Carlo Luigi Lagomarsino

paranoia

Luigi Zoja: PARANOIA. La follia che fa la Storia. Bollati Boringhieri, 2011 | "ANIMA E TERRA" n.1. Falsopiano, 2012

Nel libro sulla paranoia di Luigi Zoja - presidente dell'associazione mondiale che raggruppa gli analisti junghiani - di libri ce ne sono in realtà due e tutti e due sufficientemente indipendenti l'uno dall'altro, per quanto la tesi del primo corrobori il contenuto del secondo. Il primo ha le dimensioni del pamphlet, il secondo quelle del trattato. Il primo spalma la paranoia sulla società come per anni, in passato, lo si è visto fare col narcisismo. Il secondo la rileva nella storia per confermarne la presenza in una società malata di individui malati. Dei due il più interessante è senza dubbio quest'ultimo, concepito in continuità con l'altro, ma di fatto un'espressione ulteriore di analisi concentrate sul ventesimo secolo come "secolo breve", "guerra civile europea" e altro. Fra tutte, ho scrupolo di dire, quella di Zoja è una delle migliori e, forse, la più sorprendente dal momento che non viene da uno specialista. Oltretutto ci si dimentica presto della paranoia e ad assumere il nocciolo dei guai raccontati, più della condotta psicologica è quella politica, in particolare quella del nazionalismo, di cui tuttavia la paranoia è un ingrediente.

Un limite di queste analisi è la tentazione di trasformare i vizi peculiari di questo o di quell'altro capo nei vizi di tutti. Zoja cerca di controllare la materia ricorrendo - manco a dirlo - alle figure archetipe, dunque a comportamenti che si riproducono socialmente, qui rappresentati dall'Aiace di Sofocle e dall'Achab di Melville. Va detto che, nella parte storica, lo fa con tatto. L'ambizione di Zoja, come ha confidato in un'intervista pubblicata sul primo numero di una rivista di orientamente junghiano, "Anima e Terra", "è di valorizzare la grande idea di inconscio collettivo di Jung anche ai fini della comprensione della vita collettiva". Non è che ci aspettasse qualcosa di diverso, ma non è una banalità, per quanto le assomigli.

Con figure giunte al massimo grado dell'ufficialità mantenendo intatto un approccio originale e anticonformista come quella di James Hillmann, lo junghismo è esondato dall'alveo comunque generoso della pura indagine simbolo-psicologica di archetipi religiosi, alchemici, mitologici, occultistici e via dicendo. In un momento di grandi aspettative sociali come quello di quaranta-cinquant'anni fa, il freudismo assimilato da alcuni intellettuali marxisti nelle proprie investigazioni, si pensi a Herbert Marcuse, insinuando sospetti nel cuore del progresso e della democrazia, investì le pubbliche discussioni in tutto il mondo. Niente di simile mi sembra sia tuttavia accaduto con lo junghismo, benché proprio a figure come quella di Hillmann non mancassero la personalità e le idee congrue, per altro non poi troppo remote da quelle "metapolitiche" espresse da un marxista "freudizzato" come Norman O. Brown.

In Italia, oltre al decano degli junghiani, quell'Ernst Bernhardt che tanta influenza ebbe su svariati uomini di lettere, si potrebbe risalire, a questo proposito, alla critica culturale di Elemire Zolla negli anni Sessanta. Ma anche riandando a sfogliare consistenti pubblicazioni come la "Rivista di Psicologia analitica" se ne afferra immediatamente la ricchezza dei temi e la qualità delle analisi. Una tradizione che ritorna integra, anche nell'eleganza, nella citata "Anima e Terra". Una relativa sorpresa è stata per me scoprire che a dirigerla (e a intervistare Zoja) ci sia quel Franco Livorsi che ricordavo come un bravo e giovane (ma sono trascorsi dei lustri) storico marxista. “Fogli di Via”, Novembre 2012