Giuseppe Zuccarino
incursioni nel fantastico
La fama di Roger Caillois è affidata soprattutto alle opere saggistiche, su argomenti che spaziano dal mito al sogno, dalla guerra ai giochi, dalle poesie alle pietre. Tuttavia egli è stato anche un narratore. In quest’ambito, può dirsi conosciuto e apprezzato il suo romanzo breve Ponce Pilate, mentre i racconti restano ancora poco letti. Tre di essi, nel 1970, erano stati da lui inseriti in un’apposita sezione della raccolta di saggi Cases d’un échiquier. Adesso il trittico viene riproposto come parte principale del volume Noé et autres textes (Paris, Gallimard, 2009). Quest’ultimo include anche due brevi articoli che, per quanto interessanti, sarà preferibile lasciare da parte se si vuole concentrare l’attenzione su Caillois narratore.
Veniamo allora al primo racconto, Noé, che si presenta come la riscrittura di un celebre episodio dell’Antico Testamento. Al momento in cui la vicenda inizia, il patriarca ha già costruito la gigantesca nave destinata ad ospitare una coppia di esemplari di sesso diverso per ogni specie animale. Ha lavorato da solo, sfidando l’ostilità e la derisione da parte degli uomini del suo paese. Ad essi non ha rivelato nulla riguardo al piano divino di sterminare quasi tutti gli esseri viventi, ma d’altra parte non può impedirsi di pensare che Dio abbia scelto, col diluvio, uno strano modo per attuare il suo intento punitivo. Quando ormai la pioggia è iniziata, gli riesce agevole far salire sull’arca le varie coppie di animali, perché sono esse stesse a presentarsi sul posto. In tal modo vengono risparmiati a Noè molti dubbi (del tipo: si deve accogliere una sola coppia di cani oppure una per ogni razza canina, quindi due bassotti, due levrieri, due mastini e così via?). Molti degli animali che giungono lì, come il canguro e l’armadillo, sono del tutto sconosciuti al patriarca, che si stupisce del loro aspetto insolito. Infine lo stesso Noè sale, con i suoi familiari, sull’imbarcazione, mentre la pioggia prosegue incessante e il livello dell’acqua continua ad alzarsi. Anche se egli non comprende bene certi aspetti della deliberazione divina (per quale motivo, ad esempio, far morire anche i neonati innocenti?), dapprima li accetta senza discutere. Tuttavia, quando vede brulicare intorno all’arca pesci di ogni genere, si rende conto del motivo per cui non è stato necessario ospitare sulla nave coppie di animali marini, i quali non devono temere alcun danno dal diluvio. Ma perché Dio ha deciso di salvare proprio loro? E perché, tra gli esseri umani, solo Noè e i suoi parenti? Lo spirito di rivolta comincia a crescere nella mente del patriarca, che si sente sempre più depresso e disgustato. Al termine delle piogge, quando le acque si sono infine ritirate, egli trova come unica consolazione alla propria amarezza il vino. Prende dunque l’abitudine di inebriarsi, per tentare di dimenticare l’ingiustizia divina, di cui si sente complice. Questo gli fa perdere ogni ritegno: è lui, e non Loth, a compiere azioni immorali con le proprie figlie. «Degli scribi pii le attribuirono ad un altro, per evitare il supremo affronto costituito dal fatto che l’unico Giusto ritenuto da Dio degno di sfuggire al Diluvio si sia deliberatamente votato, per espiare e al tempo stesso per protestare, all’ebbrezza, al vizio e alla bestemmia». Il racconto, come si vede, rielabora in modo ironico ed eterodosso le vicende del personaggio biblico.
I due testi successivi sono di ambientazione contemporanea e scritti in prima persona. Mémoire interlope è un titolo insolito per via del secondo vocabolo, di impiego raro in francese: Caillois spiega che indica una nave dedita al traffico di contrabbando fra nazioni diverse. Il narratore esordisce raccontando di essere stato sorpreso, in piena notte, dall’emergere di un ricordo difficile da ricollocare nel tempo. Egli aveva fatto visita, assieme alla moglie, a un negozio di antiquariato che metteva in vendita due opere giovanili di Pollock. I quadri non somigliavano affatto a quelli più noti dell’artista americano: l’uno apparteneva al genere dell’astrazione geometrica, l’altro era figurativo, di stile quasi impressionista. Inoltre il loro costo superava le disponibilità di spesa dell’ipotetico acquirente. Prima che i due coniugi lasciassero il negozio, però, la moglie si era munita di una spugna umida, spolverando con essa il secondo dipinto, che aveva mostrato di colpo una sorprendente e affascinante vivacità di colori. Il ricordo di questo quadro spinge ora il protagonista ad andare alla ricerca della bottega, ma senza successo. Anche l’esame di cataloghi o articoli di riviste relativi a Pollock non gli permette di trovare una riproduzione del dipinto che lo aveva colpito. Del resto la memoria stessa sembra divenire incerta: si trattava di una tela piccola o molto grande? Il personaggio narrante non risolve il dilemma, perché si riaddormenta. «Di questo tipo sono gli andirivieni tra la coscienza e la notte, le loro prevaricazioni inestricabili». Quello che abbiamo letto era dunque il racconto di un sogno, e Caillois, come in altre occasioni (pensiamo a certi passi del libro L’incertitude qui vient des rêves), si è divertito a tenerci in sospeso fino alla fine riguardo allo statuto da attribuire all’episodio.
Nella terza storia, Récit du délogé, il narratore descrive l’esperienza di una perdita dell’individualità. Tutto comincia in un periodo in cui egli soffre d’insonnia. Pian piano, si manifesta in lui la sensazione di avere, prima nel braccio e poi nel ventre, un oggetto mobile, una specie di pietra liscia. A tratti gli pare persino di poterla vedere nitidamente (avendo letto dei testi psichiatrici, egli sa che un fenomeno del genere prende il nome di endoscopia). La visione dettagliata lo aiuta ad accorgersi che l’oggetto non è una pietra, bensì un mollusco dotato di conchiglia. L’animale è vivo, e in grado di far sporgere, tra le due valve, un breve orlo luminescente e ciliato: si tratta dunque di una folade. Dapprima colui che involontariamente la ospita trova irritante la presenza di un così insolito parassita, ma ben presto la accetta. Per chiarire le ragioni di questa accondiscendenza, il narratore ci illustra la propria personalità. Egli riconosce con franchezza il contrasto che esiste fra le grandi ambizioni che aveva nutrito da giovane e la riuscita modesta cui è pervenuto. Inoltre l’età non gli permette più di coltivare la speranza in un radicale cambiamento. Date queste premesse, la comparsa del mollusco rappresenta per lui una novità non sgradita. Egli si lascia condizionare dall’animale, che sembra ora in grado di dirigere le sue scelte. L’uomo si reca in una località balneare, dove cammina fra le rocce della spiaggia finché scivola e cade; pur potendo rialzarsi, lascia che le onde lo ricoprano e in tal modo affoga. Col tempo, il suo corpo si dissolve nell’acqua salata, lasciando libero il mollusco di reintegrarsi all’ambiente marino. Nel finale, la voce che parla in prima persona è quella dell’uomo divenuto folade, che tuttavia non esclude un possibile riavvio ciclico della storia: «Esiste forse anche una specie di riflusso, un corso ascendente che risale la catena degli esseri? Potrà accadere allora che io mi situi a mia volta nell’avambraccio, poi nel basso ventre di un umano, per allarmarlo e avvertirlo, per insinuare in lui il desiderio di far ribaltare la propria coscienza in un’altra, indistinta e diluita?».
Come si vede i tre racconti, pur essendo riconducibili all’area del fantastico (che Caillois, nelle sue vesti di saggista, ha più volte esplorato), sono diversi l’uno dall’altro. Sembra quasi che l’autore li abbia disposti in ordine crescente di stranezza. In effetti, però, chi conosca la sua biografia tenderà forse a rovesciare quest’ordine. Dalla narrazione su Noè deduciamo solo che Caillois è restio ad attribuire valore di verità ai miti biblici, e disposto invece a manifestare comprensione umana per il protagonista, di cui giustifica persino la dipsomania, anche perché egli stesso ha una certa inclinazione in tal senso. Il secondo racconto potrebbe essere autobiografico, essendo noto l’interesse dello scrittore per le opere d’arte insolite. Viste le riserve manifestate da Caillois nei confronti di molta pittura moderna, il nome di Pollock sorprenderebbe, se non fosse che il narratore di Mémoire interlope si preoccupa appunto di precisare che, da sveglio, non apprezza i quadri dell’artista americano. Il terzo testo, benché metta in scena un personaggio immaginario, è assai ricco di richiami alla vita dell’autore, come sarebbe facile mostrare esaminandolo in dettaglio. Persino il nucleo, in apparenza irreale, della trama, si basa sul ricordo dei disturbi psicastenici (allucinazioni dovute all’insonnia) da lui sperimentati nell’adolescenza e già descritti in un libro giovanile, La nécessité d’esprit. Da ciò si deduce che, come direbbe il Caillois saggista, «la mente non inventa ciò che vuole né come vuole». Le vie percorribili dall’immaginazione sono molte, ma non infinite.
“Fogli
di via”, novembre 2009