Carlo Romano
Zizek, Stalin e altri orrori
Lo hanno definito “filosofo rock”, altrimenti “filosofo pop”. Non c’è
ragione di smentire ciò che le tanto avvedute “comunicazioni di massa” hanno stabilito
per facilitarci le cose. Le capissimo, queste cose, il risultato migliorerebbe.
Ciò nondimeno Slavoj Zizek ce la mette tutta per cercare di far capire i vecchi
arnesi che son stati sì delizia, ma più ancora incubo, di una certa società
letteraria che si è ritrovata allo sbando e inesorabilmente “fuori moda”. In
special modo il suo zelo, detto filosofo di Lubiana, lo applica a quel pensiero
lacanista sulle cui delizie sono ormai in pochi a giurare e che, con troppa
fretta, si è trovato relegato nel mondo degli incubi (e di suo, su Lacan, esce
giusto adesso, presso Bollati Boringhieri, “Leggere
Lacan. Guida perversa al vivere contemporaneo”, in libreria dal 2 luglio, €
15). Scopi lodevoli i suoi. In buona
misura raggiunti attraverso divaganti intrecci ai quali poco sfugge dello
scibile umano, così che la mescolanza abbia da risultare “pop” nell’indice
analitico e “rock” alla lettura.
Nello scrivere “In difesa delle
cause perse”, come afferma di aver voluto fare fin dal titolo del suo
ultimo libro (Ponte alle Grazie, € 26), più dell’intento vero e proprio è
riuscire a tenere il ritmo per quasi 600 pagine l’evento da rimarcare. Zizek,
va detto subito, ci riesce con gran disinvoltura. Se dunque il ritmo tiene, ciò
non esclude che una qualche attenzione la si debba prestare anche alle
intenzioni. Che esse consistano nella riabilitazione del terrore
rivoluzionario, da Robespierre a Stalin, comporta in fin dei conti, oggi come
oggi, un certo sapore di scandalo e originalità, oltre ad aggiungere alla
carriera del filosofo, considerando i nodi della sua formazione culturale,
qualcosa che ricorda ciò che gli “Spettri
di Marx” (Raffello Cortina, 1994, € 20) furono per Jacques Derrida. Se
poi scandalo e originalità sembrano affievolirsi nel momento stesso in cui lo
Zizek fa sua l’insopportabilmente semplicistica tiritera che vuole assolto
questo terrore per via degli obiettivi che si proponeva, è bene non fermarsi a
una dichiarazione iniziale. C’è per giunta una logica (più d’una,
probabilmente) nel dichiarare che “il terrore stalinista degli anni Trenta fu
un terrore umanista”, che lo stalinismo rappresentò “il ritorno dell’etica
nella sua forma più violenta per contrastare la minaccia che le categorie
morali tradizionali diventassero prive di significato” e che “il ruolo dello
stalinismo nella salvezza dell’ <<umanità dell’uomo>> è visibile
già sul piano più elementare del linguaggio”. Una logica che può lasciare
atterriti, come se il discorso attuale fosse una prosecuzione di quel terrore.
Si pensi quel che si vuole di Zizek, 600 pagine non scorrono tuttavia
invano, sedotti o meno dal presunto lato “pop” della faccenda (o dalle musiche
di Shostakovich e Prokofiev che accompagnano logicamente il capitolo su Stalin). Io, per esempio, mi son posto
una domanda. Usualmente si accetta l’idea che a fronte della tirannia sia
giusta la ribellione. Se però un singolo, o un gruppo, benché protetto dalla
legge, sentendosi comunque oppresso, reagisce contro quella legge e
quell’oppressione così poco avvertita socialmente, che giudizio se ne da?
Usualmente negativo, aggiungendo dunque all’oppressione provata anche
un’incomprensione – fatte salve certe formule retoriche sulla società che
dovrebbe impegnarsi a non abbandonare nessuno - che lo lascia ancor più solo e,
si suppone, oppresso. Ebbene, a chi questa domanda se la pone – e soprattutto a
chi non se la pone affatto – la lettura di questo libro non sarà inutile. Alla
fine si passa indenni attraverso Lacan o Alain Badiou. In luogo
dell’eccitazione, qualche opportuna
volta il “pop-rock” ammansisce.
I critici anglosassoni ai quali deve molte delle sue fortune indicano
tuttavia per Zizek, accanto all’onorificenza musicale, il riconoscimento di un
gradevole lato comico nei suoi scritti. In italiano non li si potrebbe dire
buffi e, perché no, ridicoli? Non bisogna lasciarsi sfuggire, in tal caso,
nemmeno l’opportunità di avvicinare i suoi numerosi scritti sul cinema e
chiudere rammentando che è appena giunta in libreria, pubblicata da
Scheiwiller, una raccolta di suoi “Saggi sul cinema e il cyberspazio”: “Lacrimae rerum” (€ 18).
“il Secolo XIX”, 27 giugno
2009