Giuseppe Zuccarino
Alechinsky illustratore
Un catalogo, Pierre Alechinky & Fata Morgana (Saint-Clément-de-Rivière, Fata Morgana, 2011), rende omaggio ad uno dei maggiori pittori viventi e, nel contempo, all’attività di una casa editrice. Quest’ultima, fondata nel 1966 da Bruno Roy e tuttora attiva, ha acquisito nel corso dei decenni grandi meriti, in ambito letterario e artistico. Pur pubblicando anche edizioni di pregio per bibliofili, Fata Morgana si è specializzata in collane di testi brevi, ben curati a livello di carta e di stampa, spesso impreziositi da disegni o incisioni realizzati da artisti. Se gli scrittori presenti nel catalogo sono assai diversi ma di indubbio valore, lo stesso vale per gli illustratori (Adami, Chillida, Dubuffet, Masson, Tàpies, Tal Coat, Titus-Carmel, Zao Wou-Ki e molti altri). Tra questi, Alechinsky svolge un ruolo particolare ed eminente, come risulta già chiaro se si considera un semplice dato numerico: dal 1968 ad oggi, il pittore belga ha contribuito con sue immagini a ben sessanta volumi pubblicati da Fata Morgana. Appare dunque più che giustificata l’idea di realizzare un catalogo volto a tracciare un consuntivo di questa fruttuosa collaborazione.
Considerando che altre opere con
apporti grafici di Alechinsky sono apparse presso editori diversi, viene
innanzitutto da chiedersi come mai egli, nella sua lunga carriera artistica,
abbia riservato così largo spazio al lavoro di illustratore. Per rispondere
alla domanda, occorre risalire alle origini e ricordare che fin dall’adolescenza
egli si è occupato di questo, visto che frequentava a Bruxelles l’École
nationale supérieure d’architecture et des arts décoratifs (
Volendo, sarebbe possibile allargare il discorso tenendo conto delle modalità specifiche del lavoro pittorico di Alechinsky. Egli infatti, dopo una prima fase in cui usava i colori ad olio, è giunto, anche per l’influsso della conoscenza dell’arte calligrafica dell’Estremo Oriente (verso la metà degli anni Cinquanta, si è recato in Giappone per realizzare un film documentario sull’argomento), ad adottare materiali e modalità esecutive differenti. Ecco come Alechinsky li descrive in un proprio libro del 1971, Roue libre: «Tenendo in mano una ciotola larga (larga per facilitare al pennello l’accesso alla riserva di colore) mi chino verso la carta, posata sul pavimento, tenuta ferma con quattro piombi da stamperia. Mi svuoto. Le linee hanno assunto le forme di un muso aperto che sporge la lingua, di una schiena tonda, di una coda che batte il fondo giallastro. Un drago lontano dal vulcano». I quadri di Alechinsky vengono quasi sempre realizzati su fogli di carta sottile, riportati poi, tramite incollatura, su tela. Anche quando il dipinto o disegno viene eseguito su superfici di piccolo formato, l’artista di norma non si serve del cavalletto ma lavora seduto a un tavolino basso, così da poter tenere il pennello nella posizione corretta secondo gli orientali, ossia verticalmente.
Alla familiarità con la carta si aggiunge quella con le più diverse tecniche di incisione e di stampa. Se a ciò si unisce l’ampia disponibilità a lavorare in collaborazione con altri, siano essi pittori o scrittori, diverrà chiaro perché l’incontro con un editore come Bruno Roy sia stato tanto proficuo. Poiché l’arte di Alechinsky aspira naturalmente ad aderire all’oggetto-libro, ciò ha suggerito ad Hans Spinner, abile ceramista, la curiosa idea di realizzare dei volumi «non sfogliabili» (cioè delle piccole sculture di gres o ceramica a forma di libro aperto) destinati ad essere completati con scritte e disegni ad opera del pittore. Un esempio di tali creazioni figura appunto sulla copertina del catalogo a cui facciamo riferimento.
Quest’ultimo si apre con una poesia di Salah Stétié e con un saggio introduttivo di Yves Peyré. Ma la parte forse più interessante consiste nelle pagine successive, che a ciascuno dei numerosi libri illustrati da Alechinsky per Fata Morgana dedicano una scheda specifica, comprendente una breve descrizione e la riproduzione di alcune delle immagini realizzate dall’artista. Tali immagini, per quanto accomunate dal riconoscibile ductus di Alechinsky, colpiscono per la notevole varietà, sia a livello tecnico (disegni, litografie in bianco e nero o a colori, linoleografie, acqueforti) sia, e ancor più, sul piano delle scelte grafico-figurative. Si va infatti dalle semplici vignette alle illustrazioni a piena pagina, passando attraverso tutta una serie di soluzioni intermedie: disegni collocati a metà del testo, a margine, oppure posti ad incorniciare le parole stampate. Per le edizioni di lusso, Alechinsky realizza anche la decorazione dell’astuccio destinato a contenere il volume.
Un altro aspetto importante della sua creatività visiva consiste nell’adozione di supporti impensati. Così talvolta egli può tracciare i propri segni su documenti che ha reperito al mercatino delle pulci, accomunati dal fatto di essere antichi o semplicemente vecchi: scartoffie notarili, lettere private, carte geografiche, spartiti musicali, stampe di storia naturale. Alechinsky, com’è ovvio, non è un illustratore pedestre, dunque non cerca mai di visualizzare in maniera tradizionale e prevedibile determinati passi degli scritti letterari a lui affidati, ma neppure si limita ad inserire nei volumi disegni astratti o irrelati. A suo avviso, infatti, occorre instaurare un rapporto, foss’anche soltanto allusivo, fra le immagini e i temi trattati dagli autori dei diversi volumi, perché solo così il gioco (o la sfida che i testi rivolgono all’artista) diventa davvero stimolante. Può accadere persino che egli prenda bizzarramente alla lettera, con notevole umorismo, il titolo dell’opera. Ciò accade ad esempio per Fleur de cendres di Bhattacharya, Les rougets di Pieyre de Mandiargues o Le carnet du chat sauvage di Cingria: nel primo caso egli incolla sul foglio originale delle tracce di cenere, nel secondo vi riporta lo stampo ad inchiostro di un pesce, nel terzo le impronte di zampa del proprio gatto.
Si sa che nella pittura di Alechinsky è decisivo l’apporto dei colori, ed anche nelle edizioni di pregio dei libri esso appare molto significativo, mentre nelle tirature correnti, per ovvi motivi di costi, i colori appaiono più di rado (anche se spesso la vignetta di copertina da lui disegnata viene stampata non in nero ma in rosso, viola, verde o blu). Esistono poi dei casi famosi in cui l’apporto dell’illustratore è davvero determinante, come Le rêve de l’ammonite di Butor (1975) o Vacillations di Cioran (1979). Qui le immagini diventano numerose, variopinte, fantasiose, e vi si ritrovano figure care ad Alechinsky, come le forme serpentine e arrotolate, i tireurs de langue, le cascate e così via.
Il campionario degli scrittori con cui egli si è trovato a dialogare è molto vasto, siano essi dei classici (Fourier, Proust, Apollinaire, Jarry, Cendrars) o dei contemporanei (Caillois, Dotremont, Dupin, Macé, Michon). Tuttavia si ha sempre l’impressione che si tratti di incontri non soltanto suscitati da una committenza dell’editore, ma dovuti altresì ad una certa affinità di pensiero o di stile. Un caso a parte sembrerebbe costituito dai volumi in cui Alechinsky è autore del testo, oltre che delle immagini, ma a ben vedere anche allora si stabilisce un dialogo, quello fra le sue due mani. Da sempre, infatti, egli usa l’una per la scrittura e l’altra per la pittura: «Io disegno e dipingo con la sinistra. La destra, obbligata a scrivere fin dalle scuole elementari, firma i miei disegni. […] A tribordo la matita, a babordo il pennello». Entrambe le mani, dunque, sia pure con funzioni diverse, servono a far procedere la sua navigazione. E per fortuna, come diceva Yves Bonnefoy a proposito dei quadri di Alechinsky, «secondo le ultime notizie la traversata continua».