Giuseppe Zuccarino

chirografie chariane

Il poeta René Char attribuiva una particolare importanza all’impiego della scrittura a mano, specie quando si trattava di preparare copie dei propri testi da adibire al ruolo di oggetto-dono. L’esempio più noto è costituito dai ventotto «manoscritti miniati» da lui realizzati in collaborazione con artisti di prestigio (Picasso, Léger, Miró, Ernst, Brauner, Lam, Giacometti, per citarne solo alcuni). Questi fogli, che associavano la nitida scrittura del poeta a bellissime immagini realizzate dai pittori, erano stati in gran parte pensati per una precisa destinataria, la gallerista Yvonne Zervos, e oggi vengono spesso esposti nelle mostre dedicate al poeta. Uno di questi manoscritti, illustrato da Jean Arp, è stato riprodotto per intero in un volume (Lettera amorosa, suivi de Guirlande terrestre, Paris, Gallimard, 2007) che si apre con la versione definitiva a stampa del medesimo testo, impreziosita da litografie a colori di Georges Braque.

Esistono però altri lavori in cui Char ha voluto associare la chirografia ad immagini più sobrie e modeste rispetto a quelle realizzate dai suoi amici pittori. È il caso di Le trousseau de Moulin Premier, ora pubblicato per la prima volta in facsimile (Paris, La Table Ronde, 2009). Originariamente si trattava di un piccolo album in copia unica, datato 1937, che riuniva dodici vecchie cartoline con vedute del luogo natale, L’Isle-sur-Sorgue in Provenza. Sotto di esse il poeta aveva trascritto alcuni versi aforistici tratti da un proprio libro apparso l’anno prima, Moulin premier, mentre sulle pagine bianche a fronte delle cartoline aveva riportato le varie strofe della poesia Versions, divenuta poi, in una stesura ampliata, Dent prompte. Quest’insolito dono era destinato a Greta Knutson, più tardi ispiratrice di una delle più celebri liriche amorose chariane, Le Visage nuptial.

Come si vede, l’album si colloca al centro di un fitto gioco intertestuale, ma al tempo stesso merita di essere fruito a sé, come prodotto autonomo. Per ragioni di chiarezza, converrà esaminarne una alla volta le diverse componenti, cominciando dal titolo. Quest’ultimo è assai difficile da tradurre, vista la molteplicità di sensi della parola trousseau, che può significare «mazzo» (trousseau de clefs è il «mazzo di chiavi»), «corredo», «fascio», «pacchetto». Neppure l’espressione Moulin premier è univoca, perché, in aggiunta al valore letterale e simbolico, c’è anche un riferimento specifico al luogo: infatti nelle note delle Œuvres complètes chariane si precisa che «i mulini primi, mulini da carta di origine antichissima, erano situati sulla Sorgue detta di Velleron, in un quartiere di L’Isle-sur-Sorgue».

Le dodici cartoline sono già antiquate nel momento in cui il poeta sceglie di utilizzarle, a dimostrazione del fatto che il suo intento è quello di mostrare i luoghi raffigurati (tra cui appunto un mulino) com’erano al tempo della sua infanzia. Nelle immagini vediamo vari aspetti di un paesaggio urbano la cui bellezza dipende dal fatto che in esso il fiume, gli alberi e le case sono integrati armonicamente fra loro, così da suggerire l’idea di una vita quieta e pacifica. Tuttavia chi cercasse nelle frasi trascritte da Char sotto le cartoline l’espressione di sentimenti di tipo celebrativo o nostalgico rimarrebbe deluso. Infatti, scegliendo accuratamente i passi di Moulin premier, egli sembra piuttosto voler formulare i precetti di un’etica personale: «Nobiltà custodita dell’accoglienza»; «Manodopera errante di me stesso»; «Prodigo, distinguo già i miei occhi nuovi d’eternità»; «Bisogna essere l’uomo della pioggia e il bambino del bel tempo»; «Fai corteo alle tue sorgenti».

L’effetto di straniamento risulta ancor più accentuato se si passa a considerare le pagine di sinistra, quelle che riportano la trascrizione delle strofe di Versions. Neppure qui c’è la minima traccia di versi che esaltino i pregi della città provenzale. Le strofe (o poesie brevi disposte a formare una serie) procedono per associazioni di immagini. Sarebbe però erroneo qualificare la tecnica usata dal poeta come di tipo surrealista, non soltanto perché a quella data Char ha smesso di far parte del movimento capeggiato da Breton, ma proprio per ragioni di ordine stilistico. L’autore infatti diffida dell’automatismo, sicché anche gli apparenti salti logici riscontrabili nei suoi testi derivano dalla contrazione lirica del pensiero e non dalla ricerca, per partito preso, di un’espressione sorprendente e irrazionale. Vediamo almeno un rapido esempio: «La luce scende dall’ombrellino alle messi / E si consola con l’incudine // A nuocerti poltiglia nemica / Arbitraria come l’onda marina / A cui sono incavicchiato / A livello dell’esattezza».

L’album risulta dunque dalla fusione delle varie componenti descritte: le cartoline illustrate, con i versi aforistici che le accompagnano senza commentarle, e le poesie, ancor più remote sul piano tematico dalle immagini. Ma perché è stato costruito proprio in questo modo e quale messaggio era affidato ad un simile dono per Greta? Probabilmente il poeta intendeva mostrare alla donna quale fosse stato l’ambiente geografico e sociale da cui era partito, evidenziando nel contempo come egli avesse saputo sottrarsi a ogni forma di provincialismo. Sarebbe eccessivo, però, scorgere nei testi chariani una volontà di separazione dal luogo di origine. Pensiamo ancora alla formula Le trousseau de Moulin Premier, che rinvia esplicitamente alla raccolta del 1936. In tal senso l’album, specie per le cartoline che contiene, va inteso come una guida alla lettura del libro precedente, e un’indicazione visiva di quelle radici da cui il poeta non intende affatto staccarsi.

Si può trovare una conferma di ciò in un testo degli anni Cinquanta, compreso da ultimo in La Parole en archipel e posto sotto il titolo emblematico di Déclarer son nom: «Avevo dieci anni. La Sorgue m’incastonava. Il sole cantava le ore sul saggio quadrante delle acque. La noncuranza e il dolore avevano sigillato il gallo di ferro sul tetto delle case e si sorreggevano a vicenda. Ma quale ruota nel cuore del bambino in agguato girava più forte, girava più veloce di quella del mulino nel suo incendio bianco?». In altri scritti chariani, dunque, il legame con l’infanzia e col territorio viene espresso senza ambagi e con grande forza poetica. Se volessimo tornare al nostro punto di partenza, potremmo invitare ad osservare (nel catalogo René Char. Paysages premiers, Paris, Hazan, 2007) una versione manoscritta di questo poème en prose. L’autore stesso ha colorato e disegnato il foglio: il testo è scritto ad inchiostro nero su un fondo tinto di azzurro ma, sovrapposta alle parole, si staglia con nettezza l’immagine di una ruota da mulino, segnata al centro, in corrispondenza del mozzo, da una macchia di un rosso luminoso, quasi a suggerire l’idea di un cuore pulsante, di un punto di irradiazione vitale. Come si vede, il ricorso alla chirografia da parte del poeta non si riduce mai ad un fatto puramente privato o estetico, e in qualche caso può fornire, per via indiretta, un prezioso ausilio all’interpretazione dei suoi testi.

“Fogli di Via”, Marzo 2010