Eric Stark
Westlake senza
un attimo di tregua
Donald E. Westlake: THE GETAWAY CAR. University of Chicago Press, 2014
Nel
suo campo, il mystery in senso lato, la prolificità non è merce rara o bastante
per farsi ricordare (basta riandare alla signora Christie); ma Donald Westlake
(1933-2008) spicca innanzitutto per
l'alto artigianato con cui ha condotto in porto (servendosi di almeno una
dozzina di alias e con rari flop) le numerose opere (almeno un centinaio) a lui
riconducibili. "Passion, plus craft", tale la sua sintetica ricetta
per un livello compositivo qualitativamente elevato, grazie alla scrupolosa
messinscena di plot, personaggi e dialoghi di una laconicità almeno pari a
quella di E. Leonard. Questo accomuna i due filoni maggiori della sua
narrativa: la serie, quasi picaresca, con protagonista lo sfortunato
Dortmunder e quella noir, più sobria ed
asciutta, del criminale, utilitarista e spiccio Parker riconducibile all'alter
ego di Richard Stark. Se i titoli ad essi riferibili gli diedero la notorietà,
come tanti altri colleghi Westlake esordì e si fece le ossa nella
science-fiction e nel genere soft-core. Accennando ai primi cimenti in questo
campo di bassa letteratura parlava di racconti "eufemistici"
concludendo che, per pagare l'affitto e i conti del dottore, "è facile
arrivare a cinquantamila parole quando non puoi chiamare le cose con il loro
vero nome". Applicare giudizi diminutivi anzitutto a sé stesso lo rese poi
umano e cordiale anche quando il suo sguardo si appuntò sui libri dei colleghi.
In The Getaway Car (curato da Levi Stahl) sono raccolti testi non
narrativi di varia origine e occasione (lettere, recensioni, introduzioni,
interviste e frammenti autobiografici) in cui Westlake ribadisce, con un
frequente ricorso alle note ironiche, la sua convinzione d'essere uno scrittore
(un artigiano, un lavoratore) e non un autore (ovvero "un'istituzione, un
marchio, una reputazione"). Esemplificando: John D. Mac Donald fu
scrittore, mentre Saul Bellow cominciò come scrittore e finì istituzione.
Irrilevanti parevano a Westlake le alte ispirazioni esorbitanti lo stretto
ambito dell'intrattenimento, ovvero dire ciò che ti passa per la testa senza
annoiare il lettore, nel suo caso facendo agire i personaggi in quell'elemento
del crimine originato dal conflitto tra società e individuo, attraverso una
magistrale padronanza di toni, dal comico al drammatico. Col tempo dunque
raffreddò l'entusiasmo verso chi gli apparisse manierato (fossero i pur grandi
Chandler o Ross Mac Donald cui comunque antepose, in definitiva, Hammett) e spese
parole elogiative, al di là dei tanti difetti, per l'opera di Peter Rabe,
ricevendo, per parte sua, l'ammirazione di penne diverse come Harlan Ellison,
Lawrence Block o Stephen King. Le pagine di questa miscellanea sono zeppe di
commenti incisivi sull'arte del raccontare intervallati dai noti sprazzi di
humor affilato con cui riconsiderava gli esiti meno felici della propria
attività. Il rapporto non del tutto soddisfacente (compensi a parte) con
Hollywood sarà dunque riportato alla sua giusta dimensione; a dispetto delle
trame dei suoi racconti, se ne ricorderà forse soprattutto l'adattamento di The
Grifters (da Jim Thompson) girato da Frears, ventanni e più dopo Point
Blank di Boorman e Made in Usa di Godard. E Westlake sarà sempre
leale nel riconoscere prestiti e spunti dove altri invocano ispirazioni. Aperto
a tutto: considerava I soliti ignoti (in America distribuito come Big
Deal on Madonna Street) opera da studiare per ogni scrittore desideroso di
brillare e contemporaneamente lamentava la sempre più scarsa possibilità di
fare simili scoperte.
“Fogli di Via”, marzo-luglio
2015