoscienza, che pone momentaneamente ad una certa distanza la
devastante esperienza che, di lì a poco, la Alcott avrebbe dovuto affrontare. È
a Baltimore che la vista di un accampamento e di alcuni reparti di cavalleria
rivela, per la prima volta, l’approssimarsi di una dimensione della realtà
tutt’altro che letteraria. Dall’annotazione riportata sul diario il giorno del
suo arrivo a Washington, si può immediatamente comprendere quale situazione,
sin dal primo momento, dovette fronteggiare:
«Tutto è andato bene, sono arrivata a
Georgetown di sera molto stanca. Sono stata accolta gentilmente, ho dormito in
un letto stretto con due altre compagne di stanza. La mattina ho iniziato la
mia nuova vita assistendo alla morte di un pover’uomo all’alba, e passando l’intera giornata fra un ragazzo
con la polmonite ed un ferito ai polmoni».
L’arrivo
della Alcott coincise con una dei momenti più difficili, dal punto di vista
delle operazioni belliche, per le forze unioniste. Dopo la fallita invasione
del Maryland, culminata con la sconfitta sudista ad Antienam, la situazione sul
fronte occidentale all’inizio dell’inverno del 1862, si presntava quanto mai
complessa. Il generale Robert E. Lee, al comando dell’Armata della Virginia
Settentrionale, aveva ripiegato nella bassa valle dello Shenandoah, mentre l’Armata
del Potomac del generale Robert Mclellan, aveva preso posizione sulla riva nord del
Potomac, senza per altro che il generale nordista, sfruttando la favorevole situazione, avesse varcato
il fiume e inseguito il nemico. Questa esitazione, considerata ingiustificata
dal Comando Supremo e, in ultimo anche dal Presidente Lincoln, costò al
generale Mclellan la destituzione dal comando dell’Armata del Potomac il 5
novembre 1862. Al suo posto venne nominato il generale Ambrose Burnside, che a
metà novembre diede il via ad un’operazione che avrebbe dovuto consentire alle
truppe nordiste di aprirsi una via per minacciare direttamente Richmond, la
capitale confederarata. Essenziale per la riuscita di questo piano era l’attraversamento del fiume Rappahannock
e la presa di Fredericksburg. Fu sulle colline e i declivi circostanti all’insediamento
della cittadina della Virginia che i due eserciti, dopo una serie di manovre di
avvicinamento, giunsero allo scontro, dando vita ad una delle più sanguinose
battaglie dell’intera Guerra Civile. ll bilancio dei tre giorni di
combattimenti fu spaventoso: «10884 giacevano morti o feriti sui tragici campi di Fredericksburg; i
prigionieri e i dispersi erano 1769. Da parte loro i confederati non avevano
perso nemmeno la metà di tale numero: 4656 morti e feriti e 653 prigionieri e dispersi:
5309 in tutto, contro i 12653 nordisti»
La situazione all’interno
dell’Union Hotel Hospital non fece che peggiorare con l’arrivo dei primi
feriti della battaglia di Friedericksbug. In una confusione generale,
sommariamente informata sul da farsi dalle altre infermiere, la Alcott si trovò
ad accudire una quarantina di soldati,
«lavando facce, servendo pasti, somministrando medicinali, seduta su di
una sedia molto scomoda, con un malato di polmonite da un lato, una difterite
dall’altro, due febbri tifoidi di fronte e una dozzina di patrioti malconci
che, saltando da un posto all’altro, coricati nei loro letti o gironzolando,
erano tutti incuriositi dalla nuss».
La vista di
interminabili code di soldati lungo la strada di fronte all’ospedale, in attesa
di essere ammessi, per un attimo le suggerì «il poco patriottico desiderio di
essere di nuovo a casa, al sicuro». Gli arrivi dei feriti dal campo di
battaglia si protrassero per intere giornate, «alcuni su barelle, - ricorda la
Alcott - alcuni portati a braccia, altri barcollando appoggiati su grucce
improvvisare». Nei volti di questi uomini era chiaramente impresso «quello
sguardo desolato che esprimeva la sconfitta, più chiaramente di qualsiasi
telegramma sugli errori di Burnside». Sebbene la Alcott non abbia fatto
menzione dei raccapriccianti dettagli che caratterizzano molte delle
testimonianze di altre sue colleghe, va ricordato che la pratica chirurgica più
frequente alla quale le infermiere dovettero quotidianamente abituarsi ad
assistere era l’amputazione.
Infatti, se è
vero che più del 60% dei decessi durante la Guerra Civile furono causati da
malattie e non da ferite in battaglia, si deve pure considerare il fatto che,
durante i combattimenti, sette soldati su dieci vennero feriti agli arti
superiori ed inferiori, una percentuale questa che determinò un’altissima frequenza di interventi - tre su
quattro - di amputazione.
Nello svolgere
le mansioni assegnatele, la Alcott, insieme agli orrori e alle devastazioni
provocati dall’evento bellico, ebbe anche l’opportunità di constatare il
coraggio e la dignità degli uomini che erano stati chiamati a combattere . Molti, in questo
senso, sono gli episodi ricordati negli Sketches che testimoniano il virile orgoglio di soldati
feriti, umanamente
legati ad una realtà
diversa da quella della guerra. E’ il caso di un giovane che, perduti nella
battaglia una gamba e un braccio, tentava di immaginarsi la confusione che ci
sarebbe stato il giorno del giudizio se tutti gli arti amputati avessero dovuto
ricongiungersi con i loro rispettivi corpi, o ancora l’ansia di chi, sfregiato
in volto da una ferita, temeva di non essere più desiderato dalla fidanzata.
Persino il tentativo,
fallito, di
prendersi cura di uno scontroso soldato confederato, trova spazio nella galleria
dei personaggi evocati negli Sketches.
La curiosità la
spinse ad interrogare un soldato del New Hampshire, ferito sul campo di
battaglia di Fredericksburg, su quali fossero state le sue sensazioni durante
lo scontro:
«Be’ vede, questa è stata la mia
prima battaglia, perciò non mi vergogno di dire che all’inizio ero un po” nervoso, c’era un tale baccano di spari, che l’unica
cosa che ricordo è solo un grande rumore. Ma quando il mio compagno, Eph
Sylvester, è caduto, colpito alla testa da un proiettile, sono come impazzito,
ho cominciato a darci dentro».
Col passare del
tempo l’impegno si fece sempre più gravoso; il nuovo anno iniziava sotto i
peggiori auspici:
«Gennaio, 1863.
Union Hotel Hospital, Georgetown, D. C. - Non ho mai in’ziato un anno in un luogo più strano di questo;
cinquecento miglia lontana da casa, tra sconosciuti, svolgendo compiti dolorosi per tutto
il giorno, vivendo in costante eccitazione in questa grande casa, circondata da
tre o quattrocento uomini sofferenti, malati, o morenti».
Rapidamente la
Alcott familiarizzò con le più comuni pratiche mediche quali la
somministrazione dei farmaci o la fasciatura delle ferite, ma spesso alleviò
le sofferenze dei feriti intrattenendosi con loro a conversare o a scrivere
lettere dettate da soldati, impossibilitati a farlo, ai propri familiari. Così
il giovane sergente che aveva perduto il braccio destro, dopo essersi sforzato
ad usare la mano sinistra ed averne ricavato solo «mezza dozzina di righe di geroglifici»,
fu uno del primi che poté sfruttare le sue qualità letterarie per scrivere
alla fidanzata. Al termine della giornata, dopo che «l’ultimo gesto d’amore
era stato compiuto; l’ultima “buona notte” detta», nelle corsie di quella
«grande casa del dolore» calava il Sonno, e con esso, «la sua divina compagna,
la Morte».
Intorno alla
metà di gennaio, quando ormai i primi sintomi della malattia che di lì a poco l’avrebbero
costretta ad abbandonare il servizio stavano cominciando a manifestarsi, fu
affidato alla Alcott - per sua esplicita richiesta - il turno di notte Nelle ore notturne il sonno dei feriti era
visitato dalle visioni e dagli incubi più strani. Intimamente offesi dalla
guerra, la loro mente aveva subito danni maggiori di quanto non ne avesse
ricevuto il loro corpo:
«Alcuni, evidentemente
sognando la guerra, s’incupivano, davano ordini, si lamentavano delle ferite o
maledicevano i ribelli; altri diventavano tristi e si commuovevano, come se il
dolore cresciuto il silcnzio durante tutta la giornata, si vendicasse tradendo
quanto l’orgoglio dell’uomo aveva nascosto fino a quel momento così bene».
In questo immane dramma le prove alle quali la
Alcott dovette sottoporsi furono non di rado terribili: tocca a lei l’ingrato compito
di informare John, un fabbro della Virginia, ferito da un proiettile ad un
polmone in maniera letale, dell’inesorabile sentenza pronunciata dai chirurghi.
Alla domanda del soldato che, attendendo con estrema serenità, senza dolersi
della sua scelta, che si compisse il suo destino di morte, le chise: «Questa è la mia prima battaglia; pensano che sarà
l’ultima?», la Alcott dovette dare la più terribile risposta che mai avesse
immaginato di pronunciare: «Ho paura di si, John».
Costretta
a letto dalle cattive condizioni di salute, dopo aver rifiutato l’invito a
prendere un periodo di riposo, «con l’ostinazione di cui il mio sesso è così
riccamente dotato», la Alcott venne dispensata dal prestare servizio e poté
così personalmente sperimentare la condizione di degente nell’ospedale.
Sistemata
in una stanza «ben ventilata da cinque vetri sofferenti per alcune fratture
composte», non perse la sua verve, riuscendo ad ironizzare sul vitto
servito:
«Carne di manzo, evidentemente preparata per gli uomini
del ‘76; maiale, direttamente preso dalla strada; pane ingessato, fatto di
segatura e bicarbonato di sodio; burro, salato e agitato nella zangola dalla
moglie di Lot in persona; stufato di more simili a scarafaggi in conserva, che
solo chi era privo d’immaginazione poteva gustare con piacere; caffè lungo e
fangoso; tè, tre foglie di mirtillo essiccate per un quarto d’acqua torbida e animata, insaporito con un po’ di limone».
Per
integrare questa dieta non certo invitante, la Alcott tentò di procurarsi altro
cibo al mercato e di conservarlo in camera, con il magro risultato che, «i topi
ebbero il loro dessert dal mio formaggio e le cimici trovarono una sistemazione
nel contenitore dei cracker». Durante questo periodo di forzato riposo la
Alcott ebbe modo di visitare Washington. Una delle mete dei suoi vagabondaggi
per la capitale fu proprio l’Armory Hospital, destinazione sulla quale
inizialmente aveva fatto affidamento. La condizione di questo luogo di
ricovero, dove «ordine, metodo, buon senso e liberalità sembravano essere la
regola», contrastava apertamente con lo stato dell’Union Hospital dove, per
contro, «disordine e scarsa organizzazione rendevano ogni cosa
indescrivibilmente confusa».
Camminando
per le strade di Washington, o guardando dalle finestre della sua stanza nei
giorni di cattivo tempo, la Alcott si abbandonò spesso alle più fantasiose
considerazioni, osservando ora il passaggio delle truppe, ora l’abbigliamento
delle donne e degli uomini della capitale. Nulla sfuggì alla sua attenzione.
Perfino gli animali, i muli e i cavalli, impegnati nel trasporto delle
attrezzature militari, o i maiali, che ai suoi occhi sembravano essere i veri
padroni delle strade della città, vennero, per gioco, classificati e
umanizzati, a seconda dei loro comportamenti.
«Ma più
interessanti degli ufficiali, delle signore, dei muli, o dei maiali» - suggerisce
la Alcott - «erano le mie sorelle e i miei fratelli di colore, perché così
diversi dai rispettabili membri della comunità che avevo conosciuto nella
morale Boston».
Malgrado che la
schiavitù avesse reso queste creature, «ossequiose, ingannevoli, pigre e
ignoranti», tuttavia si mostravano ancora
«ben disposte, di
buona indole, pronte a capire e ad accettare il minimo segnale di amore fraterno
che lentamente sta insegnando alla mano bianca a stringere quella nera, in
questa grande battaglia per la libertà di entrambe le razze».
Con stupore la
Alcott, che temeva di dover difendersi da «accuse di pregiudizio verso il colore»,
non trovò un particolare sentimento di benevolenza nei confronti degli uomini
di colore, tanto che
«Quotidianamente riuscivo a stupire qualche vicino perché
trattavo i neri come i bianchi. Gli uomini infatti avrebbero inveito nei
confronti dei darkies, avrebb messo due g nella parola negro, e
riso all’idea che qualcosa di buono potesse venire da simili rifiuti. Le infermiere desideravano farsi servire da persone
di colore, ma ramente le ringraziavano, mai le lodavano, e di rado le
salutavano per strada».
Quella che
inizialmente era stata diagnosticata come una polmonite si rivelò ben presto in
tutta la sua gravità: si trattava infatti di febbre tifoide. L’unico farmaco
somministrato in questi casi era il calomelano, vale dire un composto mercuriale,
protocloruro di mercurio, il cui massiccio dosaggio provocherà dannosissimi
effetti sul fisico della Alcott per il resto della sua esistenza. Con l’aggravarsi della
malattia i medici dell’ospedale ritennero indispensale un suo ritorno a casa e, malgrado un’iniziale
opposizione, sul finire di gennaio la decisione fu presa. Lo stesso Bronson
Alcott si recò a Georgetown per accertarsi delle condizioni della figlia ed
organizzare il rientro a casa. Nell’amata Concord la Alcott trascorse una lunga
convalescenza, e solo sul finire di marzo riacquistò completamente la sua
salute fisica . Profondamente provata da questa esperienza, come un soldato,
aveva fatto ritorno a casa dopo aver combattuto su di un suo personale campo di
battaglia chiamato Georgetown: «Avvicinarsi alla morte ti insegna a dar valore alla vita - ricorderà
nel suo diario - e questo inverno resterà per sempre nella mia memoria».
Nel 1870, sull’onda
del successo ottenuto da Little Women, fu pubblicata una nuova edizione degli Sketches, con una prefazione datata
1869, nella quale l’autrice si difese dalle accuse rivoltegli riguardo al tono
eccessivamente disinvolto che avrebbe caratterizzato la narrazione.
«A coloro che hanno disapprovato un certo “tono di
leggerezza” presente in alcune parti degli Skeiches, vorrei dire che il desiderio di fare ogni cosa al
meglio, e mandare a casa accurati resoconti, seppur dal più triste dei luoghi,
un ospedale militare, ha probabilmente prodotto un’impressione di leggerezza
su coloro che non hanno mai conosciuto il profondo contrasto, tragico e allo
Stesso tempo comico, di una simile
esperienza».
Se nel capolavoro di Stephen
Crane, The
Red Badge of Coarage, scritto a distanza di quasi trent’anni dalla fine della Guerra Civile, attraverso
una fredda analisi dove nessuno spazio è concesso ad una visione eroica della
battaglia, prevale il senso di totale incongruità dell’evento bellico, nei
ricordi della Alcott, di chi, seppur non combattendo, ha vissuto in prima
persona questa sconvolgente esperienza, trovano soprattutto spazio pietà e
commozione per esseri umani travolti dall’assurda violenza della guerra.